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 2015  agosto 19 Mercoledì calendario

Professione profiler – Criminal minds, Il silenzio degli innocenti...Il “profiler” è una figura che il grande pubblico conosce soprattutto attraverso serie tv e film; il suo compito è delineare un identikit sociale, psicologico e comportamentale di uno sconosciuto partendo dalle caratteristiche del crimine che ha commesso

Professione profiler – Criminal minds, Il silenzio degli innocenti...Il “profiler” è una figura che il grande pubblico conosce soprattutto attraverso serie tv e film; il suo compito è delineare un identikit sociale, psicologico e comportamentale di uno sconosciuto partendo dalle caratteristiche del crimine che ha commesso. Come ci arriva? Riesce a identificare i colpevoli? E “scientifico” e affidabile? Cominciamo dalle fonti di informazione che analizza. Sono tre: la scena del crimine, in tutti i suoi dettagli; il profilo della vittima; la ricerca di un collegamento con crimini commessi nel passato, per trovare elementi comuni (in gergo, case-linkage). PRIMI PASSI. Il primo esempio di profiling nell’era moderna è senza dubbio quello elaborato da Thomas Bond, medico legale e consulente della Criminal Investigation Division di Londra che nel 1888 stilò, basandosi sulle caratteristiche dei delitti commessi nel quartiere di Whitechapel, a Londra, l’identikit di Jack lo Squartatore: “fisicamente forte e di grande freddezza e audacia [...] soggetto a periodici attacchi di mania erotica e omicida [...] affetto da satinasi [...] persona inoffensiva, di mezza età, curato nell’igiene e rispettabilmente abbigliato [...] senza occupazione regolare, vive di piccole entrate o di un sussidio". Per quanto ammirevole, sappiamo che lo sforzo del medico legale non portò ad alcun risultato pratico, tanto che oggi, a distanza di 127 anni, l’identità del “mostro” resta ancora un mistero. Questo tuttavia non scoraggiò nel 1972 un gruppo di agenti speciali dell’Fbi, che, forti di un master in psicologia, fondarono la Behavioral Science Unit, l’Unità di Scienze del Comportamento. Nel 1978 entrò nel team colui che, insieme a Robert Ressler, è considerato il profiler più celebre della storia; il suo nome è John Douglas, e gli si deve uno dei maggiori successi della sua unità, un caso che è insieme terribile e un esempio eccezionale dei processi che portano a elaborare un profilo. SUCCESSO... New York, anno 1979. Francine, 26 anni, insegnante in un centro per disabili, alle sei e mezzo del mattino lascia l’appartamento dei genitori. Alla scuola, dov’è diretta, non arriverà mai. Il suo cadavere sarà ritrovato quel pomeriggio, all’ultimo piano dello stabile. Francine è nuda, percossa al volto, morsicata in vari punti del corpo, ferita con un temperino, strangolata con la cinghia della borsa. Dopo la morte è stata legata mani e piedi e mutilata. Il killer ha poi disposto il corpo in modo che braccia e gambe disegnassero a terra una lettera dell’alfabeto, la stessa del ciondolo che la poverina portava al collo e che è sparito. Dopo un mese l’inchiesta non è avanzata di un passo, e viene chiamata in causa l’Fbi e la sua unità specializzata. John Douglas riprende in mano tutti gli elementi a disposizione, e inizia a comporre una lista. La vittima è stata aggredita sul pianerottolo di casa, alle sette del mattino. La ragazza non ha opposto resistenza. Per ucciderla, l’assassino ha usato oggetti che le appartenevano. Dopo la morte, ha indugiato in atti ritualistici. Il luogo in cui il crimine è stato commesso fa pensare a un delitto non pianificato, anche in relazione al fatto che il criminale non ha portato con sé un’arma. L’assassino si trovava alle sette del mattino nello stabile, e a quell’ora i servizi pubblici ancora non funzionano. Potrebbe aver raggiunto l’edificio a piedi? In questo caso, abita nelle vicinanze. Ancora: ha avuto tempo a disposizione, e pervia dei rituali post mortem è assai improbabile che abbia una vita di relazione e sessuale matura. Raramente, poi, questo tipo di crimine è commesso ai danni di una vittima di etnia diversa da quella dell’assassino. Infine: il colpevole è forse in cura in un centro d’igiene mentale. A quel punto l’agente speciale John Douglas ha informazioni sufficienti per un profilo da passare alle unità investigative. Per lui l’assassino di Francine Evelson è maschio, bianco, intorno ai 30 anni, single, abita nello stesso edificio della vittima, non lavora e assume psicofarmaci. Quando la polizia compie l’arresto, si trova davanti a un trentenne, bianco, di nome Carmine Calabro. Attore disoccupato, viveva saltuariamente col padre in un appartamento allo stesso piano di quello degli Evelson. Aveva tentato più volte di suicidarsi; ospite di un ospedale psichiatrico, la sera prima dell’omicidio aveva lasciato l’istituto senza permesso. Un risultato sorprendente, ma parlare di scientificità nel criminal profiling è azzardato: è impossibile definire con precisione che cosa s’intenda per “risultato positivo” in un profilo criminale; l’identikit si è rivelato del tutto sovrapponibile alle caratteristiche del colpevole, una volta identificato? 0 ha soltanto fornito elementi utili all’indagine, riducendo il numero dei sospettati? Perché, accanto al caso di Francine Evelson, vent’anni dopo ecco uno dei più clamorosi abbagli nella storia dell’investigazione. ... E FALLIMENTO. Silver Spring, Maryland. James D. Martin ha 55 anni e il sacchetto della spesa in mano quando crolla a terra, colpito da un proiettile alla testa. E il 2 ottobre 2002, e il giorno dopo, tocca a James Buchanan, 39 anni, giardiniere; poi è la volta di Premkumar Walekear, Sarah Ramos, Lori Ann Lewis-Rivera, e Pascal Charlot. In poco più di tre settimane sono dieci le vittime cadute sotto i colpi dell’assassino, e altre tre vengono ferite gravemente, raggiunte tutte da un colpo di fucile calibro 223. C’è un serial killer in circolazione e manca un movente. Le vittime non hanno alcun legame tra loro. L’assassino colpisce indiani e ispanici, ma anche bianchi, giovani e vecchi, davanti a un distributore come pure nei parcheggi dei supermercati, per la strada e davanti a una scuola. Spara come un cecchino in guerra. L’ultimo omicidio avviene martedì 22 ottobre 2002. Entra in gioco la Behavioral Science Unit dell’Fbi, con il suo gruppo di profiler, che tracciano il loro identikit: l’assassino agisce da solo, è bianco, single, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, il tipico residente del distretto di Washington. Peccato che quando la polizia arriva ad arrestare il cecchino scopre che in realtà i killer sono due, e non c’entrano nulla con la descrizione degli esperti: si chiamano John Lee Malvo, 17 anni, di colore, e John Alien Muhammad, 42 anni, afroamericano della Louisiana. Si erano conosciuti per caso, e avevano ideato un piano che, in un crescendo di omicidi, li avrebbe portati a ricattare il governo americano. ARTE, NON SCIENZA. Alla fine, c’è chi lo chiama psychological profiling e sottolinea così la ricostruzione psicologica del colpevole, chi mette l’accento sui comportamenti (behavioral profiling), chi ancora sottolinea il versante criminologico battezzandolo criminal profiling. Sta di fatto che il profiling, più che una scienza, oggi come oggi è un’arte: a dispetto degli indubbi successi e di quello che si vede nei film e nelle serie tv. ©