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 2015  agosto 23 Domenica calendario

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agosto 2015
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Le idee.
Da secoli scienza e filosofia non riescono a definire con certezza il gesto più umano che ci sia: il pianto. Forse proprio per la sua universalità
Una lacrima sul viso è un mistero irrisolto
THOMAS DIXON
Una lacrima è un segno universale. Sin dai tempi più antichi, filosofi e scienziati hanno cercato di spiegare il pianto come una componente di un linguaggio umano condiviso di manifestazione emotiva. Ma, di fatto, in sé e per sé una lacrima non significa niente. Che sgorghino dai nostri occhi o scendano sulle nostre guance, quelle goccioline salate hanno un significato che può essere desunto dagli altri soltanto in maniera ambigua, e soltanto nel caso in cui sappiano qualcosa di più sul particolare contesto mentale, sociale e narrativo che le ha prodotte.
Piangiamo di tristezza, di dolore, per un lutto, ma anche di gioia e dalle risate. Alcune persone sono indotte dalle sofferenze umane a commuoversi al punto di versare lacrime di compassione. Altre hanno versato lacrime rabbiose. Una guancia può essere rigata da una lacrima sgorgata da niente più che uno sbadiglio o una cipolla. Mentre traduceva i tomi del sociologo francese Auguste Compte, la giornalista vittoriana Harriet Martineau aveva le guance bagnate di lacrime di estasi intellettuale. Un mio amico, appassionato di motori a vapore, mi ha raccontato che quando al National Railway Museum vide la Mallard, la prima locomotiva a vapore ad aver battuto il record di velocità, pianse. Una lacrima non è un segno universale in quanto ha il medesimo significato in ogni epoca e in ogni luogo. È un segno universale perché può significare praticamente qualsiasi cosa.
Le teorie sul pianto hanno sempre fatto fatica a rendere giustizia alla triplice natura delle lacrime: secrezioni, sintomi e segni. Le lacrime vanno trattate alla stregua dell’urina, di un’eruzione cutanea, o di un’opera d’arte? La loro interpretazione necessita dell’esperienza di uno psicologo, di un medico generico o di un metafisico? Coloro che sollevano obiezioni al pianto in pubblico spesso si riferiscono a esso come a una sorta di “incontinenza emotiva” — definizione che compare per la prima volta nella letteratura psichiatrica alla fine del XIX secolo — e che implica che un fiume di lacrime o un rivolo d’urina in pubblico meritino il medesimo biasimo. Nel 2011, la Bbc Four ha mandato in onda un documentario sul pianto in pubblico, presentato dall’umorista Jo Brand che si è detta contraria a esso, in quanto ritiene che il pianto debba essere riservato a rare occasioni e debba svolgersi solo in privato. I commenti online di risposta al programma hanno dimostrato che non era l’unica a pensarla così.
La metafora del pianto associato all’incontinenza lascia intendere che le lacrime dovrebbero essere motivo di disgusto e di vergogna. Intorno alla metà del XX secolo per molti decenni un programma di ricerca a tutto campo del governo denominato Mass Observation indagò nella vita e nelle abitudini dei britannici. Oltre a una serie di opinioni personali sulla margarina e gli stranieri, chiedeva a un gruppo di intervistati: «Piangete mai quando guardate un film?». Un impiegato scapolo rispose: «Non provo vergogna per i miei sentimenti. Provo invece una sorta di riconoscenza per il fatto di essere ancora capace di commuovermi fino a quel punto. Forse, la maggior parte di noi — con la copertura del buio della sala — riesce ancora a indulgere un po’ nel sentimentalismo, nello stesso modo in cui reagisce a un grande dolore nella tranquillità della propria camera da letto». In pratica, sia chi si vergognava sia chi non si vergognava equiparava il pianto all’atto di urinare, o forse addirittura alle secrezioni sessuali, qualcosa da lasciar uscire e godere nell’oscurità, al buio.
La teoria dell’incontinenza del pianto al momento non è in gran voga nell’ambiente scientifico, quantunque goda di ininterrotta popolarità presso l’opinione pubblica. E la ricerca più recente sulla scienza del pianto — studiato in libri quali Why Humans Like to Cry ( Perché agli esseri umani piace piangere, 2012) del neurologo Michael Trimble non va sicuramente ad avallare l’idea secondo cui il pianto è un’escrezione o un tipo di catarsi. Per Trimble, l’enfasi è sulla tragedia, il dolore, l’empatia, la compassione, e la speranza. Tuttavia, la sua spiegazione dell’aspetto neurologico di fondo si basa sul collegamento tra lacrime e quella categoria psicologica quanto mai nebulosa che si chiama “emozione”.
Darwin aveva giustamente osservato che le lacrime non possono essere chiaramente associate a un unico tipo di condizione mentale. Possono essere secrete «in abbondanza tale da scendere giù lungo le guance» aveva scritto, «per le emozioni più diverse, ma anche per nessuna emozione specifica». Una lacrima di per sé non significa niente. Una lacrima versata in un particolare contesto mentale, sociale e narrativo può significare qualsiasi cosa. «Lacrime, vane lacrime» scrisse Alfred Tennyson, «non so cosa significhino». E tuttavia, sia lui sia noi continuiamo a sentirci obbligati a dar loro un’interpretazione e a cercare di distillarne il significato.
(Traduzione di Anna Bissanti)
“Non so cosa significhino” ammise Alfred Tennyson
Mentre Darwin fu tra i primi a sottolinearne la versatilità rispetto a ogni emozione
DISEGNO DI TULLIO PERICOLI