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 2015  agosto 18 Martedì calendario

IL GIAPPONE ALLA BOLLA FINALE NON CRESCE E NON SVALUTA

Ma che freddo che fa sul fronte dell’economia. A sorpresa, oltre Atlantico rallenta ancora l’indice Empire, che misura l’andamento dell’attività dell’industria della regione di New York, precipitato ai livelli della primavera 2009, il punto più basso della recessione. Non vanno meglio le cose nel bel mezzo del Pacifico. Il pil del Giappone, cresciuto nel primo trimestre del 4,5%, è scivolato tra aprile e giugno dello 0,4% , ovvero -1,6% sulla base annua. Le previsioni, per le verità, erano seppur di poco peggiori. Ma è una magra consolazione: il calo dei consumi delle famiglie -0,8% conferma che dopo due anni e mezzo di Abenomics, la fiducia dei consumatori resta ai minimi.
a) Insomma, il quadro dell’ economia globale pende verso il brutto stabile. E la debolezza dello yuan minaccia di complicare ulteriormente le cose. A provocare la caduta dell’industria della Grande Mela è stata la forza “muscolare” (definizione di JP Morgan) del dollaro, cresciuto sulla scommessa del prossimo aumento dei tassi. Certo, il dato riguardo la sola zona di New York. Ma non è difficile prevedere che la frenata abbia coinvolto interi settori dell’industria, a partire dal comparto energia. La svalutazione dello yuan, in questo contesto, potrebbe aver compromesso i piani della Fed sull’aumento dei tassi.
b) Una volta tanto, però, la lezione più istruttiva per un Bel Paese arriva al Giappone, la società che per certi versi (debito pubblico, propensione al ribasso, invecchiamento della popolazione) assomiglia di più a quella italiana. Arrivata al terzo anno (80 miliardi di liquidità in più ogni 30 giorni), la politica di Quantitative Easing sembra aver raggiunto il suo limite: grazie ad una robusta svalutazione dello yen (più del 30 per cento) in meno di tre anni, le esportazioni sono cresciute in maniera esponenziale. Ma i successi di Shinzo Abe finiscono qui. La strategia del premier puntava a creare un circolo virtuoso: più investimenti, più posti di lavoro, più consumi. Al contrario, i Big dell’industria giapponese, pur premiati da profitti d’oro, preferiscono investire fuori dal Giappone, puntando sui Paesi consumatori. A prima vista l’occupazione sale, ma la qualità (e i salari) scende.
c) Il Giappone, così, si è scoperto più povero. La conferma arriva dal boom dei negozi «tutto a 100 yen» (cugini degli empori tutto a un euro) e degli altri discount fino a ieri disertati dalla classe media. La cosa può stupire, visto il boom di Hermès, Ferragamo o Prada nelle vie eleganti di Tokyo. Ma il Quantitative Easing può portare ad effetti perversi. I quattrini a basso costo aiutano senz’altro i più ricchi che possono approfittare del rialzo della Borsa o fare investimenti pagando interessi modesti. Ma la svalutazione dello yen, che senz’altro aiuta l’export di Toyota (grazie anche all’effetto dollaro sui bilanci), ha provocato un forte aumento dei prezzi degli alimentari a danno delle classi più disagiate che non consumano perché non hanno i soldi per farlo.
d) Il risultato? Il Quantitative Easing deve proseguire. A Tokyo come in Europa. Ma la medicina monetaria da sola non basta. Ammesso e non concesso che Pechino e Washngton consentano allo yen ed all’euro di indebolirsi ancora sul dollaro e sulla monta cinese. Shinzo Abe, ammoniscono gli economisti, non può limitarsi comunque a rispondere alle difficoltà con più stimoli monetari e con una nuova svalutazione che andrebbe a colpire i più disagiati (come sta capitando in Cina con l’aumento dei prezzi del maiale). La terapia non può che passare dalla fiscal policy, ovvero tagli alle imposte e stimoli agli investimenti. Sia a Roma che a Tokyo la ricetta giusta per l’autunno è «spaghetti di soia al pomodoro». Al dente, però.