Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Corriere della Sera 22/8/2015, 22 agosto 2015
SE LA REGINA DELLA VIRGOLA S’ARRABBIA
Philip Roth, di cui una volta colse uno svarione, ne restò così colpito da chiederne la mano, seppur scherzosamente: «Chi è questa donna? E perché non viene a vivere con me?». Quella donna è Mary Norris, 63enne componente della troika di figure che al New Yorker rivedono gli articoli finché non vanno in stampa, insieme con l’autore, il caporedattore, il fact checker e un altro correttore. In quasi 40 anni, Norris ha «passato» da John Updike a John McPhee, e adesso ha scritto un libro, Between You & Me: Confessions of a Comma Queen (Norton), che è memoir e manuale di stile. E omaggio a un mestiere a rischio d’estinzione, di cui il New Yorker, col rigore quasi barocco del suo editing, rimane tra i depositari.
Un giornale che scrive I.B.M. con i puntini, anche se l’azienda stessa li ha eliminati ormai da tanti anni. Dove, ironizzò E. B. White, le virgole cadono «con la precisione dei coltelli nel circo, tracciando il contorno della vittima». Talmente consapevole di sé che quando un redattore scrisse un pezzo sull’aumento dei prezzi nei cinema, il copy editor lo mandò indietro con la nota: «Un giornalista del New Yorker non mangia mentine al cioccolato». Un correttore del New Yorker discetta di matite come fossero premier cru di vino (Norris dedica un capitolo alla n.1), va in pellegrinaggio al museo dei temperini nell’Ohio e si butterebbe giù dal Chrysler Building se gli venisse impedito di usare ovunque le dieresi. Pratica vituperata dai lettori e che era andata quasi estinta nel 1978 per la protesta di alcuni giornalisti. «Ma il caporedattore che in via ufficiosa ne approvò l’abolizione morì due giorni prima di ratificarla, e nessuno, da allora, osò più lamentarsene».
Nessuna meraviglia, quindi, che dopo aver beccato il primo errore – di una collega che aveva scritto fiore invece di farina (stessa pronuncia) – Norris fosse corsa a festeggiare con birra e noccioline al Blue Bar dell’hotel Algonquin, dove il New Yorker fu fondato nel 1925 e ancora oggi ogni cliente ne riceve copia gratis. Anche se la sua vera nemesi, in realtà, sono i cantanti. Norris massacra Bob Dylan su Lay, Lady, Lay per la confusione – come sarebbe accaduto anche a Eric Clapton – tra i verbi lay (poggiare) e lie (sdraiarsi). Si racconta dell’agghiacciante ortografia di V.S. Pritchett, di quanto occorse per spiegare a Oliver Sacks – che usava sulphur e sulphuric perché così aveva imparato da bambino col «Piccolo chimico» – che il New Yorker, più prosaicamente, scriveva sulfur e sulfuric.
E se una volta litigò con Elmore Leonard sulla quantità di punti esclamativi concessi in una vita (solo due o tre per lei, un po’ più accomodante lui), in realtà non si prende sul serio. Su Reddit, dove ha una pagina dedicata alla grammatica, esordisce: «Non badate ai refusi, è il mio giorno libero». In tanti anni, del resto, qualcosa ha imparato pure lei. La più importante: mai cercare di perfezionare le battute agli autori comici. Come fu con Woody Allen, che ne ignorò ogni correzione, e lei ci restò male. E poiché anche i correttori a volte sbagliano, Norris rivela che fu proprio uno di essi a inserire, nel 1851, il terribile trattino nel titolo originale Moby-Dick. Un’altra volta dovette rivedere un testo sui frequent flyer di Nora Ephron. Che aveva scritto travelers e non travellers, versione British preferita dal New Yorker, ma Norris non glielo toccò. Dopotutto, si disse, era una parodia delle regole assurde delle compagnie aeree, che non hanno certo un bel linguaggio. «Il pezzo uscì, il 5 marzo 1984, con la doppia elle di rigore. Un correttore successivo aveva apportato la modifica, sicuramente borbottando: “Quell’incompetente”».
Ma anche il correttore più duro a volte alza le mani. Al New Yorker accadde col plurale di McDonald’s: «Dovrebbe essere M cDonald’ses ma ci sembrò troppo inquietante».