Taffy Brodesser-Akner, Gq 9/2015, 20 agosto 2015
AIR SEX, IL CAMPIONATO DEL SESSO IMMAGINARIO
Chris Trew comincia ognuno dei suoi spettacoli nello stesso identico modo. Con una musica martellante in sottofondo, fa finta di scegliere una ragazza da un invisibile gruppo di ragazze sul palco, fa finta di baciarla appassionatamente poi fa un passo indietro, finge di sbottonarsi la giacca e poi di togliersi la cintura e slacciarsi i pantaloni.
E a quel punto il suo pene, sostituito dalla sua mano (il nudo è disapprovato nel mondo di Air Sex almeno quanto nella vita reale), diventa una specie di pesce fuor d’acqua, eccitato e saltellante. Il pubblico risponde con un misto di applausi e risate e qualche gesto volgare. A questo punto Chris Trew si sputa sulla mano, non uno sputo finto ma un bel filo di saliva vera, finge di mettersi un preservativo, tira indietro la mano, attende un attimo come se fosse un giocattolo che deve essere caricato per funzionare e poi la infila nella vagina della sua finta partner. Quindi prende dal backstage una fascetta di spugna per capelli, se la mette in testa con aria trionfale e si lancia in un appassionato cunnilingus. Si trasforma in un uccello e sbatte le ali per far capire quanto sia spettacolare e inumana la sua slinguazzata. Il pubblico non ce la fa più.
Siamo al Mohawk di Austin, un bar all’aperto con le luci basse e un piano superiore in legno che lascia scoperta una porzione di cielo. Va in scena il sesto Air Sex World Championship, è la tappa finale del tour di Trew e dei suoi compagni, che hanno passato l’estate setacciando 22 città per cercare i campioni di questa nobile arte, uno sport in cui un gruppo di “figli di puttana che non scopano mai” (come li chiama lui) mimano atti sessuali di fronte al pubblico. Sono qui stasera per vedere
Chris Trew, che di lavoro fa l’attore comico ma anche il manager di wrestling e insegnante di improvvisazione teatrale, finisce la sua esibizione tra gli applausi. Poi annuncia: «Questo non è un fottuto gioco! E lo sport più prestigioso d’America». Ha le prove: «Pensateci! Pensate alle Olimpiadi, alle World Series di poker o a quei tornei di golf che non so nemmeno come si chiamano». Quello che tutti questi prestigiosi eventi non hanno è il premio finale: un sex toy chiamato Fleshlight, fatto più o meno a forma di torcia, che ti permette di inserire il pene in una vagina finta. «Il Fleshlight è l’unico trofeo che ti puoi scopare» grida Trew: «Non si può scopare la Stanley Cup!». In effetti devo ammettere che ha ragione.
I finalisti si radunano nel backstage e si preparano per lo show. Due ragazzi, Jimmi Death Nuts (“palle morte”) di Detroit e Wonton Soup (“ravioli cinesi”) di Denver si stanno allenando separatamente per perfezionare il loro egualmente disgustoso tentativo di inserire la cacca nel loro spettacolo. Uno dei finalisti è un tipo di Houston vestito come Aladino, che mi dice di chiamarsi Lawrence d’Alabia (il nome è un gioco di parole che richiama le labbra vaginali). Un altro è un ragazzo di Washington che si fa chiamare God Bless My Pussy (“Dio benedica la mia fica”), stretta in un paio di hot pants dorati con i copricapezzoli a forma di stella. Una ragazza con la coda si fa chiamare Juici Jessi (“Ia succosa Jessi”), un tipo di nome Tootnanny (“Tatascoreggiona”) tira fuori un biberon. L’anno scorso ha perso la finale per un pelo dopo essersi piazzato secondo a New York. Gli chiedo di raccontarmi la sua sequenza, lui sorride dietro alla folta barba rossa, mastica la gomma e dice solo: «Incesto».
Alla fine di un anno passato in compagnia degli adepti dell’Air Sex posso dire di aver visto abbastanza. Ho assistito ad atti sessuali multipli sulle note di una canzone di Miley Cyrus. Ho visto la pancia ballonzolante di un tipo con un tatuaggio sullo stomaco (poteva essere il simbolo di un gruppo di suprematisti bianchi, ma ho paura di andare su Google a cercarlo) scoparsi il palco e poi pulire il casino che aveva combinato dopo l’orgasmo immaginario.
Ho visto fare l’amore in modi del tutto ignari dei principi base della biologia. Cose che non vorrei mai che fossero fatte a me. Un sacco di rapporti anali. Ho scoperto che ci sono uomini che pensano che schiaffeggiare o picchiettare con due dita la vagina sia una cosa che alle donne piace. Ho visto uomini far fare la giravolta alle donne sul proprio pene senza nessun riguardo per le leggi della fisica, la gravità e neanche il buon senso.
A volte il pubblico era composto appena da cinque persone, me compresa, di cui due se ne sono andate prima della fine, ed è stato comunque un successo.
L’Air Sex è nato in Giappone, ovviamente. Nel 2006 Tim League, proprietario del cinema Alamo Drafthouse di Austin vede in televisione un servizio che parla di questo fenomeno in modo ironico, sottolineando quanto siano patetici e tristi questi giapponesi. Tristi? Patetici? League li trova esilaranti.
Chiama subito il suo amico Trew, che fa già il giudice nei tornei di Air Guitar. Trew comincia a organizzare gli eventi e ottiene da League il permesso di portarli in giro per l’America, coinvolgendo il suo socio teatrale Brock LaBorde, un bell’uomo con un sorriso sghembo e un pungente senso dell’umorismo. Dopo sei anni riescono a ottenere un finanziamento da uno sponsor e quindi soldi, il che vuol dire mettere in palio un premio. Vincere diventa una bella cosa, insomma. Puoi portarti a casa un sex toy.
Queste sono le regole imposte da Trew:
1) Non puoi avere un partner. Questo è uno sport in cui: «Non si fa l’amore assolutamente con nessuno».
2) Tutti gli orgasmi devono essere simulati: «Quando vieni sul palco, non devi venire sul palco», dice Trew.
Ho notato la presenza anche di alcune regole non scritte: fare rumore o parlare, anche se non formalmente proibito, non piace al pubblico. Provare a sembrare sexy invece che spiritosi ancora meno, e la cosa che piace meno in assoluto è simulare un rapporto non consenziente. Se qualcuno si azzarda a farlo viene immediatamente fermato e cacciato dal palco.
Trew mi presenta i giudici: Jonathan Evans, regista del documentario Air Sex: The Movie, Brock LaBorde, Rob Gagnon, un comico molto divertente che ha partecipato al tour con una grande performance sulla circoncisione, e Tori Black, la pornostar che ha prestato la sua vagina per disegnare il Fleshlight assegnato stasera.
Indossa un vestito di lycra che fa vedere molto di più della sua vagina reale. In tutto il tempo che ho passato con questa gente, ho notato che i giudici meno importanti sono proprio le pornostar.
Le cose che vengono notate di più sono la creatività e la resistenza atletica, e per questo i comici o i giornalisti sportivi sono i migliori. Le attrici porno sono troppo porno. In teoria sono la scelta migliore, ma sono troppo lascive, fanno continuamente giochi di parole sessuali e doppi sensi e sembrano sempre un po’ tristi o fuori luogo.
E poi ecco qualcosa che dovrebbe dare un po’ di speranza all’umanità: le pratiche sessuali con la cacca non hanno funzionato. Jimmy Death Nuts lo ha imparato a sue spese. E salito sul palco indossando solo una bandiera americana, ha fatto finta di fare un pompino a un tizio immaginario, ha giocherellato con i suoi testicoli e poi gli ha infilato la lingua nel culo prima di tirare fuori una barretta di cioccolato (nascosta nei calzini) e far finta di defecare su di lui. In cambio ha ottenuto dal pubblico solo una risatina.
Posso interrompere per un momento il tono imparziale del mio reportage per dire che Lawrence d’Alabia è il mio preferito? Ecco il suo numero: sulle note di Genie in a Bottle di Christina Aguilera, Lawrence trova una lampada magica, la sfrega e il genio gli offre di realizzare tre desideri. Primo desiderio: un pene più grande, che tira fuori lentamente dai pantaloni. Secondo desiderio: fare sesso con il genio. Ultimo: farsi venire in faccia dal genio.
L’atto finale è Tootnanny, che sente perfettamente la tensione creata dal fatto di salire su un palco in cui si pratica sesso facendo finta di tenere in braccio un bambino. Il bambino però è solo un diversivo. Tootnanny lo porta a dormire, chiude la porta (fiuu) e poi si dà da fare con un po’ di sesso matrimoniale con una moglie immaginaria. Il che vuol dire: metterle un assorbente, toglierle l’assorbente, succhiare l’assorbente come fosse una caramella, togliersi la cintura e legarsela intorno al collo... A quel punto ho smesso di prendere nota, ma potete vedere il resto grazie alla magia di YouTube.
Alla fine arriva il momento della verità, ovvero il modo in cui viene scelto il vincitore. I giudici selezionano le tre performance migliori della serata e i finalisti vengono chiamati sul palco per esibirsi contemporaneamente, ognuno chiuso nel suo piccolo mondo sessuale immaginario, sulle note della stessa canzone.
Il vincitore è quello che prende più applausi.
I tre di oggi sono Tootnanny, una ragazza lentigginosa che si fa chiamare Rod e God Bless My Pussy. Devono esibirsi con la canzone dell’anno, almeno a casa mia: Let it Go dalla colonna sonora di Frozen. Rod interpreta uno zotico con il cappello da camionista in testa che guarda la partita e si fa fare un pompino mentre tracanna birra e si ubriaca. God Bless My Pussy saltella in giro, Tootnanny continua a farsi la sua finta moglie cercando di non svegliare il bambino finto nell’altra stanza.
Il pubblico è ubriaco ed entusiasta, il giudizio unanime: Tootnanny è il vincitore e porta a casa a Brooklyn il primo titolo da quando, nel baseball, i Dodgers se ne sono andati a Los Angeles negli Anni 50. Gli avversari gli fanno i complimenti e forse lo porterebbero anche in trionfo sulle spalle, se non indossasse solo un paio di mutande bianche.