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 2015  agosto 15 Sabato calendario

TUTTE LE SFUMATURE DELLE SCUSE DI ABE

Preso alla lettera, discorso pronunciato ieri dal premier giapponese Shinzo Abe (e approvato dall’intero Gabinetto) – attesissimo come occasione per il Giappone di fare definitivamente i conti con il proprio passato – appare come un bel discorso. Vi compaiono parole che alla vigilia sembravano in dubbio, come “aggressione”, “scuse” e “regime coloniale”. Viene riconosciuto che il Paese prese «una strada sbagliata avanzando sulla via della guerra». Si afferma che le precedenti chiarissime prese di posizione degli ex premier Murayama (20 anni fa) e Koizumi (10 anni fa), con espressioni di scuse e rimorso profondi, resteranno immutabili. E si garantisce che il Giappone non ricorrerà mai alla forza o alla minaccia verso altri e tutelerà fermamente i valori fondamentali di libertà, democrazia e diritti umani per «contribuire più che mai alla pace e alla prosperità del mondo». Visto che Abe non andrà oggi al controverso tempio nazionalista Yasukuni, dove ci sarà invece ampio concorso di popolo per le commemorazioni, forse potrà bastare per un “reset” nelle relazioni diplomatiche in Asia orientale, oltre che a soddisfare l’alleato e protettore Usa.
Senonché sul discorso sono già piovute forti critiche da parte sia delle opposizioni interne sia soprattutto dalla Corea del Sud. I rilievi critici fanno notare che Abe non ha espresso direttamente nuove e personali scuse: l’ha fatto con toni indiretti e più che altro al passato, autorizzando il sospetto di una mancanza di piena sincerità. A Seul le reazioni negative di partiti e media si concentrano su due aspetti. Sulla questione delle cosiddette “donne-conforto” (costrette a prostituirsi nei bordelli militari), il premier ha fatto solo un riferimento indiretto, citando le sofferenze delle donne nel loro «onore e dignità» nei conflitti. Abe, dopo aver notato che l’80% della popolazione è nata dopo la guerra, ha detto che le future generazioni di giapponesi non dovranno scusarsi più per quanto accaduto quando non erano ancora nati. Un passaggio che sembra fatto apposta per sminuire, agli occhi dei suoi critici, la portata dei passi apparentemente più incisivi del discorso. Così vari elementi dell’opposizione interna si sono ridotti a sperare che oggi sia chi costituzionalmente non può entrare nella sfera politica – ossia lo stesso Imperatore, che parlerà alla Nippon Budokan di Tokyo davanti a migliaia di rappresentanti della Nazione – a dire parole interpretabili come definitive. C’è, insomma, chi si attendeva toni e tempi verbali diversi, in un momento in cui il Paese deve rassicurare i vicini in quanto sta svoltando da un pacifismo passivo al cosiddetto “pacifismo pro-attivo” di Abe (che contempla la possibilità di “difesa collettiva”, ossia di interventi all’estero delle Forze di Autodifesa in casi determinati a supporto di alleati). L’imminente prospettiva di un maggiore impegno del Giappone sul fronte della sicurezza internazionale – promosso da Abe come superamento degli eccessi restrittivi post-bellici nonché richiesto oggi dagli Usa – finisce per rendere acute le sensibilità anche sulle sfumature delle frasi ufficiali.