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 2015  agosto 12 Mercoledì calendario

MONI LA ROSSA

Moni la “rossa”, di capelli, non ha i lineamenti più adatti per farsi passare da irachena. Ai maschietti basta far crescere la barba e camuffarsi con una kefya per provare a scamparla in zona di guerra. E il 2003, i nostri militari sono saltati in aria a Nassiriya e vogliamo seguire le tracce della tribù Sadoon sospettata di aver aiutato i terroristi. Per avere un minimo di possibilità di non finire in ostaggio, o peggio, la nostra guida ci intima di travestirci il più possibile da locali. Monica Maggioni, oggi presidente della Rai, allora “solo” inviata della tv pubblica, non si perde d’animo. Nonostante il caldo soffocante del deserto iracheno si infila sotto un chador, il velone nero che copre le donne musulmane dalla testa ai piedi. E poi via, a bordo di una scassata utilitaria irachena, a caccia di piste per l’attentato attorno a Nassiriya, dove pullulano i miliziani sciiti già in urto con gli italiani arrivati da pochi mesi, dopo la caduta di Saddam Hussein. La futura presidente, nel 2003, non è proprio alle prime armi nei reportage di guerra.
La passione per gli Esteri, e per la carriera, l’ha sempre avuta. A fine Anni 90 si cimenta in Sudafrica nel dopo Nelson Mandela e in Mozambico per un’alluvione, ma le ossa in prima linea comincia a farsele in Medio Oriente. A Gerusalemme, nel 2000, Monica è spaesata durante l’esplosione di violenza che accende la seconda Intifada. Sotto la porta del Leone, dove i palestinesi lanciano una valanga di pietre, Gian Micalessin, veterano del Medio Oriente, che diventerà per molto tempo suo compagno, la consiglia su come non farsi ammazzare e portare lo stesso a casa un servizio.
Tre anni dopo è “embedded”, aggregata a un reparto logistico americano che avanza in Iraq. Qualche volo in elicottero e tanta polvere a bordo di un camion a stelle e strisce, che non si ferma spesso. Dopo le mine, i cecchini o le granate da mortaio, il problema maggiore per ogni donna che segue la guerra in mezzo a un deserto piatto e senza ripari è fare la pipì evitando gli sguardi indiscreti e i sorrisetti della truppa.
Monica viene accusata, come tutti gli “embedded”, di sottomettersi alla censura e di stare dalla parte dei ma- rines. Lei non solo risponde a modo, ma ci scrive sopra un libro spiegando un’ovvia verità: «Non avrei mai potuto raccontare un pezzo di mondo, un angolo di guerra che altrimenti non si sarebbe visto. Trovo insopportabile che quella parola venga usata come il “velinaro” di una volta».
Il rapporto è ottimo anche con i soldati italiani impegnati nelle guerre di pace. I generali la adorano a tal punto che la piazzano come il prezzemolo in premi, master e iniziative simili. So poco e neppure mi interessa sapere di più su pregi e difetti di Monica nel labirinto giornalistico della Rai. Non ho dubbi che se sgobbava come un mulo in prima linea avrà fatto lo stesso nella sua ascesa in tv abituandosi ai campi minati delle redazioni non meno insidiosi di quelli veri. Bravissima nel battere un colpo a destra e uno a sinistra, nonostante la carriera fulminante non ha dimenticato gli anni avventurosi della polvere e del sudore dei reportage. L’ex inviata è stata quasi sempre disponibile per un dibattito o la presentazione di un libro di chi è ancora testardamente attratto dalle guerre. E pronta sul pezzo, se arriva dall’altra parte del mondo.
Nel 2013 dal Kazakistan con la prima intervista ad Alma Shalabayeva, la moglie di un discusso dissidente deportata da Roma, Monica, direttore di RaiNews 24, si attacca al telefono con il sottoscritto per montare il servizio al meglio.
Sui tagliagole islamici del Califfato sceglie di non mostrare i loro orrori, ma sbaglia. La guerra va guardata dritta negli occhi per non avere dubbi su chi abbiamo di fronte.
La leggenda vuole che ai primi di agosto Monica parta per il viaggio a Teheran al seguito della delegazione italiana, che riapre i rapporti con gli ayatollah, per qualche giorno di “relax” con un servizio da Esteri, il primo amore. A casa torna da presidente della Rai. Grazie a un’idea più o meno dell’ultima ora del ministro Paolo Gentiloni, che guida la delegazione in Iran e di qualche mossa ben piazzata nel tempo.
Dalla poltrona più alta della Rai darà il via libera al più che ostacolato accorpamento delle news. Non tanto per scimmiottare la Bbc, ma perché non ci sono più soldi per mandare al seguito del premier in giro per il mondo un inviato per ogni testata, che gli mette il gelato (il microfono) sotto il naso. E poi tutti mandano in onda la stessa dichiarazione.
Da inviata a presidente sarebbe una bella idea rompere la tradizione delle poche fiction buoniste, banali e stucchevoli sulle nostre missioni all’estero con una vera serie di guerra, che potrebbe intitolarsi semplice- mente Soldati. Basta che descriva come Clint Eastwood in American Sniper storie, senza peli sulla lingua, del sangue e sudore versato da centomila uomini e donne, che negli ultimi dieci anni hanno combattuto in Afghanistan e Iraq. Le stesse che i giornalisti di guerra, come un tempo Moni la “rossa”, hanno raccontato.