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 2015  agosto 18 Martedì calendario

MA IL CAPPELLANO MILITARE FATTO BEATO LODAVA «L’EROISMO» DELLE PENNE NERE

Va bene che da una cinquantina d’anni a questa parte sono stati oscurati i salmi imprecatori. Nel breviario non compaiono più i versetti del salmo 55: «Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case e nel loro cuore». Però la liturgia cattolica è ancora attraversata in lungo e in largo dai numerosi passi scritturali in cui si esalta il combattimento spirituale, in analogia con le virtù militari. Senza considerare che nel vangelo di san Matteo si afferma che «il Regno dei cieli soffre violenza, e se ne impossessano i violenti».
Dando per scontato che l’ideologia pacifista non prevarrà sulla parola di Dio, suona un po’ paradossale l’idea di censurare la preghiera in cui si chiede al Padreterno: «Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana». Ecco come, facendo loro la morale, si possono demoralizzare dei soldati.
Il beato don Carlo Gnocchi, loro cappellano durante la campagna di Russia nell’ultima guerra mondiale, dopo aver «dormito con loro e come loro sulla roccia», aveva avuto anche il privilegio di sperimentare che quella degli alpini «è una vita molto dura, anzi tanto più dura quanto più manca l’entusiasmo e il fervore dell’eroismo e della guerra».
Sempre sul fronte russo, un grande amico di don Gnocchi, lo scrittore Eugenio Corti, era stato ferito. Era sicuro che fosse stata la Madonna a salvargli la vita.
Comprensibilmente confidava più nella preghiera che sulla potenza di fuoco. Così, nel suo romanzo Il cavallo rosso, scrisse che «agli Alpini di armi ne bastava un minimo, al limite quelle individuali e di squadra, o poco più. Perciò anche una volta rimasti, a causa della situazione, privi dei loro mezzi più potenti, essi non si sarebbero scoraggiati». Insomma, sapeva che comunque, anche disarmate, le penne nere avrebbero saputo dimostrare il loro valore.
Sono reparti abituati a non cedere un millimetro di terreno. Magari un po’ cocciuti, come i muli che ne hanno accompagnato le marce in montagna. Proprio per questo, Corti offriva un ritratto realistico della loro refrattarietà alle seduzioni della modernità: «Non vogliamo idealizzarli, ma ci sembra di poter affermare che nell’attuale civiltà della materia e delle macchine, questa gente che senza forse rendersene conto si sosteneva soprattutto sullo spirito, costituiva una grande eccezione. Perfino quando gli capitava di essere sconfitti, essi in cuor loro (a motivo del dovere compiuto) non si sentivano espressamente tali; d’altra parte sconfiggerli era molto difficile...».
Anche perché, dalla loro parte, schierano ancora il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, che nello scorso novembre, incontrandoli, li ha esortati a non cedere al pessimismo e alla rassegnazione, ma a dare sempre il meglio, con «fede e amore», le «armi alpine» citate nella loro preghiera, di cui ha chiesto una copia, per unirsi ai canti alpini.