Maurizio Porro, Corriere della Sera 23/8/2015, 23 agosto 2015
I fratelli Coen, single men, sono una delle ragioni per cui il cinema americano è ancora vitale. Fuggendo dal fantasy, o meglio personalizzandolo con stile nella psicologia contorta di un disoccupato esistenziale, sempre in accappatoio e sandali, che non trova ragioni sufficienti per lavorare e forse neppure per vivere, i due registi ci raccontano con toni noir, tipo Marlowe impasticcato, uno strano caso di omonimia con equivoci connessi
I fratelli Coen, single men, sono una delle ragioni per cui il cinema americano è ancora vitale. Fuggendo dal fantasy, o meglio personalizzandolo con stile nella psicologia contorta di un disoccupato esistenziale, sempre in accappatoio e sandali, che non trova ragioni sufficienti per lavorare e forse neppure per vivere, i due registi ci raccontano con toni noir, tipo Marlowe impasticcato, uno strano caso di omonimia con equivoci connessi. L’ex hippie Lebowski (Jeff Bridges, magnifico attore della famiglia d’arte di papà Lloyd), contestatore ante litteram, è assalito da due killer e assunto da un miliardario dallo stesso nome perché tratti il riscatto della moglie; ma ci sono prima il bowling e il sesso cui pensare e forse non c’è stato neppure alcun sequestro. Il contesto di questa storia, subito entrata nell’epicentro della delusione globale, è quello che conta per presentarci la vignetta di un mondo ormai senza senso. Mondo popolato da reduci dal Vietnam ottenebrati (John Goodman, grande caratterista taglia L), da maniaci del bowling (un Turturro in tuta viola), da un regista porno fuori tempo massimo (il cassavetesiano Ben Gazzara) e poi banditi e marijuana come deterrente a una società incapace di capire e-o amare. Dormire… o sognare forse? Allora ecco la memoria geometricamente perfetta da musical anni folli e finti di Busby Berkeley. Da una non morale nasce il rifiuto del decennio «da bere» degli States di Reagan & Bush, una lezione di moralità sulle ceneri dei generi di cinema hollywoodiano e sul trionfo di un individualismo sotto lente d’ingrandimento. Se Jeff è un magnifico non-eroe, il cast contiene tante future star, da Julianne Moore (Oscar ‘15) al compianto e insostituibile Philip Seymour Hoffmann (ex Capote), da Steve Buscemi a David Thewlis, una galleria di volti che ci hanno aiutato a capire come sia psicosomaticamente infelice l’America e non solo. Eppure ci si diverte assai, molto amaramente. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il grande Lebowski di Joel ed Ethan Coen, 1998 Rete 4 ore 23.55