Laura Pezzino, Vanity Fair 19/8/2015, 19 agosto 2015
Cose che ho imparato da Joan Didion: che ci raccontiamo delle storie per vivere; che si può essere considerate giornaliste serie anche indossando foulard firmati e girando su una Corvette; come si portano gli occhiali da sole; che non c’è niente di vergognoso nel parlare del tuo esaurimento nervoso o della morte di tuo marito e di tua figlia; cosa mettere in valigia se si parte per un reportage (il bourbon è fondamentale, pare)
Cose che ho imparato da Joan Didion: che ci raccontiamo delle storie per vivere; che si può essere considerate giornaliste serie anche indossando foulard firmati e girando su una Corvette; come si portano gli occhiali da sole; che non c’è niente di vergognoso nel parlare del tuo esaurimento nervoso o della morte di tuo marito e di tua figlia; cosa mettere in valigia se si parte per un reportage (il bourbon è fondamentale, pare). Soprattutto, ho imparato a dire «io». Joan Didion è Punica vera celebrity letteraria vivente, di sicuro la più cool, la più copiata (anche per il taglio di capelli), la più studiata nelle università (sopra, nel 1970). Tra i suoi ammiratori ci sono anche Patti Smith, Vanessa Redgrave, Cameron Crowc, Annie Leibovitz, Anna Wintour. Bret Easton El- lis. Lena Dunham, Michelle Williams. A 80 anni compiuti, continua a incarnare un ideale di intelligenza e bellezza inarrivabili. È corteggiata dalla moda, il cinema, gli intellettuali. Il marchio di moda francese Celine l’ha scelta come volto della campagna pubblicitaria della scorsa primavera, lei che già negli anni ’80 aveva posato con la figlia Quintana per Gap. Il progetto lanciato da suo nipote Griffin Dunne per realizzare un documentario su di lei ha raccolto online l’incredibile cifra di 221 mila dollari. Il 27 agosto esce in Italia The White Album, attesissima raccolta di articoli che, tra il 1968 e il 1978, scrisse per magazine come Life e The New Yorker (Il Saggiatore, pagg. 198, euro 17; traduzione Delfina Vezzoli). Maestra, assieme a Capote, Thompson, Johnson e Wolfe, del New Journalism (pezzi di giornalismo che potevano essere letti come romanzi), l’ex gazza di Sacramento non ha mai avuto paura di raccontare e sé (fu Virginia Woolf a dire «se non dici la verità su tè stesso, noi potrai dirla sulle altre persone»). In The White Album mette un suo referto psichiatrico accanto alla confessione dei giorni passati a letto in preda a micidiali ma di testa. Poi ci sono i momenti fuori di testa, le medicine, le somatizzazioni, il tutto mescolato all’incontro coi Jim Morrison («un ventiquattrenne laureato ali; Ucla che indossava pantaloni di vinile nero senza mutande»), al ritratto di Georgia O’KeerFc («sembra essere stata dotata molto presto di un senso immutabile di chi fosse e della chiara consapevolezza che le sarebbe stato chiesto di dimostrarlo») alle riflessioni sugli omicidi commessi dal gruppo di Charles Manson, avvenuti a pochi chilometri da casa sua. A emergere è un continuo rimbalzare dal particolare all’universale. con uno stile finora ineguagliato che riesce a riempire di significato e interesse anche una bizzarra «teoria dei centri commerciali».