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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

GALLINARI: «IN NAZIONALE FACCIO IL JOLLY E MI DIVERTO»

Quattordici milioni e non sentirli... Nell’estate in cui, col prolungamento di contratto coi Nuggets, Danilo Gallinari è entrato nella top 30 dei cestisti più pagati del pianeta, è felice di essere il Gallo di sempre, di ritorno in Nazionale dopo 3 anni, pronto alla sfida dell’Europeo e di un’Olimpiade da conquistare assieme ad altri ragazzi che, come lui, in questi anni, hanno saputo far sognare il basket italiano senza mai stringere, però, un risultato concreto in azzurro.
In Italia sono gasati perché per la prima volta dal 2011 la Nazionale è al completo, compresi voi «americani». Allora finì male, cosa è cambiato?
«Abbiamo tutti più esperienza, conoscenza delle differenze tra la pallacanestro a cui siamo abituati nella Nba e quella necessaria in un Europeo. E c’è più conoscenza di noi stessi».
Siete stati già etichettati come la Nazionale più forte di sempre...
«Siamo una squadra molto stimolante ma finora non abbiamo combinato veramente niente e l’anno in cui c’eravamo tutti è stato disastroso».
Ha trovato una Nazionale diversa dopo 3 anni, o tecnicamente lavora sugli stessi concetti?
«Il canovaccio è lo stesso ma la prima esperienza assieme ci ha marcato molto perché è stata una brutta esperienza e i risultati sono stati pessimi. Era il primo anno col coach, c’erano cose tecniche e tattiche da smussare, ci abbiamo lavorato. Ci sono state altre estati, non tutti assieme, ma con lo stesso tecnico e un nucleo che ha portato risultati. Rispetto al 2011 è tutto diverso».
Le piace sempre rituffarsi nel basket europeo?
«Si, lo faccio sempre molto volentieri perché è diverso, non solo per le regole o gli arbitraggi, ed è bello misurarsi in due mondi differenti».
In Europa gioca più vicino a canestro.
«E’ bello, puoi crescere in altri ruoli non abituali e poi serve alla squadra: sono contento di spaziare in campo dal play al pivot. La versatilità, se usata a nostro vantaggio, è la nostra arma migliore».
Come ha trovato, o ritrovato, i compagni che sono rimasti in Italia?
«Molto bene, c’è un Cinciarini miglioratissimo rispetto all’ultima estate assieme di 3 anni fa. Con Gentile non avevo mai giocato né assieme né contro quindi è stata una scoperta assoluta molto positiva. E da tifoso Olimpia sono contento che sia rimasto perché ci serve molto più a Milano. Hackett sta bene fisicamente dopo anni un po’ problematici sotto questo aspetto e quando è in queste condizioni di forma è dura per tutti fermarlo».
Come vive la routine delle squadre europee?
«Mi dà la possibilità di tornare a quando ero piccoli e di fare una cosa diversa: abituato per 7 mesi a non vivere con la squadra e stare in camera da solo, qui stiamo sempre assieme».
Con chi è in camera?
«Con Poeta, ormai siamo una coppia di fatto».
Prenderà 46 milioni in 3 anni. stupisce ancor di più la sua normalità.
«Mi sono sempre ritenuto una persona normale e mi hanno sempre dato molto fastidio quelli che, perché si trovano con molti soldi, cambiano. Ho sempre detto a me stesso che non sarei stato così e in questo modo mi hanno cresciuto: indipendentemente da quello che ti succede nella vita, devi essere sempre lo stesso».
Quello che ha attorno, però, non è normale. Follie?
«No, i soldi, per come sono fatto io, sono fondamentali ma la salute è molto più importante. Soprattutto dopo quello che ho passato con gli infortuni. E non ho sfizi particolari da togliermi».
Che macchina ha?
«Una Toyota Sequoia, in Italia non c’è perché in strada non ci passerebbe...».
L’ha aiutata a tenere i piedi per terra aver convissuto normalmente con il dono di un talento assoluto, fin da giovanissimo?
«Secondo me si, ma conoscete anche la mia famiglia che mi ha aiutato molto ed entra in gioco se sbaglio. Ancora adesso, soprattutto mia mamma, se faccio il pirla mi tira una sberla... ma è anche il mio carattere».
Pensa mai a cosa sarebbe successo senza infortuni?
«Qualcosa di diverso poteva accadere anche a livello di risultati personali. Se avessi giocato il primo anno da matricola a New York, avrei potuto diventare rookie dell’anno, andare all’All Star magari anche alla gara del tiro da tre... Imporsi già il primo anno avrebbe aiutato a crearmi un nome subito e a togliere da dosso gli stereotipi sui giocatori europei. E a Denver nel 2013 eravamo pronosticati per la finale Ovest e mi sono infortunato alla vigilia dei playoff. Quando ci ripenso dico “porco cane”. Ma sono qua ».
Restare a Denver potrebbe allontanarla dal vertice Nba. Pensa mai che magari in Europa oggi potrebbe aver vinto molto di più?
«Ho fatto la scelta di giocare in America, poi si vedrà... Sto bene a Denver, è uno dei motivi per cui firmato: mi piace la città, nei miei confronti c’è molto affetto, le persone sono super, poco invasive, un’isola felice. Vorrei vincere lì».
Conferma che vivrà negli Usa a fine carriera?
«Tutto può cambiare, ma penso proprio di sì: in Italia ho amici, famiglia, la Nazionale».
Cosa rappresenta questo momento azzurro?
«Una sensazione molto bella che la Nba non ti può dare: stare con dei ragazzi che conosco da quando abbiamo 15 anni e poter combinare qualcosa assieme è un’idea che stuzzica molto».