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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

APPUNTI SUGLI INSEGNANTI DEPORTATI

CORRADO ZUNINO, LA REPUBBLICA 15/8 –
Le domande presentate per diventare un nuovo insegnante della scuola italiana, dall’infanzia (pochi i posti disponibili) alla quinta liceo, sono 71.643. Su una platea di precari interessata a questa fase di assunzioni da parte del ministero dell’Istruzione di 90mila (sono 134mila, in tutto, quelli aventi diritto a un posto secondo la “Buona scuola” Renzi-Giannini, ma solo 90 mila gli interessati alle “domande online”). Come anticipato da Repubblica , un precario ogni cinque (esattamente il 20,4 per cento) non ha inviato il modulo di richiesta. Nonostante questo, il ministero coprirà tutte le 103.000 nuove cattedre con nuovi insegnanti, probabilmente tutti di ruolo. I molti numeri che sono circolati in queste ultime 48 ore sono ora riconducibili a questi due fatti. Giovedì scorso i provveditorati regionali hanno comunicato al ministero le nomine fatte direttamente dagli Uffici scolastici sulle province controllate nonché i posti residui messi a disposizione della “lotteria nazionale” per le assegnazioni, appunto, nazionali. Gli uffici scolastici hanno fatto 29.000 nomine (ovvero assunzioni, decise alla vecchia maniera, per questo blocco di docenti). Ieri, secondo passaggio, sono state contate le domande inviate per le assegnazioni nazionali, 71.643 appunto. Non sono tutte trasformabili tout court in assunzioni certe perché alcune richieste potrebbero essere sbagliate, alcuni precari (caso più probabile) di fronte alla scoperta, nei primi giorni di settembre, della provincia proposta potrebbero rifiutare. Ad oggi, tuttavia, le 29 mila assunzioni già fatte vanno sommate alle oltre 71 mila potenziali: siamo oltre le centomila cattedre. Un numero minimo di docenti — alcune centinaia — in estate ha avuto un’assegnazione provvisoria. Per arrivare alle 103 mila assunzioni promesse dalla “Buona scuola” renziana potrebbero mancare poche cattedre. I conti si faranno da qui al 12-13 settembre e, se questi posti dovessero essere davvero vacanti, si procederà a chiudere il contingente con alcune supplenze annuali.
Il premier Matteo Renzi ha salutato i neo (potenziali) assunti così: «Per 71.643 persone si apre una concreta possibilità, fino ad oggi negata e tradita. Questo rende ragione di tante critiche, insulti, polemiche degli ultimi mesi. Il futuro dell’Italia sarà sempre meno precario». Il ministro Stefania Giannini: «I candidati hanno capito l’importanza di partecipare per la loro vita e per quella della scuola».
Come consuetudine, la maggior parte delle domande di docenza sono arrivate dal Sud: 11.864 dalla Sicilia, 11.142 dalla Campania. Dal Lazio le candidature sono state 7.125. Gli oltre 71 mila di questa tornata andranno a prendere, innanzitutto, i 18.476 posti vacanti e successivamente i 55.528 posti per il potenziamento delle materie. Quest’ultimi saranno assegnati nel mese di novembre, e solo allora per i docenti scelti correrà il primo stipendio.

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CORRADO ZUNINO, LA REPUBBLICA 18/8 –
La parola “deportazione” corre sui social dalla seconda metà di luglio, da quando il ministero dell’Istruzione ha reso pubblico il piano di assunzioni per i 102.734 docenti precari. La Cisl scuola e i Cobas l’hanno usata in piena libertà e c’è chi — opponendosi alla consegna del modulo online, rifiutando quindi l’assunzione per il prossimo anno scolastico — ci ha battezzato siti di successo. “Basta precarietà, no alla deportazione”. Questo è il più gettonato: 2.280 membri. Sulle pagine Facebook si legge l’amministratrice mettere in riga i dissenzienti alla linea: «Visto che in questo gruppo siete diventati tutti buoni e tolleranti nei confronti di chi ha presentato la domanda, al punto da criticarmi, cancello tutti i post e se mi gira chiudo il gruppo ». Francesco Militello si è fatto spazio nel gruppo così: «Chi ha presentato domanda l’ha ratificata rendendosi collaborazionista dei nostri aguzzini».
Il corsivista della “Scintilla”, l’Unità online, ha sollevato la questione citando la precaria di Palermo intervistata da Repubblica : «Quell’insegnante che è stata assunta e che si ritiene deportata», ha scritto, «dovrebbe fare il piacere di lasciare la cattedra a qualcun altro». Subissato di critiche e improperi. E la discussione è diventata dibattito largo su Repubblica.it (344 commenti ieri sera alle dieci) dove i più si mostravano indignati per l’uso libero della parola deportazione: «Una precaria che si è definita deportata non la vorrei mai come insegnante di mio figlio». Altri: «Se la maggior parte dei posti liberi sono al Nord e la maggior parte delle domande al Sud, che facciamo? Spostiamo le scuole al Sud o spostiamo gli insegnanti al Nord?». Ancora: «Sono disoccupata da tre anni e mezzo e sarebbe una manna dal cielo avere un lavoro in una scuola per 1.100 euro al mese anche se fossi costretta a trasferirmi in un’altra città». Infine: «Cari insegnanti deportati, io sono stato costretto, a 38 anni e con un bambino, ad arrivare fino in Norvegia per poter fare il lavoro per cui ho studiato. E non me ne lamento».

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LETTERA DI MARCELLA RAIOLA A REPUBBLICA 18/8 –
Caro direttore, ho 44 anni e faccio con passione l’insegnante pendolare da 13. Insegno Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia di Napoli, e poche volte ho lavorato a meno di 25 chilometri da casa. Sono laureata e abilitata con il massimo dei voti e ho conseguito un dottorato di ricerca in Filologia. Sono iscritta in graduatorie che per legge sono provinciali, non nazionali, e ho pieno titolo all’assunzione.
Da 13 anni accumulo punteggio lavorando da “ultima arrivata”, con studenti, colleghi, dirigenti sempre diversi, e con meno diritti (niente ferie, niente scatti stipendiali).
A differenza di tanti altri, poche volte mi è capitato di lavorare su uno spezzone orario, cioè a stipendio ridotto, oppure su due o tre scuole. Non ho, come tanti miei colleghi di età compresa tra i 40 e i 55 anni di cui ho raccolto gli sfoghi dolorosi in questi giorni tesi e tristi, figli piccoli, disabili, genitori anziani da accudire da sola o una casa appena comprata con un mutuo salato, ma ugualmente non ho prodotto la famigerata domanda di deportazione.
“Deportare” è una parola forte, è vero, ma è affiorata spontaneamente alle labbra di lavoratori precari da dieci o addirittura venti anni, con alle spalle peregrinazioni in varie regioni e grandi sacrifici, sia per l’aggiornamento (a carico nostro) che per la maturazione di un punteggio che ora viene azzerato e vanificato. A quelli che puntano il dito contro di noi, in questi giorni, denigrandoci e accusandoci di “sputare in faccia al posto” per difendere il privilegio di lavorare “sotto casa”, voglio spiegare le mie ragioni e perché ci viene chiesto un vero e proprio salto nel buio. Quale lavoratore, dopo 15/20 anni di precariato, accetterebbe che un computer stabilisse dove deve andare a sopravvivere con mille euro al mese, andando a svolgere, per di più, mansioni ad oggi non definite e sicuramente diverse da quelle per cui ha studiato e lavorato?
La “fase” in cui la maggior parte dei precari rientra, infatti, me compresa, è quella in cui si viene assunti non da docenti, ma da “personale-jolly” e tuttofare, che il dirigente onnipotente utilizza a piacimento. Non solo. L’incarico che viene offerto ai precari dura solo tre anni e comporta l’obbligo di fare ulteriore domanda di trasferimento presso scuole del nuovo comprensorio in cui ci si verrà a trovare, con tanti saluti alla continuità. E dopo? È questa la grande “ stabilizzazione”? I nostri detrattori dicono pure che i lavoratori devono spostarsi dove sono i posti, ma non si chiedono come mai i posti siano tutti al Nord, mentre è al Sud che occorrerebbero più insegnanti, dato l’alto tasso di abbandono e di dispersione scolastica.
Il piano di assunzioni del governo è solo un altro gigantesco taglio mascherato: il Pd aveva promesso il ritiro dei tagli Gelmini, 88.000 dei quali sono stati dichiarati illegittimi dal Consiglio di Stato, ma non ha mantenuto la promessa e si è invece inventato l’organico “funzionale”, con la conseguenza che una parte dei precari verrà assunta per fare chissà cosa chissà dove (probabilmente il “tappabuchi” fino alla fine della carriera). Un’altra cospicua parte, quella impossibilitata o indisponibile a cedere al ricatto della migrazione coatta e della dequalificazione professionale, resterà nelle graduatorie. Questo confligge con la sentenza della Corte europea del 26 novembre scorso, che condanna l’Italia per abuso di contratti a tempo determinato e impone l’assunzione di tutti i precari che hanno maturato 36 mesi di servizio.
Ci hanno chiesto di buttare a mare una vita di studio e sacrifici, di partecipare a una lotteria calpestando chi non può “concorrere”, nello spirito del “si salvi chi può”. Perché? Perché non posso insegnare le mie materie nelle scuole in cui lavoro da 13 anni e in cui ci sono classi da 34 alunni (una l’ho avuta proprio io, nel 2009-2010). Smembrate, potrebbero essere meglio gestite da un maggior numero di docenti? Perché chi ha punteggi altissimi deve finire a Pordenone mentre chi è in fondo alle graduatorie potrà coprire le cattedre su cui i deportandi lavorano continuativamente da anni? Qual è la ratio sottesa a questo sistema caotico e lambiccato?
Il governo sembra voler punire una categoria che ha protestato vigorosamente, negli ultimi mesi, contro una riforma che non piace a nessuno e i cui primi danni già si iniziano a vedere e, inoltre, penalizza le donne, che sono il welfare dello svantaggiato Sud. Faccio un appello a tutti i lavoratori: invece di dilaniarci, facciamo in modo che il lavoro non sia percepito o elargito come un favore, perché è un diritto costituzionale. Difendiamo la dignità del lavoro e la Scuola pubblica, che è di tutti e per tutti.

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MARCO LODOLI, LA REPUBBLICA 19/8 – 
Il sistema di assunzioni della Buona Scuola sta scatenando un vespaio di polemiche: la parola chiave è “deportazione”, perché parecchi insegnanti potranno avere la tanto sospirata cattedra solo lontano da casa, dovranno fare la valigia e spostarsi dal Sud al Nord, perché è nelle regioni settentrionali che ci sono più cattedre disponibili. “Come vorrei essere un albero che sa/ dove è nato e dove morirà”, cantava Sergio Endrigo tanti anni fa, e la frase è bella e commovente, ma forse il cantante istriano non avrebbe avuto la stessa carriera se fosse rimasto con le radici piantate nel giardino di casa sua.
Tutti quanti conosciamo ragazzi che vivono con la valigia in mano, pronti a spostarsi dove c’è lavoro, dove la vita pulsa e le occasioni si moltiplicano. Londra, Berlino, Parigi, Barcellona sono piene di giovani italiani che, senza pensarci troppo, hanno abbandonato lo sterile campetto domestico per avventurarsi verso l’ignoto. Forse hanno un po’ di nostalgia, ma nessun rimpianto. Per loro muoversi significa conoscere il mondo, incontrare gente nuova, imparare lingue diverse, allargare gli orizzonti, guadagnare meglio. Chi si ferma è perduto, ma evidentemente questa massima non vale per gli insegnanti, e il motivo è molto semplice e del tutto comprensibile: si tratta dell’età. Quando si è ragazzi, la vita chiama altrove e l’altrove è sempre più interessante e seducente del tinello di casa. Ma quando si è arrivati a quaranta, a cinquanta anni, le cose cambiano. Non sono solo le abitudini a legarci al luogo dove si vive da sempre, sono gli impegni a pesare come ancore incastrate nel fondo dell’esistenza. A cinquant’anni si hanno figli da seguire, matrimoni da proteggere, vecchi genitori da accudire: è una lunga e implacabile serie di doveri che impedisce di mettere tre magliette e due libri in uno zaino e alzare le vele. Meglio precari a casa propria che occupati a mille chilometri. Non credo, dunque, che ci sia un problema ideologico, sono solo i vincoli che la vita ha stretto attorno a sé. La mobilità è sorella della giovinezza ed è nemica della vecchiaia. In tutto il mondo si cambia città facilmente, pare che negli Stati Uniti ciò accada sei volte almeno nella vita, ma l’Italia è un Paese anziano, acciaccato, stanco. Troppi professori sono arrivati al posto fisso con i capelli grigi, e ora è naturale che non abbiamo più voglia di sbattersi qua e là, di affittare stanzette, di mangiare da soli in rosticceria. La sera li aspettano a casa. Bisogna dare lavoro e occasioni ai giovani, loro salgono volentieri sui treni che partono verso i sogni.

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CORRADO ZUNINO, LA REPUBBLICA 19/8 –
L’insegnante riluttante che oggi rifiuta il posto a tempo indeterminato – uno su cinque ha detto subito il ministero dell’Istruzione, ma il dato non è confermato – ha lottato per tutto il 2015, da marzo a oggi, contro “La buona scuola” e in piena estate, nel momento in cui si decide il suo destino – assunto ma forse lontano, ancora precario nelle aule che conosce ma con la possibilità di uscire definitivamente dalla scuola italiana –, il paese non solidarizza con lui.
Su Repubblica.it si è scatenato un dibattito a tratti feroce (344 commenti lunedì, altri 774 ieri sera alle 21,30) prima sull’opposizione alla “deportazione” in altre province di una minoranza non trascurabile di insegnanti (e sull’utilizzo di quel termine teatrale: “Deportazione”), poi sulla lettera scritta al nostro giornale dalla professoressa campana Marcella Raiola, 44 anni, precaria pendolare da tredici, che ha scelto di non istruire il modulo online per la prossima assunzione in ruolo e lo ha rivendicato: «Quell’offerta è un salto nel buio, un ricatto, una dequalificazione». Due terzi dei docenti precari del Friuli (2.020 su 3.000 aventi diritto) la pensa come lei e in Puglia gli astenuti sono stati uno su tre. Il Miur ipotizza, poi, 14-16 mila “viaggianti” fuori provincia, il sindacato Anief sale a oltre ventimila di cui il 58 per cento dei siciliani e il 51 per cento dei calabresi. Ma il Paese — lo si capisce dai mille e cento interventi registrati — non sta con la precaria che rifuta il lavoro certo, spesso non sono con lei neppure i docenti, assunti e no. Si leggono queste storie, e questi paragoni: «Ho un bambino appena nato, un mutuo di 260mila euro per la mia nuova casa. Dal 2009 al 2014 ho lavorato con contratti di sei mesi, non sempre retribuiti, spostandomi a Bologna, Milano, Pesaro, nel sud delle Marche. Da febbraio, con l’arrivo del bimbo, ho accettato un nuovo lavoro peggio pagato. Ho una laurea e due master. Ho scelto la famiglia e in tutti i lavori questa è la normalità. È tempo che gli insegnanti comincino a lavorare come tutti».

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LORENA LOIACONO, IL MESSAGGERO 20/8 –
L’anno scolastico della svolta, quello che avrebbe dovuto vedere il debutto della riforma della scuola targata Renzi-Giannini, in realtà sarà solo un anno di tregua. Almeno per tutti quei precari che, alle assunzioni proposte dal governo Renzi, hanno detto no. Tra loro ci sono sia l’esercito del gran rifiuto, che resta barricato nelle graduatorie ad esaurimento in attesa di tempi migliori, sia quella schiera di docenti che resteranno supplenti per un anno nonostante l’immissione in ruolo. Grazie alla possibilità, prevista dal Miur, di consentire ai neoassunti di accettare incarichi di supplenza fino al 30 giugno. Ancora per un anno. Per loro, quindi, si posticipa tutto a settembre 2016. Proprio come accade per l’avvio degli albi territoriali e della cosiddetta chiamata diretta dei presidi, rimandati a settembre del prossimo anno. Dunque la riforma parte a metà. Un anno di riflessione, quello alle porte, per capire dove andrà la scuola. A tendere una mano ai docenti, è stata la ministra Stefania Giannini che in merito alle supplenze sull’organico di fatto ha chiesto espressamente agli uffici scolastici territoriali di effettuare le nomine entro l’8 settembre. Si tratta degli incarichi di docenza fino al termine delle lezioni. Una sorta di compromesso tra le parti che sta dando i suoi frutti e che da qualcuno viene però interpretato come una cessione alle pressioni dei sindacati: i docenti infatti non dovranno rinunciare all’assunzione prevista dalle fasi B e C ma non dovranno neanche affrontare subito i trasferimenti. Tra le motivazioni che hanno spinto tanti precari a non accettare l’assunzione, infatti, c’è proprio la possibilità di vedersi offrire una cattedra lontano da casa, anche fuori dalla regione in cui per anni hanno insegnato non senza progettare la propria vita e mettendo su famiglia. Si resta in attesa: è la stessa necessità espressa da quelle migliaia di precari che, “boicottando” la riforma, non hanno presentato la domanda per far parte delle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni. Loro saranno solo supplenti, sempre che ci sia un incarico disponibile nella provincia di appartenenza, e il ruolo arriverà con lo scorrimento negli anni a venire. Salvo nuovi stravolgimenti.
L’ATTESA
Aspettano quindi l’incarico di supplenza, come ogni anno, nelle scuole della provincia di cui fanno parte. La valigia quindi può attendere, almeno per un altro anno, poi si vedrà. Ma questa tregua in realtà non soddisfa i sindacati che, comunque, portano avanti la loro battaglia pensando già ad uno sciopero in vista dell’autunno che si preannuncia rovente. «Siamo convinti che il potenziamento degli organici – denuncia Domenico Pantaleo della Flc Cgil – non sarà altro che un tappabuchi, con cui coprire le supplenze che resteranno scoperte. Le graduatorie infatti non verranno esaurite: ci sono ancora i 30mila iscritti, che non vogliono l’assunzione, e gli oltre 20mila della scuola dell’infanzia che pur avendo presentato regolare domanda non saranno assunti fino a che non sarà pronto il piano per il settore che riguarda la fascia 0-6 anni. Ci sono inoltre tutti coloro che stanno presentando i ricorsi per rientrare nelle graduatorie. L ’11 settembre ci sarà un incontro le tra le rappresentanze sindacali al teatro Quirino di Roma, per organizzare un piano di lotta e mobilitazione e per difendere i diritti di tutti i docenti. Ne uscirà un piano di mobilitazioni unitario».
GLI STUDENTI
E gli insegnati, in questo percorso, saranno affiancati dagli studenti: «La mobilitazione ci vede uniti – assicura Danilo Lampis dell’Unione degli studenti – per il 23 settembre lanceremo la notte bianca della scuola con occupazioni pomeridiane negli istituti mentre il 9 ottobre invaderemo le piazze con cortei in tutta Italia e blocchi nelle città. Una protesta contro l’austerità e la mancanza di democrazia, coinvolgendo tutte le scuole e le università. Vogliamo contestare i comitati di valutazione e gli organi collegiali così come saranno riformati, bloccando l’ingresso dei privati nelle scuole e promuovendo assemblee permanenti anche con la collaborazione dei genitori».
Lorena Loiacono

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PIETRO PIOVANI, IL MESSAGGERO 20/8 –
La regione da cui si è levata più alta la protesta degli insegnanti precari che si ribellano al trasferimento è sicuramente la Sardegna. Prima di Ferragosto maestre elementari e professori di liceo hanno occupato l’aeroporto di Cagliari portandosi dietro le loro valigie ed esibendo lo striscione, “Scuola sarda no trolley”, ieri hanno dato vita a un’altra iniziativa presentandosi sempre con le valigie su una spiaggia cagliaritana. La loro mobilitazione è comprensibile, si tratta spesso di padri e madri che rischiano di dover lasciare la famiglia per andare a lavorare dall’altra parte del Tirreno. Ma per capire come mai si è arrivati a questo delicato e doloroso passaggio può essere d’aiuto la grafica qui accanto: la Sardegna è una delle regioni in cui è più basso il rapporto tra alunni e docenti. Ovvero, rovesciando i termini, oggi nelle scuole sarde c’è un numero di insegnanti in servizio più alto rispetto ad altre regioni come le Marche o l’Emilia Romagna che invece sono più in sofferenza.
LA MIGRAZIONE

La geografia della scuola italiana è così, da sempre. E questo nonostante sia già avvenuta nel corso dei decenni una massiccia migrazione di educatori dal Sud al Nord. Come è risaputo, oggi nelle regioni centro-settentrionali le classi sono affidate in larga parte a docenti siciliani e campani. Non esistono rilevazioni in proposito, ma si può stimare che i professori in servizio lontano dalla loro terra d’origine siano centinaia di migliaia. Nel solo 2014 sono stati 7 mila quelli che hanno offerto la disponibilità a spostarsi in province distanti da quella di residenza.
Anche il motivo di questa transumanza è ben noto: al Sud la scuola offre un’occasione per uscire dall’incubo della disoccupazione, e l’opportunità di uno stipendio che nelle aree meno floride del Paese ha un discreto valore, mentre in quelle più ricche è poco più che una miseria. Uno studio condotto un paio d’anni fa dagli economisti Tito Boeri (ora divenuto presidente dell’Inps), Andrea Ichino ed Enrico Moretti ha calcolato che un insegnante di Milano ha un potere d’acquisto inferiore del 32% rispetto a un suo collega di Ragusa, pur ricevendo la stessa busta paga.
PIÙ ALUNNI

Al Nord perciò l’offerta di forza lavoro docente latita, mentre cresce la domanda di istruzione, cioè il numero degli alunni: nelle regioni dove c’è più occupazione l’aumento dei residenti stranieri, immigrati extracomunitari mediamente giovani e quindi con figli piccoli, compensa il calo demografico degli italiani e fa salire la popolazione in età scolastica. In Lombardia gli studenti sono circa un milione e 200 mila, in Sicilia meno di 800 mila, in Sardegna appena 200 mila. Ecco perché nel piano di assunzioni previsto dalla riforma Renzi-Giannini la fetta più ampia dei posti è prevista per la Lombardia: 8 mila insegnanti in più con il cosiddetto “potenziamento” degli organici, più altri 4 mila per coprire chi è andato in pensione, più un altro numero che sarà definito quando saranno più chiare le cifre della cosiddetta “fase B”. Come e peggio della Lombardia peraltro si trovano anche altre regioni, a cominciare da Marche ed Emilia Romagna che - come si diceva - hanno un rapporto insegnanti/alunno piuttosto alto. Ancora più alto è, a sorpresa, quello della Puglia, dove però sono tanti anche i precari da regolarizzare, e secondo stime sindacali diverse migliaia di pugliesi saranno costretti a trasferirsi se vorranno ottenere il ruolo sulla base della riforma renziana.
Le regioni con più esuberi sono sicuramente Campania e Sicilia. È da qui che proviene la maggioranza del personale docente italiano. Alcuni di loro, i più fortunati cioè quelli con più punti in graduatoria, riescono a ottenere il posto direttamente nella loro provincia. Gli altri puntano al viaggio andata e ritorno: vanno in Lombardia o in Romagna o in Veneto prima a fare le supplenze annuali, poi ottengono il ruolo, poi appena possono fanno domanda per avvicinarsi a casa, magari puntando prima sull’istituto della “assegnazione provvisoria”, e finalmente sul definitivo trasferimento. Spesso sono donne che a casa lasciano mariti e figli, e tutte le settimane fanno su e giù con i treni e le corriere, cercano di approfittare il più possibile delle festività e dei ponti, magari a volte aggiunggendoci qualche giorno di malattia. È un fenomeno che crea non pochi scompensi al sistema dell’istruzione italiana, ma che non è facile superare. Ogni tanto qualcuno propone la soluzione delle gabbie salariali: dare a chi lavora al Nord uno stipendio più alto. Ma certo per introdurre un cambiamento del genere non può bastare una riforma della scuola.
Pietro Piovani

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VALERIA ARNALDI, IL MESSAGGERO 6/7 –
La riforma della Scuola non è ancora stata approvata e già si annunciano ricorsi. O meglio, si preparano. Sono quattromila quelli già presentati da Anief per chiedere l’inserimento di insegnanti nelle graduatorie. E altrettanti quelli effettuati per ottenere la stabilizzazione e il risarcimento dei danni. In appena un mese. Ed è solo l’inizio. «Ci sono cinquantamila assunzioni da attuare ad anno iniziato, l’altra metà in corso d’opera – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief – Ci sarà una pioggia di ricorsi: oltre cinquantamila. Arriveranno da quanti, avendo superato i tre anni consentiti per contratti a tempo determinato, non si vedranno riconfermare le supplenze ma anche da quanti, idonei ai precedenti concorsi, sono esclusi dalle graduatorie a esaurimento. Tutti ricorsi ad alta probabilità di essere accolti».
LE RISORSE
D’altronde, è lo stesso governo a prevedere nella norma le risorse per pagare i danni che saranno richiesti dagli insegnanti non stabilizzati. O meglio, i danni per i quali lo Stato già attende la condanna al risarcimento. I numeri sono importanti. «Si parla complessivamente di almeno un miliardo di euro – prosegue Pacifico – e questo se i calcoli si fanno al ribasso, ossia tenendo conto del risarcimento minimo di ventimila euro. Ci saranno però, sicuramente, rimborsi più consistenti». I precari della scuola – e non solo – non sono tutti giovani neolaureati, ma anzi sono spesso over 40, con situazioni mobili sul lavoro.
Oltre a quelli che si rivolgeranno al giudice perché non compresi nella stabilizzazione, è possibile anzi probabile che diversi altri aprano un contenzioso per opporsi a un trasferimenti obbligato. «Tutta la procedura, per come è impostata, si presta ad aprire contenziosi – dice Massimo Di Menna, segretario generale Uil Scuola – Per non perdere la nomina, gli insegnanti dovranno presentare domanda di assunzione in tutte le province. Quindi chi vive e lavora a Napoli potrebbe essere costretto a spostarsi a Verona, pena la decadenza dal ruolo. Non sarà facile per persone di 45 o 48 anni, con famiglia». La questione degli spostamenti evidenzia la criticità delle assunzioni in più fasi. Quanti andranno a comporre il cosiddetto organico funzionale saranno assunti successivamente, quando nuovi posti potrebbero essersi liberati. «Così, i primi in graduatoria, primi anche ad essere assunti magari saranno costretti a trasferirsi, mentre chi era in posizioni più basse riuscirà a rimanere nella propria città».
LE PROCEDURE
Insomma il testo della norma potrebbe confondere gli attuali precari, futuri assunti o non-assunti, tanto da spingerli già adesso a informarsi per prepararsi al contempo a presentare domande o ricorsi. Le diverse sigle sindacali, nei prossimi giorni, terranno una riunione dei rispettivi uffici legali per dare risposte chiare ai propri iscritti e assisterli in caso di ricorso. Il numero delle immissioni in ruolo supera 100mila, almeno 50mila sono quelli che riceveranno la nomina successivamente – conclude Di Menna – e circa diecimila saranno costretti a spostarsi. Le richieste di informazioni e aiuto sono già numerose. La parte più consistente delle procedure si terrà ad agosto e questo complica ulteriormente le cose». Le scuole, dunque, più che correre il rischio di aprire i battenti nel caos, ormai sembrano averne la certezza. Un problema per i precari, per gli istituti, per gli studenti. E, forse, date le premesse, pure per i tribunali.

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GIANNA FREGONARA, CORRIERE DELLA SERA 21/8 -
A ncora un mese e mezzo fa, appena approvata la legge per la stabilizzazione dei precari il ministro Stefania Giannini ha promesso: «La scuola riparte a settembre con maggiore regolarità rispetto ad anni dominati dalla supplentite». È stato questo, del resto, il messaggio con cui un anno fa era cominciato il percorso della legge 107. L’eccesso di supplenti che a vario titolo insegnano nella scuola italiana è uno dei «mali» che le classifiche e le rilevazioni internazionali ci rimproverano regolarmente.
Ma più si avvicina settembre e più il numero di supplenti annuali necessari per far funzionare le scuole italiane cresce. Cresce a tal punto da avvicinarsi, secondo le stime meno ottimistiche, a quello degli scorsi anni. L’ultimo contingente è stato creato in questi giorni da una circolare del Miur. «Una mano tesa ai docenti», la definisce il sottosegretario Davide Faraone, dopo le proteste degli insegnanti che soprattutto dalle regioni del Sud, Sicilia, Sardegna e Campania in testa, si erano ribellati all’eventualità di dover accettare una cattedra lontano da casa visto che i posti disponibili in queste regioni sono pochi e i docenti delle graduatorie sono in proporzione molti di più. Secondo le disposizioni del Miur i docenti che nei prossimi giorni riusciranno ad ottenere una supplenza annuale dall’ufficio regionale potranno — quando all’inizio di settembre saranno chiamati a prendere la cattedra di ruolo secondo la distribuzione nazionale prevista dalla legge sulla scuola — accettare la cattedra e l’assunzione a tempo indeterminato ma optare per la supplenza annuale. Chi andrà al loro posto nella cattedra che è stata loro assegnata dal piano di assunzioni? Un altro supplente annuale. Quanti saranno gli insegnanti che riusciranno a restare vicino a casa ancora non si sa. Il sito «Tecnica della scuola» stima che tra Sicilia e Campania sono 6-10 mila gli insegnanti destinati fuori dalla propria regione.
Ma i conti delle assunzioni non tornano neppure se si vanno a spulciare le domande presentate dai prof entro il 14 agosto. Delle 70 mila ricevute, tra le 10 e le 14 mila sono state spedite da insegnanti delle scuole dell’infanzia, che sono nelle graduatorie ad esaurimento ma sono esclusi da questa stabilizzazione. Si aggiunga che altri 16 mila insegnanti dovranno essere utilizzati per coprire le cattedre del turnover che sono rimaste vuote. Non ce ne sono abbastanza per coprire tutti i 55 mila posti creati per il cosiddetto organico potenziato (insegnanti che coprono le supplenze brevi, che si occupano dei progetti aggiuntivi, dei laboratori e delle attività che dovrebbero rendere più moderna la scuola). Porte aperte dunque per altri 10-15 mila supplenti annuali. Che arriveranno soprattutto nelle scuole del Nord, dove peraltro si prevedeva già che per le cattedre di inglese, matematica e per il sostegno sarebbero serviti circa 10 mila supplenti. In Piemonte per esempio dei 4.254 posti di ruolo liberati dal turnover il Miur ha trovato solo 2.266 insegnanti da assumere. Nel Lazio mancano circa 700 insegnanti di sostegno. A Palermo le cattedre non assegnate dal piano sono solo 35.
È vero che ministero e uffici regionali promettono che sistemeranno insegnanti e cattedre entro il 15 settembre, ma i presidi sono già sul piede di guerra. Che fine faranno il piano per il merito, i progetti che le scuole devono preparare, l’offerta formativa? C’è ora anche il rischio concreto che si debba ricorrere ad altri supplenti per le assenze brevi, che la riforma a regime si propone di cancellare. «Così si rinvia la partenza della riforma, una scelta pericolosa perché tra un anno ci troveremo nelle stesse condizioni e nel frattempo le scuole non possono attrezzarsi. Tra i nuovi assunti dobbiamo cercare vicepresidi e collaboratori ma questo rende tutto più complicato», protesta Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione dei presidi. «La riforma ha bisogno di tempo — interviene Francesca Puglisi, responsabile scuola Pd — l’anno prossimo ci saranno il concorso e il piano di mobilità straordinaria, questo sarà un anno di transizione».

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C. VOL., CORRIERE DELLA SERA 19/8 –
Ci saranno ancora i supplenti. Ci saranno professori di materie della stessa area, ma non per forza della materia che servirebbe. Un insegnante neoassunto su cinque arriverà da una regione diversa, la metà partirà dal Sud per trasferirsi al Nord. Ma 102.734 precari firmeranno un contratto a tempo indeterminato. Ci saranno poi le proteste, assemblee, raccolte firme, ricorsi. Ma il primo settembre 2015 la «Buona scuola» di Matteo Renzi e Stefania Giannini arriverà in classe. «In realtà avremo la stessa scuola di prima — sorride Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale Presidi —, perché la vera “Buona scuola” entrerà a regime nel 2016: ma ora con le assunzioni si avvia una lunga preparazione al prossimo anno».
Già, perché quest’anno scolastico vedrà insegnanti meno precari in classe grazie al piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107 (102.734 immissioni), ma anche molte materie senza il prof giusto a insegnarle. Perché le assunzioni sono previste solo per i docenti iscritti nelle Graduatorie a esaurimento (Gae) e in quelle del concorso 2012. Ma in quelle liste, per certe materie, non ci sono abbastanza insegnanti. Mancano ad esempio nelle regioni del Nord insegnanti di matematica. O quelli per i laboratori (insegnamento che invece la «Buona scuola» intende rafforzare e ampliare sempre di più). Nel Lazio e a Brescia non ci sono professori di spagnolo. Non solo. Per le assunzioni conterà l’ambito disciplinare e non la singola materia.
Le scuole dunque dovranno ricorrere anche questa volta ai supplenti annuali, cioè a quell’organico di istituto dal quale da anni pescano per coprire i buchi. Dovranno essere nominati entro l’8 settembre: chi vorrà, potrà scegliere il posto fisso o aspettare il prossimo anno e quindi trascorrere questo nella scuola di sempre, vicino a casa.
Perché, proprio a causa dello squilibrio tra domanda e offerta, molti neoassunti dovranno spostarsi di regione: troppi insegnanti per pochi posti. Succede in Sicilia, dove il 14% dei prof ha solo il 4% delle cattedre disponibili. Un algoritmo del sistema informatico del Miur che assegna i posti favorisce la vicinanza in base alla prima provincia di preferenza come spiega la Faq (domande frequenti, ndr ) 22 sul sito del Miur, «l’assegnazione degli aspiranti ai posti avverrà con una particolare attenzione a garantire — al massimo delle possibilità — che ciascuno sia assegnato proprio alla prima tra le province secondo l’ordine delle preferenze espresse». Ma succederà che un prof di Palermo finisca a Torino.
E perciò migliaia di futuri neoassunti sono già sul piede di guerra: «Non ci deporterete». Con l’Anief pronta a raccogliere decine di ricorsi: «In 14 mila si dovranno spostare dalla propria regione — dice Marcello Pacifico —, la metà arrivano da Sicilia e Campania». Ma il Miur fa sapere che già nel 2014, quando la «Buona scuola» non c’era, circa 7 mila precari di Sud e isole si iscrissero nelle graduatorie del Nord per accelerare l’assunzione.
«Non si può pretendere il posto sotto casa se non c’è — spiega Rino Di Meglio della Gilda —, ma il ministero doveva pensare al fattore umano: si dovranno far traslocare donne con figli in un’altra regione a 1.300 euro al mese, il problema c’è». Per Domenico Pantaleo, Flc Cgil, «questo ennesimo pasticcio dimostra che la riforma è fatta da chi a scuola non ci ha mai messo piede». Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone invece sottolinea: «Grazie alle oltre 100 mila assunzioni ogni istituto avrà a disposizione tutti gli insegnanti di cui ha bisogno per realizzare veramente l’autonomia. Insegnanti da serie A, senza distinzioni. Stiamo cercando il più possibile di limitare disagi legati agli spostamenti, ma l’obiettivo ultimo è dare ai ragazzi — e all’Italia del domani — la scuola che si meritano».
C. Vol.

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CLAUDIA VOLTATTORNI, CORRIERE DELLA SERA 19/8 –
Preside Fattorini, è pronto per la «Buona scuola»?
Sorride. Quarantatré anni, da tre alla guida del liceo scientifico Labriola di Ostia, Ottavio Fattorini la «Buona scuola» la mette in pratica già da un pezzo. Lui che, mesi fa, nel suo istituto ha lanciato con successo il progetto Dada, Didattiche per ambienti di apprendimento, con gli studenti che si spostano di aula in aula al cambio dell’ora e i docenti che interagiscono via tablet con loro creando progetti insieme, e le classi con colori diversi in base alle materie insegnate. Il tutto in una scuola di frontiera, in quel quartiere sul mare della periferia di Roma diventato famoso per l’inchiesta su Mafia Capitale. «Il nostro è un presidio di responsabilità civile, la nostra scuola uno spaccato positivo di un’area degradata. Ma non è merito mio, la nostra è una scuola fatta di democrazia partecipata in tutte le fasi, una comunità vera in cui ognuno fa la sua parte».
Dal primo settembre, cosa cambierà nella sua scuola con le assunzioni di questi giorni?
«In realtà sarà tutto come prima. Ho 100 docenti, un 10 per cento di loro sono precari, ma ci sono casi in cui il precariato arriva al 40 per cento. Nella scuola c’è una quota fisiologica, tra part time, dottorati, assegnazioni provvisorie... Avrò tutti gli insegnanti che servono, ma dopo la compilazione del Piano di offerta formativa sceglieremo quelli necessari per l’autonomia e lì vedremo cosa accade».
Può arrivare qualche docente non adatto alla materia di cui la scuola ha bisogno?
«Il sistema informatico del Miur che assegna le cattedre può creare qualche disagio, perché ad esempio sceglie l’ambito disciplinare senza specificare la materia: io potrei trovarmi un prof di geografia astronomica che insegna matematica».
Sarà un «preside sceriffo»?
«Quando se n’è parlato, i miei insegnanti mi hanno regalato una stella. Ma io dico sempre che i colori ci devono stare per fare un bel quadro: se la scuola funziona come una comunità, il dirigente è solo la guida. Mi piace ricordare una recente ricerca: il 95% dei professori sceglie questo lavoro per vocazione e io di docenti motivati ne vedo tanti».
Claudia Voltattorni

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VALENTTINA SANTARPIA, CORRIERE DELLA SERA 15/8 –
Le tessere non ci sono ancora tutte, ma il puzzle delle assunzioni della riforma della scuola prende forma: l’80% dei precari che aveva diritto a presentare la domanda per un contratto a tempo indeterminato ha compilato l’istanza online per ottenere, entro il 1° settembre, l’ingresso giuridico nella scuola.
«Siamo molto soddisfatti — dice il ministro Stefania Giannini — la piattaforma ha funzionato e i candidati hanno capito l’importanza di partecipare». Si tratta di 71.643 iscrizioni, provenienti da uomini e (soprattutto) donne di tutta Italia, con una prevalenza di richieste dalle regioni del centro sud (il 60%), come previsto. «Per 71.643 persone si apre una concreta possibilità, fino ad oggi negata e tradita da anni di disinteresse da parte della politica. L’Italia torna a credere nel proprio futuro. Un futuro meno precario. Buon ferragosto» ha scritto il premier Matteo Renzi su Facebook.
Il boicottaggio non c’è stato, complici anche i sindacati che, pur contestando il piano di assunzioni, hanno spinto gli insegnanti a compilare la domanda per non rischiare di essere esclusi e non precludersi la possibilità di un ricorso in tribunale.
Sono Sicilia, con 11.864 domande, Campania (11.142), Lazio (7.125), Puglia (6.040), Calabria (4.314) le regioni da cui proviene la fetta più consistente di docenti pronti a occupare una cattedra, che per molti di loro sarà provvisoria: gran parte di questi neo assunti, infatti, andrà a ricoprire i posti dell’organico funzionale, quelli che saranno definiti entro ottobre dopo che le esigenze espresse dai dirigenti scolastici saranno incrociate con le preferenze degli insegnanti sulle province dove essere sistemati. Sono ruoli legati a progetti integrativi, molto diversi dal posto fisso destinato ai 29 mila che hanno già firmato un contratto nei giorni scorsi. «Abbiamo già immesso in ruolo molti più insegnanti dello scorso anno e con un mese di anticipo — conferma Giannini —. A metà settembre, con l’avvio delle lezioni, avremo coperto le cattedre vacanti e daremo più continuità didattica ai nostri ragazzi». In realtà nel 2014, con il normale turn over, ne erano stati ammessi 23 mila, quindi non una cifra così inferiore: ma è vero che a questi già inseriti a tutti gli effetti vanno aggiunti i 16 mila posti vacanti rimanenti.
Per coprirli gli Uffici scolastici regionali chiameranno direttamente gli insegnanti che hanno punteggi più alti entro la prima metà di settembre: è la telefonata in cui tutti i precari sperano. «Sono più a terra che mai», scrive in Rete una docente dopo aver presentato la domanda, «all’idea di ricominciare daccapo, mettere da parte famiglia e affetti più cari».
Qual è il destino di chi è arrivato alla scadenza del 14 agosto senza candidarsi? Non sarà espulso dalle aule: la chiusura delle graduatorie a esaurimento non avverrà — se non altro perché vi ristagnano i maestri dall’infanzia, i 23 mila che saranno assunti con l’attuazione delle deleghe — e continuerà ad avere supplenze. Un destino che a molti (16 mila secondo l’Anief) è parso meno peggio dell’emigrazione forzata.
Valentina Santarpia

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ROBERTA CARLINI, INTERNAZIONALE.IT 21/8 –
Ventitremila maestre della scuola materna. Dai venti ai trentamila supplenti annuali. Più le migliaia di abilitati entrati in graduatoria fuori tempo massimo per mano del giudice. Senza contare le decine di migliaia di iscritti alle liste d’attesa d’istituto. È abbastanza nutrita la schiera dei precari rimasti dopo il piano straordinario di assunzioni della Buona scuola.
Nonostante uno degli obiettivi espliciti e propagandati della riforma fosse proprio l’abolizione del precariato, un breve sguardo ai numeri (ove disponibili: nell’opaco mondo del precariato scolastico non è impresa facile trovarli e distinguerli) rivela che la missione è fallita. Il precariato scolastico, alla vigilia dell’apertura dell’anno 2015-2016, è più vivo che mai.

Graduatorie a esaurimento non esaurite
Il piano straordinario di assunzioni è riservato a loro, i precari storici delle gae (graduatorie a esaurimento). Li assumiamo – creando ad hoc l’universo dell’organico potenziato per coloro che non riescono ad avere la cattedra quest’anno per il normale avvicendamento del turn over – e chiudiamo la gae, era la promessa: del resto, non lo dice la parola stessa? “Graduatorie a esaurimento”: nel senso che devono esaurirsi, non far entrare più nessuno. Così aveva detto l’allora ministro Giuseppe Fioroni, smentito poi dai fatti del decennio successivo.
Ma anche stavolta le gae non si chiudono. Prima di tutto perché la stessa legge esclude del tutto dalle assunzioni le maestre precarie della scuola materna: saranno stabilizzate quando si attuerà una delle deleghe della legge stessa, la riforma che dovrebbe unificare asili nido e materne. Sono circa 23mila, e anche se molte di loro hanno fatto comunque domanda di assunzione per il piano straordinario (perché vantano altri titoli o solo per provarci, non si sa mai), per ora restano precarie e contano i punti in graduatoria.
Andando avanti, nella scuola elementare, un’altra delusione. Anche qui le gae restano aperte. Infatti è successo che, proprio mentre il parlamento a tappe forzate approvava il piano per svuotarle, il consiglio di stato e tribunali vari ci infilavano dentro altri precari: maestre che avevano preso il diploma quando ancora era definito “abilitante”, e che quindi hanno vinto la battaglia in tribunale per essere ammesse d’ufficio in graduatoria. L’ultima sentenza, ai primi di agosto, ha riguardato i diplomati del 2001. In tutto pare che siano almeno quattromila gli abilitati inseriti in graduatoria per sentenza, da luglio ad agosto. Non sono previsti nel piano straordinario – e dunque andranno ad alimentare la macchina dei ricorsi – e per ora restano in graduatoria.
A costoro vanno aggiunti di 24-25mila inscritti alle gae che non hanno fatto domanda di assunzione: che ne sarà di loro? Secondo le intenzioni della riforma dovrebbero perdere ogni diritto ed essere depennati. Ma la legge è chiara solo su un punto: chi ha fatto domanda e poi rifiuta la sede viene cancellato dalla gae. Non dice altrettanto esplicitamente che viene cancellato anche chi non ha fatto domanda. Anche qui, materia per tribunali e associazioni sindacali specializzate in ricorsi dei precari.

I supplenti annuali
L’altro grande gruppo di precari sopravvissuti è stato creato dallo stesso meccanismo previsto dal ministero per le assunzioni: riguarda le supplenze annuali. Facendo venire prima la nomina dei supplenti e poi l’assunzione in ruolo con il piano straordinario, il Miur (soprattutto attraverso l’opera del sottosegretario siciliano Davide Faraone, sensibile al grido di dolore dei precari che non vogliono/possono trasferirsi), ha permesso che l’assunzione possa slittare di un anno per chi ha una supplenza annuale: chi vuole, fa prima il 2015-2016 con l’incarico annuale – spesso più vicino a casa – e poi sarà assunto l’anno prossimo, nella sede assegnata dall’algoritmo ministeriale.
Questo meccanismo ha fatto sì che tutti coloro che temevano di dover cambiare sede per essere assunti hanno premuto per avere la supplenza annuale; e che, di conseguenza, le sedi dove sarebbero dovuti andare restano vacanti, “chiamando” altri supplenti annuali. Risultato: quest’anno i supplenti settembre-giugno saranno anche di più dell’anno scorso. Dai 20mila ai 30mila, si stima.

I precari più precari: le graduatorie d’istituto
Non si sa neanche quanti siano, gli aspiranti docenti iscritti nelle graduatorie d’istituto per racimolare supplenze. Alcuni sindacati parlano di duecentomila iscritti: ma la cifra potrebbe essere esagerata, poiché ci sono molte sovrapposizioni (una stessa persona può far domanda in varie scuole) e non c’è un’anagrafe o una rilevazione nazionale. Sta di fatti che i docenti provenienti da queste graduatorie spesso “salvano” le scuole, soprattutto su alcuni insegnamenti, come la matematica, per i quali non ci sono a disposizione docenti dalle gae (mancano all’appello, in tutt’Italia, oltre tremila prof di matematica).
Gli iscritti alle graduatorie d’istituto sono laureati, quasi sempre abilitati da Tfa, Ssis, Pas e le varie sigle che man mano hanno fatto da illusoria porta d’accesso all’insegnamento. Ma molti di essi potrebbero anche essere professionisti, persone che hanno altri lavori e che hanno messo un piedino nella scuola perché, con i tempi che corrono, non si sa mai. Per tutti costoro la fine del precariato è spostata in avanti, all’anno 2016. Quando, impegno solenne del governo, si bandirà il nuovo concorso, in tempo utile per salire in cattedra con l’anno scolastico 2016-2017. Lo stesso in cui almeno sulla carta dovrebbe entrare in vigore il grosso della riforma: a partire dalla formazione degli albi territoriali dei docenti, all’interno dei quali i presidi dovranno scegliere i docenti da chiamare.

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ROBERTA CARLINI, INTERNAZIONALE.IT 17/8 –


Adesso si aspetta solo il tweet di Salvini contro l’invasione scolastica dei professori terroni. A tre giorni dalla chiusura delle domande per il piano straordinario di assunzioni abbinato dal governo alla riforma della scuola, è evidente nei numeri quel che era scritto nel mondo della scuola, a caratteri cubitali, da decenni: la maggior parte dei precari da assumere sta al sud, mentre gli insegnanti servono di più al nord. E non è – stavolta – colpa di Renzi.

Già monta una guerriglia retorica fatta di opposte assurdità: quella nordista contro l’arrivo dei professori del sud nei posti lombardi, veneti, liguri, piemontesi (quasi settemila solo dalla Sicilia, più di cinquemila dalla Campania), e quella sindacale contro la “deportazione” dei precari.

Sul primo punto, ha già alzato la voce Valentina Aprea, assessora lombarda all’istruzione ed ex sottosegretaria al ministero dell’istruzione (Miur) nei governi Berlusconi: il governo doveva tener conto del rapporto tra graduatorie provinciali e posti disponibili nella stessa provincia, ha detto. In sostanza, chiudere le frontiere scolastiche, privilegiando i precari autoctoni. Opposta la ricetta dei sindacati e dei vari comitati dei precari: contro la deportazione, chiedono di rivedere la disponibilità dei posti. In sostanza, assumere i precari non dove servono ma dove vivono.

La carica dei settantamila

Per quanto messi sempre insieme nella propaganda politica, i famosi “oltre centomila” precari da assumere erano in realtà fatti di due spezzoni: i docenti precari che, anche senza riforma, sarebbero comunque entrati in ruolo quest’anno andando a sostituire i colleghi che andavano in pensione (sono 29mila, un po’ meno rispetto all’anno scorso), e quelli che entrano per il “piano straordinario” previsto dalla riforma e dal governo vincolato alla sua totale e rapida approvazione. Piano riservato agli iscritti alle graduatorie a esaurimento (gae), con l’esclusione degli insegnanti della scuola materna, per il quale hanno presentato domanda in 71.643, ha fatto sapere il ministero allo scadere del termine.

Secondo i calcoli diffusi dalle stesse fonti ministeriali, uno su cinque, tra gli iscritti alle gae, non ha presentato la domanda per essere assunto. Presentata come una grande vittoria sulla protesta del mondo della scuola (come se questa potesse spingersi all’autolesionismo e portare a rifiutare un posto di lavoro), questa cifra è in realtà perfettamente coerente con le premesse del piano stesso.

I giovani laureati e specializzati con i tirocini formativi sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni

Il piano ha infatti voluto limitare le assunzioni alla più vecchia e calcificata delle graduatorie, universo enorme e sconosciuto ma nel quale, si sapeva già, sono rimaste iscritte anche persone che non lavorano da anni, o hanno altri lavori, o facevano pochissime supplenze poiché, non potendo o volendo muoversi, accettavano solo quel che si trovava vicino casa. Insomma, non era proprio un esercito di giovani mobili (età media sui 50). Questi ultimi, i giovani laureati e specializzati con i tirocini formativi, nonché i precari delle graduatorie di istituto, sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni.

Quelli che hanno fatto domanda, comunque, hanno dovuto accettare le regole del gioco: esprimere la propria priorità sulle province dove si potrà lavorare, e aspettare che l’algoritmo ministeriale, combinando preferenze ed esigenze territoriali, assegni la sede. È una cosa assurda? Difficile sostenerlo, in un paese nel quale il sistema scolastico è (ancora) nazionale e non confederato. È una deportazione? Un po’ esagerato il termine, in un momento in cui i mari e le coste sono pieni di cadaveri di persone che rischiano la vita per cercare un lavoro.

Ma quanti dovranno spostarsi, dei settantamila? Secondo il sindacato Anief, specializzato in ricorsi del personale scolastico, “un docente su cinque sarà assunto in una regione diversa da quella scelta”, e dovranno trasferirsi dal sud al nord 15mila persone. Lo stesso sindacato ha calcolato la differenza, regione per regione, tra le domande presentate e i “posti” disponibili (sommando quelli previsti dal potenziamento dell’organico, previsto dalla riforma, e quelli di sostegno, insomma quelli che i tecnici del Miur hanno chiamato fase B e C delle assunzioni).

Le regioni a più alto tasso di “esodo” sono Campania e Sicilia, ma avranno un saldo negativo (più precari che posti) anche Lazio, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise, Basilicata. Mentre sono importatori netti di precari la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, la Liguria e il Friuli. Ma questi numeri potrebbero non corrispondere alla realtà, alla fine dei conti, dato che pare che tra le settantamila domande ce ne siano molte irricevibili, perché provenienti dalla scuola dell’infanzia.

Secondo le stime che girano tra gli addetti ai lavori (si veda il sito Tuttoscuola), in realtà le domande valide sono circa 61mila, dalle quali andranno poi detratti molti precari che nel frattempo vanno a occupare posti vacanti che si liberano. Non solo: tra i proponenti domanda, c’è anche chi ha appena ricevuto un incarico di supplenza annuale – magari sotto casa sua – e dunque, per decisione dello stesso ministero, potrà completare il suo anno prima di prendere servizio. E nel frattempo farà ricorso per restare dov’è.

Niente algoritmo

Mentre si litiga sul “dove”, non è affatto chiaro il “cosa”: che andranno a fare i settantamila (o meno) assunti col piano straordinario della Buona scuola? Su questo dettaglio, buio totale. Il ministero non ha dato alcun numero ufficiale sul lato della “offerta”: dove servono i posti di potenziamento, e per fare cosa.

Le scuole hanno mandato le loro preferenze, ma non è detto che saranno incrociate con le disponibilità dei professori: in questo campo, niente algoritmo. Potrebbero aver chiesto più docenti di fisica, e trovarsi con molti letterati (che predominano nelle graduatorie a esaurimento) e anche con qualche stenografo (le ore di stenografia non ci sono più, ma i docenti sì). Secondo l’idea del governo, il fatto che ogni scuola abbia a disposizione un gruppetto di docenti fissi in più dovrebbe aiutare a organizzare il lavoro, “potenziare” l’offerta formativa e soprattutto coprire le assenze brevi dei docenti di ruolo.

Ma l’immissione delle forze fresche avviene con i più antichi dei criteri e i più consolidati copioni del mondo scolastico: elenchi infiniti, slalom tra province e graduatorie, punti da contare e ricontare, trasferimenti, ricorsi. Non c’è alcuna traccia, per esempio, del nuovo potere dei presidi nella scelta degli insegnanti: essendo stato tutto il “nuovo” della riforma rinviato all’anno prossimo, per impossibilità di procedere nei tempi strettissimi che il governo ha imposto per far passare tutto il pacchetto.

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FLAVIA AMABILE, LA STAMPA 18/8 –
Ci sono 20.429 precari che dovranno fare le valigie, se vorranno continuare a lavorare nella scuola. Sono quasi un precario su tre di quelli che hanno fatto domanda, e sono quasi tutti del Sud. Da ieri è iniziata l’assegnazione dei 48mila e oltre posti della fase B del piano straordinario di assunzione del governo Renzi. Iniziano a circolare le prime cifre in grado di dare un’idea di quello che accadrà nelle prossime settimane. Il sindacato Anief ha messo a punto una tabella mettendo a confronto le domande arrivate per partecipare alle fasi B e C del piano e i posti effettivamente disponibili.
«Sono dati ancora provvisori - spiega Marcello Pacifico, presidente dell’Anief - È molto più probabile che, alla fine, quando si concluderanno tutte le procedure di assegnazione, a spostarsi davvero sarà un numero di precari inferiore, direi una forbice compresa tra uno su tre e uno su cinque».
Per avere dati più accurati sarebbe necessario avere la suddivisione tra le regioni dei 18mila posti che non sono stati assegnati nelle fasi precedenti e secondo il Miur ci sono ancora circa 14mila posti che alla fine verranno ridistribuiti. Le cifre potrebbero cambiare ma non muteranno di molto le percentuali che stanno emergendo in queste ore.
In totale i posti disponibili per le fasi B e C sono 69.552. Verrà chiesto di emigrare al 57,51% dei precari siciliani, al 51,50% di quelli calabresi e al 46,1% dei campani. Sono le tre regioni da cui la migrazione verso altre regioni è decisamente più alta, circa un precario su due non troverà posto se non lontano da casa. Andranno nelle regioni dove ci saranno più posti disponibili: in Lombardia, dove rispetto alle domande arrivate dai precari lombardi avanzano 1401 cattedre, in Piemonte 1037, in Liguria 701. Altri posti avanzano in Friuli ed Emilia Romagna, ma molti di meno.
In totale, a dover fare la valigia da Sud a Nord saranno 17291 precari del Sud e alcuni del centro Italia: 1925 dal Lazio, 204 marchigiani, 992 toscani. Quasi salvi gli umbri, solo in 17 non troveranno il posto in regione. Anche i sardi possono dire di non passarsela troppo male: in 71 non troveranno posto nella loro regione su 1747 che hanno fatto domanda.
«L’esodo che avverrà quest’anno è solo l’inizio - avverte Antonio Antonazzo, referente dei precari per la Gilda Insegnanti - L’anno prossimo andrà anche peggio perché ci sarà il piano straordinario di mobilità che prevede che tutti quelli che sono entrati in ruolo possono chiedere il trasferimento e avranno il diritto di tornare al Sud costringendo chi era stato assunto nell’ultima fase, la C, a trasferirsi al Nord. È un meccanismo davvero incredibile quello che è stato previsto da questa legge».
A complicare ancora di più le vite dei precari che decideranno di trasferirsi c’è anche il rischio di vedersi annullare fra qualche anno il posto ottenuto perché i sindacati stanno preparando migliaia di ricorsi.
«Sono 15mila i posti che rimarranno scoperti, il Miur deve allargare le immissioni in ruolo anche ai precari abilitati fuori delle graduatorie ad esaurimento - avverte Marcello Pacifico - Per di più l’amministrazione, invece di fare chiarezza, ha pubblicato delle Faq discordanti e assegnerà i posti secondo un algoritmo i cui criteri sono secretati. Confermando la mancanza di rispetto per i tanti precari che dopo aver servito lo Stato per anni sono stati sottoposti al ricatto dell’assunzione a centinaia di chilometri da casa, in barba al diritto di famiglia; in secondo luogo per la nostra Costituzione e per la Carta europea dei diritti dell’uomo. Pertanto la via del ricorso è lecita, oltre che al momento l’unica praticabile».