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 2015  agosto 23 Domenica calendario

MI HANNO ISCRITTO ALL’ISIS

Ora che sono stato scoperto, non mi resta che confessare: sono un fiancheggiatore dell’Isis. Non sul piano militare, questo no: la mia non robustissima costituzione e la mia scarsa resistenza allo sforzo fisico mi impediscono ore e ore di addestramento. Ma la mia penna, quella sì, è al completo servizio del califfo Al Baghdadi, con cui ci sentiamo ogni mattina prima della riunione di redazione per concordare le strategie mediatiche della giornata (e così i colleghi del Fatto che mi vedono appartarmi e parlare fitto fitto al cellulare verso mezzogiorno finalmente sanno chi c’è dall’altro capo del filo). Potevo continuare a nascondermi, ma purtroppo ieri quella volpe di Gianni Riotta mi ha smascherato al Meeting di Rimini davanti a migliaia di persone, in veste di biografo supplente di don Giussani. Non ha fatto il mio nome, è vero, ma ci vuol poco a capire chi era il suo bersaglio, da lui cripticamente definito “il direttore di un giornale che ha scritto un editoriale molto duro contro questo vostro incontro”, cioè il Meeting: quel direttore sono io, quel giornale è il Fatto e quell’editoriale esplosivo s’intitolava “Grand Hotel Rimini”.
In apparenza, era dedicato alla vagonata di politici e potenti di ogni colore che i ciellini hanno invitato alla loro corte nelle 36 edizioni della kermesse adriatica per ingraziarsi i favori di tutti i governi: prima e seconda Repubblica, destra, centro, sinistra, tecnici e politici. Ma erano chiaramente parole in codice, che l’astuto Johnny Raiotta – come si desume chiaramente dalle camicie bianche prestategli da qualche amico dell’Fbi o della Cia – ha subito decrittato per quello che erano: bieca propaganda terroristica. E purtroppo mi ha denunciato, segnalando i pericoli di vita che corre anche lui da quando il sottoscritto “ha fatto ben due editoriali contro di me”. In apparenza i due articoli erano dedicati all’epocale catastrofe televisiva denominata 47 35 Parallelo Italia, che va in onda clandestinamente ogni martedì d’estate su Rai3, come Radio Londra ai tempi dell’altra guerra, sotto la conduzione del Partigiano Johnny. Ma nulla sfugge al suo occhio di lince: l’ha capito subito che pure quelli erano messaggi in codice all’Isis perché provvedesse a minacciare il popolo italiano per dissuaderlo dal guardare il suo succulento programma, il che spiega le percentuali d’ascolto da albumina in luogo dell’assalto alle tv.
Ma ecco come ha fatto il volpone a scovarmi: “Qual è l’obiezione, e lo dico con grande rispetto (sic, ndr), di quel direttore? Che voi in 36 anni avete sempre invitato politici e ministri per servilismo, subalternità al potere. E invece è l’opposto: chi invita tutti, destra, centro e sinistra, non è servo di nessuno perché vuole dialogare con tutti!” (applausi). “Ma quel direttore pensa: se non sei come me, sei il male, e vai esorcizzato, cancellato, eliminato”. È il mio segnale convenuto all’Isis: “Questo atteggiamento cresce moltissimo nella società italiana, europea, americana” (tutto per merito mio, ndr). E non voglio dire che questo atteggiamento sia uguale al terrorismo che uccide le persone come Isis (lui dice così, Isis senz’articolo, come Fiat, Confindustria, Federcaccia, ndr) e demolisce i monumenti per azzerare la nostra civiltà e cancellare il passato. Ma la strada è la stessa!”. Ecco, se critichi la Compagnia delle Opere perché si struscia a ogni potente che passa incassando poi appalti e soldi pubblici, anche in cambio di mazzette, sei complice dell’Isis. Anzi, di Isis.
Qui il Cortigiano Johnny arriccia la barba nera per il supermonito finale: “Io voglio ammonire: l’abbiamo già visto negli anni 70, la strada della demonizzazione del nemico è la stessa del terrorismo politico, militare e ideologico: è la stessa!”. Lui naturalmente militava nell’ultrasinistra, poi Fiat e Confindustria lo guarirono – tant’è che passò dal manifesto a La Stampa al Tg1 al Corriere al Sole 24 Ore –, ma non del tutto: in una ricaduta ideologica, non rinunciò a combatterli dall’interno e li lasciò perlopiù in macerie. Però, beninteso, “non devo vergognarmi perché ero giovane”. Ora però, prosegue padre Johnny nella sua omelia, “la nostra società è appesa a un filo”, anzi a “una “corda fissata nella roccia”. Perbacco. “Il presidente Mattarella è venuto qui da voi al Meeting a dire che vede i germi della terza guerra mondiale (in realtà Mattarella non è andato da nessuna parte: ha mandato due righe di saluto e morta lì; ma non sottilizziamo, ndr) e io mi aspettavo che tutti i telegiornali, giornali e tv parlassero solo di questo, invece niente, nessuna reazione. Il nostro animo è cieco, spossato! Ma il nostro nemico ci vede benissimo, non è spossato, e vuole batterci”.
Segue la chiamata alle armi: taci il nemico ti ascolta, vincere e vinceremo. “La vittoria o la sconfitta è nelle nostre mani. Se siamo disposti a batterci per i nostri valori, può darsi che vinciamo, se invece non siamo disposti abbiamo già perso”. Per cominciare, bisognerà sistemare quel direttore e quel giornale: “Quando ho letto quell’attacco a voi, ho pensato: forse perdiamo veramente. Poi arrivo qui, incontro voi e penso: forse non perdiamo, forse vinciamo”. Veni vidi vici. C’è dunque speranza, per la barba del profeta! E qui non sappiamo cos’avrebbe detto don Giussani. Ma come avrebbe commentato Enzo Biagi, col permesso del Califfo, sì: “Troppi peli per un coglione solo”.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 23/8/2015