Roberto Zanini, il Fatto Quotidiano 23/8/2015, 23 agosto 2015
DUEMILA PROFUGHI ABBATTONO IL MURO DELLA MACEDONIA
Alla fine hanno sfondato. Prima in pochi, poi a centinaia, infine a migliaia sono passati correndo nella campagna fradicia d’acqua, strappandosi i vestiti e la faccia nel filo spinato steso dalle truppe macedoni, rischiando i colpi di manganello e di scudo (arrivati con generosità), le schioppettate delle guardie di frontiera (che invece non hanno aperto il fuoco), i fucili lanciagranate caricati con proiettili assordanti (piovuti senza risparmio, spesso esplosi ad altezza d’uomo).
Non è servito a niente, la marea umana è passata a Gevgeljia, sconosciuto paesino appena dentro la Macedonia dove da giorni si accalcavano i profughi (chiamateli profughi che è quello che sono e non migranti, suggerisce la seguitissima tv quatariota Al Jazeera). Giovedì il giovane e impoverito stato macedone aveva suonato l’allarme, precettato al confine un centinaio di agenti di polizia con bastoni fucili e munizioni anti-sommossa, steso qualche chilometro di filo spinato. È durata un giorno, una notte e un giorno ancora, tempo di preghiere inutili, di botte e spintoni tra un pugno di agenti e migliaia di siriani (prevalentemente) e iraniani, iracheni, pachistani, bangladeshi.
Erano tanti, ogni giorno diventavano di più. E ieri sono passati travolgendo il cordone di agenti, correndo nel fango nella terra di nessuno tra Idomeni in Grecia e Gevgeljia in Macedonia, con i bambini al collo, disperdendosi in cerca di un treno, una strada, un passaggio verso la Serbia che non è ancora Europa, e da lì verso l’Ungheria che è già Europa, quel confine dopo il quale non ti chiedono più i documenti, quel confine che durante il crollo del muro di Berlino i tedeschi dell’Est varcavano al contrario appendendo agli alberi le chiavi delle loro Trabant scassate e delle loro case miserabili, accolti dagli ungheresi a braccia aperte. Quelli stessi ungheresi che, governati ora dalla destra più bieca, ora alzano muri e reticolati per cercare di fermare la marea umana e minacciano qualsiasi cosa pur di scansare l’inarrestabile corrente che attraverserà il paese, anche se è diretta altrove.
Arretra, la frontiera d’Europa. Prima il cuscinetto era la Turchia ma i turchi non fermavano nessuno, anzi le loro mafie si arricchivano trasportando carne umana. Poi i profughi si sono ammucchiati in Grecia, facendo a pugni stipati a migliaia nelle isole delle vacanze diventate campi di smistamento. Ora è la Macedonia, che ha resistito tre giorni – e già stava preparando treni speciali per la Serbia. Domani sarà la Serbia che non ci pensa nemmeno a dare una mano all’Europa che l’ha bombardata senza pietà non moltissimo tempo fa. Poi l’onda sarà in Ungheria, Europa vera, area Schengen, regole e diritti – in teoria. In pratica le nazioni Schengen si litigano i carichi di profughi, io settecento non di più, io mille se tu duemila, io ne ho già troppi. “Lo sciame”, l’ha definito il premier britannico David Cameron spaventato da quelli già arrivati a Calais (“sciami di stranieri”, diceva un certo Hitler).
Troppi sono i profughi. Circa duemila sono passati ieri, altri ne passeranno nei prossimi giorni. I migranti dalla Grecia alla Macedonia sono passati da 500 a 3000 al giorno, 40mila negli ultimi due mesi secondo i calcoli ufficiali. Il vecchio continente, la sua organizzazione politica, la sua moneta unica, la sua crisi economica che garantisce cibo tetto e sicurezza è la sola via di fuga da troppe guerre.
Iran, Iraq, Siria, ma anche le più datate crisi di Afghanistan e Pakistan, e quella eterna e dimenticata della Somalia, o l’eterna fame del Bangladesh: troppi gli stati falliti che non esistono più o sopravvivono massacrando i propri abitanti, troppa la gente disposta a qualsiasi cosa pur di trovare scampo, troppo pochi gli agenti che paesi euro-poveri schierano di fronte alla marea umana.
Nessuna assistenza è stata data a Skopje: 90mila euro sono arrivati da Bruxelles e questo è stato più o meno tutto, vaghe promesse di maggiore impegno come sempre, e nemmeno il carburante per i treni speciali che i macedoni hanno provato a far arrivare al confine nella speranza di portare verso Belgrado tutta quella gente affamata, bagnata e infreddolita.
E domani si ricomincia.
Roberto Zanini, il Fatto Quotidiano 23/8/2015