Pietro Piovani, Il Messaggero 20/8/2015, 20 agosto 2015
LO SQUILIBRIO DELLA SCUOLA ITALIANA: INSEGNANTI AL SUD, ALUNNI AL NORD
La regione da cui si è levata più alta la protesta degli insegnanti precari che si ribellano al trasferimento è sicuramente la Sardegna. Prima di Ferragosto maestre elementari e professori di liceo hanno occupato l’aeroporto di Cagliari portandosi dietro le loro valigie ed esibendo lo striscione, “Scuola sarda no trolley”, ieri hanno dato vita a un’altra iniziativa presentandosi sempre con le valigie su una spiaggia cagliaritana. La loro mobilitazione è comprensibile, si tratta spesso di padri e madri che rischiano di dover lasciare la famiglia per andare a lavorare dall’altra parte del Tirreno. Ma per capire come mai si è arrivati a questo delicato e doloroso passaggio può essere d’aiuto la grafica qui accanto: la Sardegna è una delle regioni in cui è più basso il rapporto tra alunni e docenti. Ovvero, rovesciando i termini, oggi nelle scuole sarde c’è un numero di insegnanti in servizio più alto rispetto ad altre regioni come le Marche o l’Emilia Romagna che invece sono più in sofferenza.
LA MIGRAZIONE
La geografia della scuola italiana è così, da sempre. E questo nonostante sia già avvenuta nel corso dei decenni una massiccia migrazione di educatori dal Sud al Nord. Come è risaputo, oggi nelle regioni centro-settentrionali le classi sono affidate in larga parte a docenti siciliani e campani. Non esistono rilevazioni in proposito, ma si può stimare che i professori in servizio lontano dalla loro terra d’origine siano centinaia di migliaia. Nel solo 2014 sono stati 7 mila quelli che hanno offerto la disponibilità a spostarsi in province distanti da quella di residenza.
Anche il motivo di questa transumanza è ben noto: al Sud la scuola offre un’occasione per uscire dall’incubo della disoccupazione, e l’opportunità di uno stipendio che nelle aree meno floride del Paese ha un discreto valore, mentre in quelle più ricche è poco più che una miseria. Uno studio condotto un paio d’anni fa dagli economisti Tito Boeri (ora divenuto presidente dell’Inps), Andrea Ichino ed Enrico Moretti ha calcolato che un insegnante di Milano ha un potere d’acquisto inferiore del 32% rispetto a un suo collega di Ragusa, pur ricevendo la stessa busta paga.
PIÙ ALUNNI
Al Nord perciò l’offerta di forza lavoro docente latita, mentre cresce la domanda di istruzione, cioè il numero degli alunni: nelle regioni dove c’è più occupazione l’aumento dei residenti stranieri, immigrati extracomunitari mediamente giovani e quindi con figli piccoli, compensa il calo demografico degli italiani e fa salire la popolazione in età scolastica. In Lombardia gli studenti sono circa un milione e 200 mila, in Sicilia meno di 800 mila, in Sardegna appena 200 mila. Ecco perché nel piano di assunzioni previsto dalla riforma Renzi-Giannini la fetta più ampia dei posti è prevista per la Lombardia: 8 mila insegnanti in più con il cosiddetto “potenziamento” degli organici, più altri 4 mila per coprire chi è andato in pensione, più un altro numero che sarà definito quando saranno più chiare le cifre della cosiddetta “fase B”. Come e peggio della Lombardia peraltro si trovano anche altre regioni, a cominciare da Marche ed Emilia Romagna che - come si diceva - hanno un rapporto insegnanti/alunno piuttosto alto. Ancora più alto è, a sorpresa, quello della Puglia, dove però sono tanti anche i precari da regolarizzare, e secondo stime sindacali diverse migliaia di pugliesi saranno costretti a trasferirsi se vorranno ottenere il ruolo sulla base della riforma renziana.
Le regioni con più esuberi sono sicuramente Campania e Sicilia. È da qui che proviene la maggioranza del personale docente italiano. Alcuni di loro, i più fortunati cioè quelli con più punti in graduatoria, riescono a ottenere il posto direttamente nella loro provincia. Gli altri puntano al viaggio andata e ritorno: vanno in Lombardia o in Romagna o in Veneto prima a fare le supplenze annuali, poi ottengono il ruolo, poi appena possono fanno domanda per avvicinarsi a casa, magari puntando prima sull’istituto della “assegnazione provvisoria”, e finalmente sul definitivo trasferimento. Spesso sono donne che a casa lasciano mariti e figli, e tutte le settimane fanno su e giù con i treni e le corriere, cercano di approfittare il più possibile delle festività e dei ponti, magari a volte aggiunggendoci qualche giorno di malattia. È un fenomeno che crea non pochi scompensi al sistema dell’istruzione italiana, ma che non è facile superare. Ogni tanto qualcuno propone la soluzione delle gabbie salariali: dare a chi lavora al Nord uno stipendio più alto. Ma certo per introdurre un cambiamento del genere non può bastare una riforma della scuola.
Pietro Piovani