Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 21 Venerdì calendario

L’EPOPEA DEI NUOVI RE DI ROMA, MA MOZZA ORECCHI A PADRINI CON L’AMBIZIONE DI FARSI MAFIA

Come folgorata, l’Italia scopre nel giorno dell’addio il boss Vittorio Casamonica. Soprattutto, scopre i Casamonica, antichi come Roma ma, evidentemente, non abbastanza per chi, in questi anni, anche a Roma li ha persi di vista.
Non è dunque più il caso di liquidare come stucchevole paccottiglia malavitosa l’ultima rappresentazione che lo ha accompagnato nel mondo dei vivi. La sestiga di cavalli neri del cocchio funebre, l’elicottero, la pioggia di petali di rosa, la Rolls Royce per il viaggio del feretro, le note del Padrino e la gigantografia che lo vorrebbe l’uomo immacolato che non è mai stato. Come un Re. Come un Papa. La faccenda, infatti, è piuttosto seria. Perché il Potere – a maggior ragione se criminale – vive anche della sua capacità di farsi Epica.
I Casamonica lo sanno bene. E, nello scegliere le parole del commiato per il sessantacinquenne Vittorio, hanno dimostrato di sapere che si sarà ricordati da morti per ciò che si è fatto da vivi («Hai conquistato Roma. Ora conquista il Paradiso»). Come sanno bene che per molto tempo la loro forza criminale è stata confusa per il folclore che non è mai stata. Un cocktail di tradizioni Rom per chi nomade non è più da generazioni e di ferocia di strada. Un grammelot di gergo da coatti e dialetti Sinti.
Come un fungo velenoso, a partire dalla metà degli anni Settanta, i Casamonica sono cresciuti per volume d’affari, peso criminale, forza di intimidazione. Erano l’utile ruota di scorta della Banda della Magliana nel quadrante orientale della città, e alla Banda sono sopravvissuti.
Perché demograficamente autosufficienti (il clan conta centinaia tra fratelli, cugini, nipoti, zii, spesso con gli stessi nomi di battesimo) e forti del vincolo del sangue. Tra gli anni Ottanta e Novanta, quelli “dell’emancipazione”, hanno potuto sostanzialmente acquisire e conquistare, con le buone e con le cattive, le principali piazze di spaccio, fedeli a una regola. Che il nemico si riduce invalido su una sedia a rotelle, spezzandogli le ossa una ad una, ma non gli si spara mai, perché sennò sono anni di galera.
È accaduto dunque che, nel vuoto di una mattina di agosto, nell’inerte disattenzione riservata a quel funerale, neanche fosse una cerimonia in costume, i Casamonica non abbiano dovuto far altro che prendersi una chiesa, la don Bosco, nel cuore della loro “diocesi” criminale (Cinecittà, Roma Est) e occupare un proscenio che, dal dicembre scorso, aspetta solo di conoscere chi sarà l’erede e il garante dell’equilibrio spezzato dalla fine di Mafia Capitale. “Pijiamose Roma” è l’epitaffio che ha consegnato all’Epica gli ultimi padroni assoluti della città, la Banda della Magliana. “Pijiamose Roma”, dicono ora loro, i Casamonica. O, comunque, sappiano tutti che è con loro che dovranno fare i conti gli aspiranti padroni della città.
Non fosse altro, appunto, perché – come dicono loro – “nun se spigne un grammo de coca o de fumo, a Roma” che i Casamonica non vogliano.
In fondo, il funerale di Vittorio è stato solo un modo per ricordare che i vecchi mozza-orecchi cresciuti all’ombra di Enrico Nicoletti (il cassiere della Banda della Magliana), dello strozzo e del recupero crediti, si sono fatti grandi. E vogliono contare come tali. Una mafia che corre per la M maiuscola e nelle cui case i camini sono sempre accesi, anche in estate, perché si possa bruciare tutto quello che va bruciato quando alla porta bussano le guardie. Una mafia che – tanto per dirne una – quando si trattò di liberarsi del pm che istruiva i loro processi, decise di comprarselo ricattandolo con il suo incontenibile appetito sessuale. Che posó con uno dei suoi uomini (Luciano) nella famosa cena che vide fotografati insieme Buzzi, Alemanno, il futuro ministro Poletti.
Vedremo se il funerale di Vittorio è un nuovo incipit criminale. Non fosse altro perché tra meno di tre mesi comincerà nell’aula bunker del carcere di Rebibbia il processo a quel Sistema criminale battezzato Mafia capitale, di cui i Casamonica sono stati ingranaggio cruciale. Vedremo soprattutto se e quanto durerà il regno di chi ora non ha più remore a definirsi Re. E a farlo nel più sfacciato dei modi.
Come se fosse finito il tempo degli indugi e l’eredità lasciata da Massimo Carminati vada reclamata senza mediazioni. Evidentemente mettendo anche in conto la reazione di quel pezzo di Stato e di politica che non potrà far finta che nulla è accaduto. O che Roma anche questo può tollerare in silenzio, come fosse parte del suo ormai stravolto paeaggio.
Vedremo soprattutto la longevità dei nuovi autoproclamati Re. A Roma, normalmente, non durano molto. E, soprattutto, la loro fine non è mai gloriosa.