Cesare Giuzzi, Corriere della Sera 21/8/2015, 21 agosto 2015
GIANNI, IL KILLER PACHISTANO CHE AL MICROFONO DICEVA: «QUI È PIENO DI BALORDI»
«Chiamatemi Gianni». Muhammad Adnan stava lì con il pizzetto appena accennato e la bustina da cuoco in testa, a recitare la parte che da queste parti già fu di un tizio taciturno e stralunato, quel Guglielmo Gatti che fece a pezzi gli zii e andò davanti alle telecamere a chiedere la cattura degli assassini.
E così il pizzaiolo del «Dolce & salato» s’era scelto quel nomignolo così lombardo – Gianni – per prendere per il naso giornali e televisioni. Gianni che in una settimana aveva finito per diventare amico dei cameramen delle dirette tv davanti al locale dei Seramondi, e allora ogni tanto si avvicinava e buttava lì qualche domanda: «Ma li stanno prendendo? La polizia cosa dice?». E ogni volta che si affacciava una nuova pista, un’indiscrezione nelle indagini, tirava il fiato quasi con un ghigno: «Speriamo...».
Sperava e recitava, Muhammad, anche quando a meno di due ore dal delitto ripeteva che «alla Mandolossa non si vive, la zona fa schifo». Accusava prostitute e spacciatori, e la polizia «che risponde male» e non interviene. «Frank? No non lo conoscevo. Come mi chiamo? Scrivete Gianni, tutti mi conoscono come Gianni». E a riascoltare oggi quelle parole in italiano zoppicante che d’improvviso accelera fino a diventare un farfuglio, sembra di cogliere l’inizio di una confessione.
Invece Muhammad Adnan, 32 anni da Bahawal Nagara, Pakistan, fino a domenica pomeriggio era l’insospettabile. Lui, l’uomo del fucile a canne mozze che entra nella pizzeria di via Val Saviore e scarica i pallettoni al collo di Frank Seramondi e Giovanna Ferrari. Ha confessato, e davanti ai magistrati bresciani ha raccontato di avere assoldato l’indiano, Sarbjit Singh, 33 anni, promettendogli 15 mila euro e dandogliene soltanto 1.500 per convincerlo a salire sullo scooter e fuggire con lui dopo il delitto in un appartamento di via Garibaldi a Casazza, nella Bergamasca.
Sarbjit era arrivato in Italia chiamato dal fratello Ravinder che ha 38 anni e vive con moglie e tre figli a Villongo (Bergamo) dove lavora come operaio. Aveva vissuto nella stessa casa per un paio d’anni, aveva lavorato per poco e con poca voglia a un banco di frutta e verdura nei mercati, poi altrettanto svogliatamente come fiorista tanto da essere cacciato con la nomea del lavativo. «Non voleva imparare l’italiano, non voleva integrarsi», racconta il fratello che un anno fa lo ha cacciato di casa. «Ci siamo sentiti una sola volta al telefono. In India aveva moglie e una figlia».
Un mese fa tramite un amico era riuscito a farsi consegnare le chiavi dell’appartamento di Casazza: «Doveva restare solo un mese», racconta il proprietario. I poliziotti di Brescia sono arrivati a Casazza il giorno prima degli arresti grazie anche a un’impronta digitale lasciata sulla vetrina del negozio dei Seramondi. Lo hanno fermato domenica su una Ford Fiesta mentre insieme con Adnan stava andando a disperdere alcuni pezzi dello scooter usato per il delitto. Per parlare con i magistrati Sarbjit Singh ha avuto bisogno di un interprete. Anche Muhammad Adnan s’è servito del traduttore, ma solo per essere certo che gli investigatori comprendessero ogni parola, ogni indicazione che permettesse di recuperare il fucile e il fodero buttati in un fossato in via Roncadelle.