Renata Pisu, la Repubblica 15/8/2015, 15 agosto 2015
IL RUMORE DELLE PAROLE NON DETTE
Erano attese le parole che Shinzo Abe avrebbe pronunciato per il settantesimo anniversario della fine della guerra, soprattutto in Cina e in Corea. Si temeva che Abe avrebbe evitato di assumersi la responsabilità storica dei crimini commessi da Tokyo, che avrebbe evitato le espressioni già usate dai suoi predecessori Murayama e Koizumi nel 1995 e nel 2005.
E invece anche lui ha parlato, come già fecero loro, di aggressione e di colonialismo: ma è proprio qui che il suo discorso si rivela ambiguo. Aggressione e colonialismo sono espedienti ai quali il Giappone giura solennemente di non fare mai più ricorso, ha detto Abe. Ma non ha aggredito la Cina? E non ha imposto per cinquant’anni un duro regime coloniale alla Corea? Allora, perché non dirlo?
Cina e Corea difficilmente si riterranno soddisfatte per la genericità di questi proponimenti di buona volontà, si aspettavano che risuonassero le parole «profondo rimorso» e «scuse sincere» per i crimini commessi dalle armate nipponiche. Le due espressioni in verità sono state pronunciate da Abe ma in riferimento a quanto avevano già detto in passato i premier Murayama e Koizumi, non quindi come componenti del suo discorso, che mira invece a evitare che le generazioni future debbano continuare a scusarsi in eterno. Può sembrare una tacita ammissione dei crimini commessi dal Giappone all’epoca della seconda guerra mondiale, ma di certo non può soddisfare orecchie cinesi e coreane.
Inoltre, nominando la tragedia delle migliaia di ragazze per lo più coreane, costrette a servire come “donne di conforto” nei bordelli per i militari giapponesi, ha evitato di citarne le provenienza, come se la cosa non avesse importanza. Le poche sopravvissute a questo massacro sessuale attendono ancora di essere risarcite.
Se lo scopo di Abe era quello di inaugurare una nuova era di riconciliazione con la Cina e la Corea, ebbene l’obiettivo non è stato raggiunto, anche se bisogna convenire che il suo discorso è stato attentamente calibrato nei particolari ma senza cedere a quello che egli stesso ha definito «il masochismo dell’autocritica».
Il discorso è stato rivolto infatti anche a orecchie giapponesi e Abe ha dichiarato più volte che intende fare del Giappone un «paese normale». Ecco, in definitiva si potrebbe dire che si è trattato di un discorso «normale». Ma il Giappone è davvero un «paese normale», soprattutto ora che Abe lo vorrebbe riarmato a dispetto della Costituzione pacifista? O forse questa è la nuova normalità in un contesto che si presenta con nuove turbolenze?