Pino Aprile, Oggi 19/8/2015, 19 agosto 2015
GARIBALDI NON PAGAVA LE TASSE
Come finanzierà la ripresa il governo Renzi? Con il recupero dei circa 230 miliardi di evasione fiscale e corruzione. Alzi la mano chi l’aveva già sentita questa. Ok, rimettete tutti giù le mani. E ora alzi la mano chi crede che stavolta beccheranno gli evasori. Toh!, uno: come ha detto che si chiama, lei, scusi? È italiano? Quindi, il governo come potrebbe finanziare la ripresa? Con una “ripresa” mascherata di tasse da chi già le paga: una riduzione nominale e un aumento di fatto.
L’evasione fiscale si può eliminare (un po’ ne resterà sempre), se lo si vuole. In altri Paesi ci riescono, e non hanno avuto Leonardo da Vinci. Si potrebbe copiare da loro. Ma gli italiani o sono originali o non gli va di farle le cose. Se il nostro Paese facesse pagare le tasse pure ai furbi, oltre che ai fessi, si demolirebbero le basi della nostra storia nazionale: si finirebbe per parlar male di Garibaldi. Il quale, quando gli chiesero di pagarle, se la cavò con una letterina: «Sig. Esattore, mi trovo dell’impossibilità di pagare imposte». Firmato G. Garibaldi. La missiva originale è conservata nell’archivio del Monte dei Paschi, a Siena.
Forti di cotanto patriottico esempio, volete provare a scrivere all’Agenzia delle Entrate: «Mi trovo nell’impossibilità»? Non risulta che a Garibaldi Equitalia abbia sequestrato l’isola di Caprera, il rosso poncho o il candido destriero. A noi, che manco abbiamo un’isola, mi sa che...
Don Peppino il vizietto ce l’aveva: il figlio Menotti chiese in prestito una somma enorme al Banco di Napoli (perché non a una banca di Torino o Milano? Mentre Ricciotti, l’altro figlio, dopo aver visto cosa i piemontesi facevano al Sud, in Calabria, passò con i “briganti”). Regola del Banco era «chiacchier’e tabacchiere ‘e legnamm, o’ Banch’e Napule nun fanno pegno»: se volevi un prestito, dovevi dare in garanzia beni, titoli o tabacchiere di oro. «Ma sono figlio di Garibaldi» non parve ai funzionari una garanzia sufficiente. «Ma io sono il papà», intervenne il nazional Peppino, «e garantisco per mio figlio. Se non paga, lo farò io».
Ma si guardò bene dall’offrire Caprera in pegno. Il Banco di Napoli dovette cedere, perché il garante non era solo padre di Menotti, ma pure della Patria. In realtà, il titolo ideato per il nizzardo fu “Eroe dei due mondi”; per Cavour, “il grande tessitore”; mentre “padre della Patria” era per Vittorio Emanuele II, dal momento che l’unica attività che esercitasse di sicuro era... quella. Ed essendo a tutti noto che la dote che apprezzava di più nelle donne (più da pagliaio che da stanze reali) era la disponibilità, sui muri di Napoli lo salutarono con la scritta: «Si Vittorio è o’ pate, ‘a mamma (della Patria, con rispetto parlando) ha da esse’ ‘na zoccola», visto che con il suo arrivo le tasse da 5 divennero 23. Risultato? Menotti non pagò, papà nemmeno. La banca provò a reclamare il credito, ma fu investita da patriottiche e indignate reazioni, pure dell’eroe: «Come si permettono?». Insomma: Isso non paga, perché padre di Essa, la Patria, e ‘O malamente è il banchiere che vuole i soldi indietro. Nel Paese non del diritto, ma del rovescio, non fa una piega.
Io, Peppino rasoterra, ho provato a imitare il Peppino dei due mondi, garantendo il mutuo di casa di mia figlia. La banca mi ha avvisato: se non paga sua figlia e manco lei, caro Aprile, ci prendiamo casa sua (vedi, a non abitare a Caprera?). Volevo calpestar l’inclita orma del Tale cui han dedicato libri di storia, vie, piazze e monumenti! Ma non coincide il numero di piede.
Questo, per l’evasione; quanto alla corruzione, dai primi vagiti e persino prima, il nostro Paese è da medaglia d’oro. Camillo Benso di Cavour, per dire, stando al governo, era socio di speculatori genovesi, fra cui Carlo Bombrini, capo della Banca ligure che poi diventerà nazionale (la mamma della Banca d’Italia), che ottenevano concessioni governative per lo sfruttamento delle risorse della Sardegna. Mentre il re, sempre affamato di soldi, si infilava in ogni affare in cui c’era da spremer danaro da aziende e monopoli di Stato. E poi, bisognava trovare capri espiatori per salvare il nome della dinastia.
In un Paese nato così, vi meravigliate che l’evasione fiscale appaia inestirpabile? (In percentuale, più al Sud: è «evasione per sopravvivenza», secondo l’Agenzia delle Entrate, per il reddito medio molto basso; in quantità, molto più al Nord: è «per maggior arricchimento», secondo il Fisco, e per l’ovvia ragione che lì ci stanno più soldi).
Davvero credete che in 239 anni la Finanza non sarebbe riuscita a eliminare l’italico vizietto? Se pensate che ci sia un errore («Come, 239 anni, se l’Italia è unita soltanto da 154?»), beh, la ragione è che da noi nacquero prima la Guardia di Finanza, poi i Carabinieri, 173 anni fa, poi l’Italia, 154 anni fa, nel 1861. Quei corpi savoiardi furono travasati nel nuovo Stato, che nuovo non era (il capo del governo, nel 1866, per rigettare l’elezione di Giuseppe Mazzini, condannato a morte dai Savoia, spiegò in Parlamento che non si era fatta l’Italia, ma solo allargato il Piemonte). Mentre Massimo D’Azeglio diceva che fatta l’Italia, bisognava far gli italiani: prima lo Stato, poi il popolo. Che stravaganza! Ma se fossimo come gli altri, che fine farebbe la nostra fama di originali?
Per riassumere con linguaggio di oggi: in una Patria i cui padri (alcuni, non tutti) miravano più a prendere che a dare, nacque prima l’equivalente di Equitalia, poi l’Italia, poi gli italiani; chi doveva combattere l’evasione fiscale precedette gli evasori. E vi pare normale che da 154 anni (più 85 di rincorsa) vincano gli evasori? Se è così da prima che esistessimo, è perché l’Italia fu fondata sull’evasione fiscale (ma guai a buttare lo scontrino del caffè). Le azioni degli uomini sono il risultato della volontà degli uomini. Ergo, levatevi dalla testa che i soldi della ripresa arriveranno dal recupero dell’evasione e cominciamo a prepararci a una ripresa di fondi dalle nostre tasche. Scordiamoci pure di cavarcela con: «Sig. Esattore, sono nell’impossibilità di pagare imposte». Ci venderebbero schiavi al bey di Tunisi. “Alla garibaldina” riesce solo a Garibaldi