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 2015  agosto 19 Mercoledì calendario

LA GRANDEUR DI ERDOGAN DESTABILIZZA LA TURCHIA

Erdogan, salvo sorprese, si prepara a una nuova scommessa: vincere probabili elezioni anticipate a novembre e vendicarsi della devastante battuta di arresto del giugno scorso, quando l’Akp, con l’ingresso in Parlamento del partito filo-curdo Hdp, ha perso la maggioranza assoluta e lui ha visto svanire i progetti di repubblica presidenziale. Erdogan è il leader più popolare e allo stesso tempo più contestato della storia recente della repubblica turca di cui vorrebbe festeggiare il centenario rimanendo capo di stato fino a quell’epoca. Non si può dire che l’ex sindaco di Istanbul non pensi in grande. Anzi, forse coltiva progetti anche troppo ambiziosi che in parte sono già crollati. Come quello di diventare il punto di riferimento delle rivolte arabe e del nuovo Medio Oriente. Prima, nel 2011, ha puntato sulla caduta immediata di Bashar Assad, poi sulla vittoria dei Fratelli Musulmani in Egitto e ha anche rotto i rapporti con Israele. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non solo. Con il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu poi diventato primo ministro, ha coniato lo slogan “zero problemi con i vicini”. Oggi la Turchia ha problemi con tutti i Paesi confinanti e dopo avere aperto alle sue frontiere l’”autostrada della Jihad” per l’afflusso dei combattenti stranieri anti-Assad, adesso di trova in guerra su due fronti: contro i curdi e contro il Califfato. È naufragata anche la promessa di chiudere la partita con il Pkk di Abdullah Ocalan. Invece di andare avanti con i negoziati di pace, la Turchia di Erdogan ha scatenato con i raid aerei il ritorno della guerriglia: una mossa attuata con la complicità americana e occidentale che gli hanno concesso questa vendetta in cambio della base aerea di Incirlik. Con la sua politica filo-islamica e anti-laica, è persino riuscito nel miracolo di resuscitare gruppi marxisti radicali scomparsi da decenni in tutto l’Occidente.
Per essere un Paese membro della Nato da 60 anni, la Turchia di Erdogan pone più problemi di quanti ne risolva. Soprattutto è stata deludente la parabola di un leader che, dopo gli innegabili successi economici, intendeva esportare la democrazia in salsa musulmana nel Levante arabo e invece sta importando in casa tutti i problemi del Medio Oriente. All’interno invece di apparire come elemento moderatore, ha soffiato sul fuoco, fomentato divisioni e manipolato gli eventi bellici ai confini per rafforzare il suo potere. Eppure è così sicuro di sé da dichiarare che il sistema di governo è cambiato e la repubblica presidenziale ormai è già un dato di fatto. Conta sulle divisioni dell’opposizione, sul piano di buttare fuori i curdi dal Parlamento e su risultati economici non brillanti ma ancora accettabili. La realtà è che Erdogan sta subordinando i destini della Turchia all’ambizione di diventare un leader che può oscurare la memoria di Ataturk. Un prezzo che i turchi stanno già pagando con la lira ai minimi storici sul dollaro e due guerre alle porte di casa.