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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

Si infittisce il mistero sull’omicidio di Francesco «Frank» Seramondi e della moglie Giovanna Ferrari

Si infittisce il mistero sull’omicidio di Francesco «Frank» Seramondi e della moglie Giovanna Ferrari. Muhammad Adnan e Sarbjit Singh, il pakistano e l’indiano responsabili materiali del delitto restano in cella. Il gip ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere, ma ancora tanti tasselli devono essere messi al loro posto per avere il quadro completo della vicenda. A cominciare dalle confessioni che non collimano, con il pakistano che si autoaccusa, ma attribuisce all’indiano un ruolo e una consapevolezza che l’indagato respinge: «Non sapevo volesse uccidere». Così come il ruolo giocato nell’aggressione del primo luglio quando venne ferito il dipendente di Frank, l’albanese Arben Corri, con una pistola che non è ancora stata ritrovata. Adnan sostiene che a sparare fu Singh, mentre quest’ultimo giura che nemmeno era presente, benché gli accertamenti della squadra Mobile abbiano rilevato che il suo cellulare agganciò la cella telefonica di Mairano. «Quel giorno avevo prestato il telefono a Adnan» ha ribadito l’indiano. Resta ancora da chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria delle vittime, oltre che del pakistano, concorrente in affari con la pizzeria a pochi metri da quella del delitto. Una situazione che, dopo il ritrovamento di oltre 800 mila euro in contanti trovati nella disponibilità delle vittime, di alcuni familiari e di due dipendenti, si ingarbuglia ulteriormente con la scoperta di alcuni assegni relativi alla vendita del locale di Frank ma mai incassati. Gli assegni sono stati trovati nei faldoni della contabilità dei coniugi uccisi. Le spiegazioni fornite da chi custodiva il contante di Seramondi non soddisfano gli inquirenti e la Guardia di Finanza sta effettuando una serie di approfondimenti ed è in attesa di alcune risposte bancarie. Da approfondire ancora anche i rapporti tra il pakistano e l’indiano, assoldato per 5.000 euro (ha incassato solo 500 euro) e le persone che avrebbero fornito l’arma, un fucile da caccia a canne mozze rubato nel Cremonese nel 2011 e la concessionaria, sempre nel Cremonese, dove è stato acquistato per 330 euro il motorino senza targa usato per raggiungere il luogo dell’omicidio. Adnan sostiene che la targa in cartone è stata preparata da Singh e sistemata sul motorino prima di mettere in atto l’omicidio, mentre quest’ultimo dice di non sapere nulla dell’acquisto dello scooter, né men che meno dell’acquisto dell’arma. Tante domande sono ancora in attesa di risposte. Ma per il gip c’è una certezza, «la clamorosa pericolosità e disposizione violenta» dei due indagati. Oltre alla premeditazione. «Adnan dal novembre 2014 progettava l’omicidio e Singh vi aderiva in cambio di un vile corrispettivo» scrive il giudice. Il pakistano, difeso dall’avvocato Claudia Romele, non ha negato ma ha precisato che non aveva intenzione di uccidere la signora Giovanna: «È stata una fatalità». La sua determinazione era comunque forte, tanto che Seramondi gli ha lanciato contro alcune teglie, ma il pakistano lo ha freddato. Sul movente confessato dal pakistano, considerato sproporzionato, il giudice non si è espresso, ma quel che è certo è che Adnan covasse rancore nei confronti di Frank e del suo dipendente Arben Corri (nell’auto dell’albanese la polizia aveva trovato due grammi e mezzo di cocaina, ma i successivi riscontri investigativi non hanno messo in evidenza alcun legame dell’albanese con soggetti legati all’attività di spaccio). Anche il ferimento, per Adnan, aveva uno scopo: «Dopo l’aggressione la polizia avrebbe effettuato più controlli nella nostra zona».