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 2015  agosto 19 Mercoledì calendario

PARTORIRE A UN’ORA DI VOLO DA CASA

Ogni volta che scoprono di essere incinta, comincia l’odissea. Non sono parti normali, quelli delle mamme di Lampedusa. Sull’isola non c’è ospedale, tanto meno la maternità. E le donne, per mettere al mondo i propri figli, devono prendere l’aereo e raggiungere Palermo, oppure Agrigento, o magari Roma. Viaggi onerosi, soprattutto economicamente, a cui si aggiungono le spese dell’alloggio in queste città, dove le mamme arrivano, prudente- mente, almeno un mese prima del parto. Quasi un mese in albergo, oppure in affitto, una media di 5mila euro di spese soltanto per viaggio e pernottamento. Per ovvie questioni lavorative, i mariti sono quasi sempre costretti a restare a Lampedusa, raggiungendo le mogli soltanto a ridosso del parto. E così si aggiungono ulteriori spese, sia aeree che alberghiere.
Non sono poche le nascite di bambini lampedusani, l’isola è uno dei luoghi più fecondi d’Italia. Poco più di cinquanta ogni anno i nuovi nati, su un territorio di circa 6mila abitanti, una media leggermente superiore a quella italiana, dove ogni anno i bambini nati sono 9,5 ogni mille abitanti.
Ma nessuno, tra i bambini lampedusani, nasce sull’isola. La maternità si è fermata a Palermo. Al momento del parto, le mamme lampedusane preparano le valigie e lasciano l’isola. Quasi come «un parto all’estero», dice qualcuno. Una questione molto sentita dagli abitanti, soprattutto dalle donne, che più volte hanno rivolto appelli alle istituzioni, in primis alla Regione Sicilia, per chiedere supporti sia logist ci che economici. C’è chi chiede un ospedale sull’isola, e c’è chi si accontenterebbe di semplici rimborsi economici viste le spese sostenute per viaggi e alberghi. «Mettere al mondo un figlio - spiegano all’unisono le mamme lampedusane è diventato un costo quasi insostenibile». C’è chi ha un solo figlio e se la cava con poche migliaia di euro, ma c’è chi ne ha due, tre, quattro e ha già speso circa 20mila euro. Cifre folli, per quello che dovrebbe essere un momento di felicità. In caso di emergenze o parti prematuri, le madri possono volare ad Agrigento o Palermo con l’elicottero del distretto sanitario dell’isola.
Sull’isola c’è un pronto soccorso, un poliambulatorio con tutti gli specialisti (ginecologi compresi), una guardia medica, una guardia turistica e un centro dialisi. Manca però un ospedale vero e proprio, che molti abitanti, mamme comprese, chiedono da tempo a gran voce. «Siamo la frontiera dell’Europa, un’isola di primo soccorso per migliaia di immigrati, eppure le nostre donne sono costrette a fare i salti mortali per partorire», dicono molti residenti, secondo i quali l’ospedale sarebbe un punto di riferimento per tutto il Mediterraneo, dove potrebbero trovare ricovero non solo i lampedusani, ma anche i migranti, i pescatori e tutti quelli che lavorano quotidianamente in mare aperto. L’ospedale però, al momento sembra soltanto un’utopia. Chiude drasticamente le porte a tale ipotesi il medico e assessore alla salute di Lampedusa Eugenio Carraffa, spiegando nel dettaglio la sua contrarietà al progetto: «Un ospedale a Lampedusa? Resterebbe vuoto per gran parte dell’anno, ci sarebbero pochissimi ricoveri». Uno spreco di risorse pubbliche, insemina.
Inutile e controproducente, secondo Carraffa, anche la realizzazione di un singolo punto nascite: «Qualora il parto presenti criticità, rischia di essere rischioso per la salute della donna e del bambino se non è supportato da un grande ospedale strutturato con tutti gli specialisti, capaci di curare le patologie dei primi minuti di vita del neonato». Insomma, dice sinteticamente l’assessore, «una maternità senza ospedale è una cattedrale nel deserto». E poi, aggiunge Carraffa, «in tutta Italia i punti nascita sono stati ridotti e attualmente ce n’è uno ogni 100-150 chilometri ed è naturale che Lampedusa ne sia sprovvista». Peccato però, che per raggiungere un ospedale da Lampedusa ci sia bisogno di un volo aereo (oppure di un lungo viaggio in nave). Ragion per cui, le madri partorienti sono costrette a dormire in albergo (o in affitto) e i padri non hanno la possibilità di fare la spola casa-ospedale con l’automobile, ammortizzando così i costi. Ecco perché, Pietro Bartolo, responsabile del distretto sanitario di Lampedusa, lancia una proposta alla Regione Sicilia e al Ministero della Salute per «istituire un fondo ad hoc per supportare economicamente le famiglie di Lampedusa che hanno figli» e che sono costrette ad affrontare lunghe permanenze a Palermo, Agrigento o Roma. Una proposta già lanciata anche dai lampedusani, ma finora inascoltata dalle istituzioni.