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 2015  agosto 15 Sabato calendario

MA IN SPAGNA LA RIPRESA DA RECORD NON È PER TUTTI

La ripresa in Spagna sta escludendo larghe fasce della popolazione. Tra aprile e giugno il Pil è aumentato dell’1% e tutte le previsioni – da quelle del governo di Madrid a quelle dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale – indicano per l’intero 2015 una crescita del Pil superiore al 3 per cento. Mentre anche il tasso di disoccupazione è sceso al 22% dai massimi del 27% raggiunti nel 2013.
Eppure le statistiche ufficiali sono lontane dalla vita quotidiana di molti spagnoli fatta di lavoro precario e debiti. I disoccupati sono ancora più di cinque milioni, tra questi, 1,2 milioni non trovano un lavoro da oltre quattro anni. Tra i giovani con meno di 25 anni il tasso di disoccupazione sfiora il 50%, in Andalusia, grande e popolosa regione del Sud del Paese, il tasso di disoccupazione resta sopra il 30 per cento.
Le formazioni politiche si scontrano sugli indicatori macroeconomici e la ripresa – reale o statistica – domina la lunga campagna che si concluderà con le elezioni generali di fine anno. Il governo ha fatto una bandiera delle riforme realizzate in questi anni - dal mercato del lavoro al sistema bancario - e rivendica i risultati ottenuti: «La ripresa si rafforza, continuiamo a creare posti di lavoro, le cose vanno molto meglio e possiamo cominciare a guardare al futuro con fiducia e ottimismo», ha detto il premier conservatore Mariano Rajoy la scorsa settimana annunciando un budget che dovrebbe mettere fine all’austerity strizzando l’occhio agli elettori.
Ma i sondaggi mostrano che per i conservatori il rischio di perdere il governo è concreto. Ad incalzarli oltre ai socialisti ci sono anche due nuovi movimenti di protesta che chiedono un forte rinnovamento del Paese, anche in economia. E se Ciudadanos si muove da posizioni liberiste di centro-destra, Podemos con il suo leader Pablo Iglesias attacca proprio sui temi sociali, sulle difficoltà delle classi più povere, sulle disuguaglianze che la crisi ha accentuato. La stessa riforma del mercato del lavoro, tutta nel segno della flessibilità, diventa per Podemos «l’esempio di come la precarizzazione stia sconvolgendo la società spagnola».
«Quello che conta quando ci si avvicina alle elezioni non sono gli indicatori sulla crescita economica ma la percezione della crescita economica. E se persistono elementi di elevata disuguaglianza, allora anche il modo con il quale le persone percepiscono la ripresa sarà diseguale», dice Pablo Simon, professore di Scienze politiche all’Università Carlos III di Madrid.
Da qualche parte bisognava cominciare e il governo conservatore ha deciso di sostenere le imprese – e per questo l’export è ripartito prima dei consumi – con contratti di lavoro meno bloccati e meno costosi, spesso part-time e a tempo. Lo scorso luglio è stato per l’occupazione il miglior luglio dal 1998 con 74mila posti di lavoro in più rispetto a giugno, ma su 1,8 milioni di contratti firmati solo il 6,9% ha riguardato contratti a tempo indeterminato.
I numeri possono essere utilizzati per dire molte cose, anche molto diverse tra loro. Ma è chiaro a tutti che la recessione profonda vissuta dalla Spagna non può essere superata in qualche mese: il reddito pro capite degli spagnoli che negli ultimi sette anni si è ridotto del 25% tornerà, se tutto va bene, ai livelli pre-crisi solo tra altri dieci anni. La media inoltre non spiega la spaccatura sociale che si è avuta: tra il 2007 e il 2011, nella prima fase acuta della crisi, il reddito del 10% delle famiglie spagnole più povere è crollato del 13% all’anno mentre nel 10% più ricco si è avuta una flessione limitata all’1,5 per cento. E la ripresa per il momento non ha certo potuto rimettere in pari questi dati.
Sulla soglia della povertà non ci sono solo i disoccupati ma anche i lavoratori precari e sottopagati che rappresentano oggi circa il 40% della forza lavoro. E la ripresa appena iniziata potrebbe – anche secondo l’Fmi – avere già perso lo slancio. «Restano problemi strutturali e elementi di vulnerabilità e il ritmo di crescita è destinato a rallentare con il venir meno di sostegni esterni come il prezzo del petrolio e il cambio favorevole euro-dollaro», spiega Helge Berger, capo missione del Fondo a Madrid. «La Spagna - aggiunge Berger - deve insistere con le riforme, deve fare di più per ridurre la disoccupazione e correggere gli elementi di disequilibrio sul mercato del lavoro». Anche per gli esperti dell’Fmi e non solo per i militanti di Podemos, «la disuguaglianza è nemica della crescita sostenibile».