Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 18 Martedì calendario

BASSO TORNA IN BICI: «QUESTA È LA MIA FELICITA’»

«E’ ancora configurato per la cronosquadre del Tour». Ivan Basso è sorpreso quando riaccende il misuratore di potenza. E’ passato poco più di un mese dal 13 luglio, cronosquadre di 28 km a Plumelec, eppure il solco è profondissimo. Quello sforzo bestiale, che Basso sopportò pur di non mollare Alberto Contador in un giorno delicato, sembra appartenere a un’altra vita. «In quella tappa forse ho provato la più grande sofferenza della mia carriera, una cosa atroce. Ho tagliato il traguardo stravolto e non riuscivo più a riprendermi. Sono arrivato quinto, non ho mollato, grazie al grande rispetto che la squadra ha avuto nei miei confronti. De Jongh (il d.s. della Tinkoff-Saxo, ndr) era stato chiaro: dovevo arrivare con Alberto. I miei compagni non mi hanno mai fatto tirare. Indimenticabile».
Ma se quella è stata la grande sofferenza dell’atleta, e magari il suo ultimo giorno di corsa, la sofferenza dell’uomo è iniziata dopo. Ivan ha dolore. Si pensa a un trauma per la caduta, invece è un tumore a un testicolo. Roberto Corsetti, il medico dei tempi della Liquigas diventato amico e punto di riferimento per la salute, che si allerta, poi il 15 luglio l’intervento chirurgico al San Raffaele di Milano. Basso però non perde il sorriso nonostante la situazione sia preoccupante, l’équipe del professor Montorsi fa un lavoro eccellente, i primi esami dicono che sì, la via sembra quella giusta per la guarigione totale. Ieri, 32 giorni dopo l’operazione, è tornato in bici.
Appuntamento a Livigno, ore 10: nuvole basse, freddo, pioggia. «Pedalata bagnata, pedalata fortunata», butta lì ridendo. Basso è felice, parla, sorride, spiega. Non smetterebbe più. Va avanti liscio fino a mezzogiorno e venti. Sembra abbia appena vinto il Giro. Santiago, il secondo figlio, baby calciatore in orbita Milan, scalpita, vuole partire, pedalare con il babbo.
Basso, che effetto fa ritrovare la bici?
«Oggi per me tornare a pedalare è come una vittoria. Era da molti anni che non facevo una vacanza così lunga. Anzi, ho iniziato ad andare in bici a 3 anni, ora ne ho quasi 38. Ecco, in 35 anni forse non sono mai stato un mese senza pedalare. Però adesso sono felice di potere ricominciare. Non so se tornerò a correre, se l’anno prossimo sarò ancora in gruppo o meno, però la bicicletta è vita, è benessere, è felicità. Insomma, non esiste solo l’agonismo, il mondo delle corse».
In base a cosa deciderà se continuare o meno?
«Ho incontrato Cadel Evans in aereo e mi ha detto una cosa che a sua volta aveva imparato da Hincapie: “Ivan, ti devi chiedere cosa ti potrebbe dare, al di là dei soldi, un anno in più in gruppo”. Beh, una risposta per ora non l’ho trovata».
Che esperienza è stata questa malattia?
«La parola “tumore”, inutile negarlo, fa paura. Io sono passato in poche ore da essere un corridore da Tour, quindi più che sano, a essere operato per un tumore. Il salto è stato brusco. I giorni dopo l’intervento sono stati i più difficili, però non ho mai perso l’ottimismo. È chiaro che un’esperienza così ti segna, ti cambia un po’ le prospettive e il modo di prendere la vita. Domenica sera mi sono mangiato anche un piatto di carbonara, cosa che desideravo da anni, e ho bevuto un bicchiere di vino buono».
Se dovesse smettere, cosa le piacerebbe fare?
«Mi piacerebbe restare nel ciclismo, ma non per comodo o perché non voglio stare a casa con la mia famiglia. Mi piacerebbe costruirmi un ruolo di responsabilità all’interno di una squadra. Se i risultati vengono sono bravo, se non vengono mi cacciano, fuori. Però sono convinto di potere fare bene. Per farti ascoltare da fuoriclasse come Contador e Sagan devi essere credibile».
Ecco Contador: che rapporto è nato con lui?
«Fantastico. Alberto è un corridore eccezionale, un professionista esemplare e un uomo straordinario. Essere stato sei mesi suo compagno di camera è stato meglio di un master nella migliore università del mondo. Mi piacerebbe lavorare al suo fianco in futuro. Però ho un rammarico. Non essere stato in grado di aiutarlo come avrei voluto. Pensavo di essere in grado di pilotarlo finché davanti rimanevano 3-4 corridori, invece mi staccavo da 30. Devo dire che in alcuni momenti è stato anche umiliante. Poi quando sul Finestre sentivo che il suo distacco da Aru aumentava mi sentivo morire. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di dargli una mano, invece ogni tanto mi aggrappavo alla radio: “Vamos campeon, vamos Alberto».
A proposito di corse, chi vincerà la Vuelta?
«Se Landa sarà quello del Giro, occhio. Chi ha corso il Tour credo che un po’ sentirà la fatica».
E Nibali?
«Vincenzo è un grande, grandissimo. Vincenzo è un campione fortissimo, un uomo semplice, genuino, una bravissima persona. Attorno ha persone valide e altre meno. C’è chi vorrebbe “costruire” una rock star, ma Nibali non è così. E anche questo fa parte del suo essere straordinario».