Antonio Pennacchi, il Fatto Quotidiano 23/8/2015, 23 agosto 2015
A CIASCUNO LE SUE ESEQUIE. QUI C’È PUZZA DI RAZZISMO
Leggo al volo sulla stampa locale di Latina che un giovane del Pd, Matteo Palombo, si sarebbe azzardato a scrivere su Facebook che il funerale di Vittorio Casamonica a Roma non costituisce niente di più che “un rituale canonico”. Subito dal Pd locale si sono levati gli scudi e i distinguo: “Quale Pd? Costui non c’entra un cazzo con noi, non ricopre alcuna carica”.
Per quanto mi riguarda credo – anche se il ragazzo sembra piuttosto ondivago, forse addirittura più di quanto lo foss’io da giovane – che Matteo Palombo non abbia tutti i torti. Io non so se il fu Vittorio Casamonica sia stato per davvero – e fino a che punto – camorrista e mafioso. Quello che so però è che in uno Stato di diritto non basta sospettare qualcuno d’esserlo, per poterlo poi definire tale e definire tali – con lui – tutti quelli che vanno al suo funerale. “Ma se era davvero così fuori norma e aveva fatto quello che voi dite – si chiede il parroco salesiano di Don Bosco, don Giancarlo Manieri – perché non lo avete arrestato, lasciandolo invece a piede libero? Vi aspettavate che lo arrestasse da morto il suo parroco in chiesa? Io faccio il prete, non il poliziotto” e non mi pare che abbia tutti i torti, povero parroco messo dai giornali sulla croce.
Dice: “Ma la carrozza, la banda, i fiori, l’elicottero?”. Ahò, ognuno i funerali suoi se li fa come gli pare. Mica sono – per ciò stesso – mafiosi. I funerali così, degli zingari sinti-rom Di Silvio e Ciarelli di Latina, con tanto di carrozza a otto cavalli, banda musicale e tutto un manto di fiori sulla strada – l’elicottero no, l’elicottero è una innovazione tecnologica introdotta adesso – io me li ricordo fin da ragazzino, fin dagli anni Cinquanta e Sessanta, quando di mafia, droga e camorra, ancora non si sentiva proprio parlare.
Gli zingari Di Silvio di Latina – imparentati pare con i Casamonica – commerciavano allora solo in cavalli e bestiame, qualcuno forse ogni tanto rubacchiava qualcosa e le donne, questo sì, rompevano i coglioni per strada a chiedere l’elemosina o a voler leggere per forza la mano alla gente. Ma niente più. E i funerali in quel modo facevano parte da sempre dei loro più innocenti riti e legittime tradizioni. Li fanno così anche in Camargue o in Andalusia. Perché non li dovrebbero più fare a Roma o Latina?
A me pare di vedere in realtà – nella presente fattispecie e nel fracasso mediatico in atto – l’insorgere e riemergere d’un forte pregiudizio razziale antisinti, antizingaro, antirom. Si stima che a Latina i Ciarelli-Di Silvio – residenti e qui nati da oltre cinquant’anni, cittadini italiani a tutti gli effetti da generazioni e generazioni, progenie d’una migrazione indu che a metà del Seicento abbandonò l’India per trasferirsi in Europa: 350 anni quindi che stanno in Italia; molto più, forse, di tutti gli antenati del Salvini – a Latina siano oramai, nasci oggi nasci domani, oltre cinquecento.
Può essere che siano tutti delinquenti mafiosi camorristi? Può essere che per noi, presunti latinensi-doc, questi siano solo – tutti e cinquecento – un problema d’ordine pubblico o criminale, ma mai una possibile risorsa? Anzi, ogni volta che nasce un nuovo bambino zingaro, subito – nel momento stesso in cui esce – secondo noi gli viene assegnata da un ineluttabile destino una cella a via Aspromonte? Beh non può essere che sia così, in un Paese civile.
È di pochi giorni fa la notizia che una bambina rom di 12 anni, Nicole Barr, che vive con la famiglia in un campo-roulotte ad Harlow in Inghilterra – anche se pure in Inghilterra gli zingari non li amano molto; anzi, normalmente li cacciano da ogni paese e città – è stata di recente ammessa all’esclusivo club mondiale dei geni, essendole stato riscontrato un quoziente intellettuale pari a 162 (la norma è 100), superiore anche a quello di Einstein o di Hawking. Chissà quante altre e altri ce ne stanno.
Quando riusciremo, a Latina, a utilizzare anche questi inespressi serbatoi di energie e intelligenze, e a vedere un giorno un Ciarelli o una Di Silvio ufficiali dei carabinieri o magistrato, professore universitario o – perché no – parroco di San Marco? Non dipende da loro. Dipende da noi.
Antonio Pennacchi, il Fatto Quotidiano 23/8/2015