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 2015  agosto 23 Domenica calendario

JIHADISTI DI RITORNO DALLA SIRIA PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE FERMARLI

Il terrorista mancato sul treno francese ad Arras, gli autori delle stragi del Bardo e di Sousse come i killer di «Charlie Hebdo» a Parigi e jihadisti «Most Wanted» dalle polizie di mezza Europa: sono i «muhajireen» ovvero gli «emigranti» che lasciano il Paese di nascita, si arruolano volontari nei gruppi jihadisti, apprendono tattiche militari e tornano indietro al fine di uccidere «musulmani apostati» o qualsiasi tipo di «infedele» nei paesi occidentali.
Il termine «muhajireen» evoca il precedente di Maometto che fu protagonista della «hijira» scappando da La Mecca a Medina con una “migrazione” che gli consentì di sfuggire a chi voleva ucciderlo ponendo le basi per la nascita dell’Islam. Abdullah Azzam, l’ideologo della Jihad che ha ispirato Osama bin Laden, ridefinì la «hijira» come la scelta del musulmano che fugge dalla “terra della paura” per recarsi nella “terra della sicurezza”.
FOREIGN FIGHTERS
Si tratta di una formula di rinascita, personale e religiosa, che ha ispirato i «mujheddin» volontari nei ranghi di Al Qaeda negli Anni Ottanta, consentito ad Abu Musab al Zarqawi di reclutare nel mondo arabo contro l’intervento militare americano in Iraq ed è ora alla base del successo dello Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi che conta su almeno 17 mila «foreign fighters», fra cui circa 5 mila europei secondo le stime più prudenti dell’anti-terrorismo Usa.
Proprio per esaltare il passaggio dalla «paura» alla «sicurezza» Isis diffonde sul web manuali che assomigliano a guide turistiche per descrivere i pregi della vita nei territori del Califfato, la cui estensione eguaglia quella del Regno Unito.
LA PROVENIENZA
Il numero più alto di «muhajireen» viene da Tunisia e Arabia Saudita, in Europa i contingenti più folti sono tedesco, britannico e francese, mentre in Asia spiccano caucasici, indonesiani ed australiani le cui destinazioni sono soprattutto nei campi del Califfato in Siria, Iraq e Somalia, ma anche in quelli di Al Qaeda in Yemen, Pakistan e Sahel.
E’ un fenomeno che investe anche gli Stati Uniti - sono almeno 40 gli americani jihadisti nei ranghi di Isis - ma ciò che colpisce è come l’identikit dei «muhajireen» occidentali abbia in comune l’assenza di origini in famiglie segnate dal fondamentalismo islamico.
L’IDENTIKIT
Un recente studio del «Soufan Group» sui «foreign fighters» li definisce in un arco di età fra i 18 e 29 anni, di entrambi i sessi, con una forte componente di convertiti, senza particolari legami o studi islamici alle spalle, ma accomunati da una volontà di “rinascere” per raggiungere obiettivi di affermazione personale come «l’appartenenza ad un gruppo, l’acquisizione di una nuova identità, l’avventura, il danaro, una famiglia» ovvero la propria definizione di “successo”. Ciò spiega la difficoltà dell’anti-terrorismo, in Europa come negli Stati Uniti, nell’identificazione dei «foreign fighters».
LA CACCIA AI TERRORISTI
«Quattro decenni di ricerca su coloro che scelgono di diventare terroristi non sono riusciti a produrre un profilo specifico» spiega John Horgan, direttore del Centro di studi su terrorismo e sicurezza dell’Università del Massachusetts, per sottolineare la difficoltà nella prevenzione e dunque anche nella caccia ai «terroristi di ritorno», simili ai killer addestrati in Yemen che colpirono a Parigi lo scorso dicembre oppure al tunisino proveniente dai campi libici che ha portato la morte sulla spiaggia di Sousse.
LE VIE DI PASSAGGIO
A complicare la prevenzione è anche l’esistenza delle «autostrade della Jihad», ovvero i percorsi, via aerea o terrestre, che consentono ai jihadisti di andare e venire dai campi di addestramento: se il territorio della Turchia ospita quella più frequentata, Egitto, Pakistan e Tunisia costituiscono delle vie alternative per portare a compimento la propria «hijira».
Maurizio Molinari, La Stampa 23/8/2015