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 2015  agosto 15 Sabato calendario

DALLE FIABE DEL MAGO DI OZ A INTERNET SUPERVELOCE KANSAS CITY BALZA NEL FUTURO

Google Contro il Tempo. Sembra il titolo di un film di fantascienza ma è la realtà della sfida lanciata dal gigante della tecnologia a Kansas City.
Dopo aver rivoluzionato Internet con il suo motore di ricerca, Google vuole cambiare i modi e i tempi con cui navighiamo l’oceano del web. Da ormai due anni e mezzo, Kansas City - città non ricca, dalla storia travagliata, nota per i barbecue - è il laboratorio di un’offerta incredibile: connessioni Internet a fibra ottica con velocità massime di 1 gigabit al secondo, circa 20 volte più veloce della norma, più 150 canali televisivi. Il tutto per 130 dollari al mese per i privati e 100 per le aziende (che non ricevono la tv) - un prezzo simile a quello richiesto dalle società di telecomunicazione tradizionali, che sono rimaste scioccate dall’audacia e dall’ambizione di Google.
Il mondo della tecnologia è pieno di innovazioni che vengono celebrate come cambiamenti epocali e che poi si rivelano dei flop (basta pensare ai frigoriferi «intelligenti», Siri, l’assistente dell’iPhone dalla voce melliflua e, ovviamente, gli occhiali futuristici di Google).
In questo caso, però, i rivali di Google Fiber hanno ragione a sbalordirsi e a preoccuparsi. Aumentare la velocità di Internet potrebbe avere benefici enormi per grandi imprese, piccoli imprenditori e forse anche per la gente comune. Attenzione, però, alle altre conseguenze: il successo di un’operazione come quella di Kansas City, che ora è stata replicata in altre città americane, potrebbe conferire a Google ancora più potere nel campo dei dati. Navigare sulle fibre potrebbe permettere a Google, società che non ama la trasparenza, di controllare, o quantomeno leggere, miliardi d’informazioni personali, sociali e aziendali che passano su Internet ogni secondo.
La culla dei gigabit
Siamo a Kansas City, non distante da dove è ambientato l’indimenticabile Mago di Oz, tanto che i cartelloni sull’ autostrada invitano i viaggiatori a seguire la «strada di mattoni gialli» di Dorothy/Judy Garland. È quindi naturale chiedersi se questa «magia» di Google non sia un’illusione, un tentativo di creare qualcosa che sembra fantastico ma che in realtà è poco utile, o peggio, deleterio per gran parte degli utenti.
Partiamo dai fatti. Secondo il test di Google, ci vogliono sette secondi per scaricare un film in alta definizione quando un computer è collegato con il cavo alle sue fibre ottiche (su wi-fi è più lento). Sulla banda larga tradizionale, ci si mette due minuti. Per cento foto, o cento canzoni la differenza è tre secondi invece di un minuto.
Sono dettagli tecnici come questi che mandano i nerd in brodo di giuggiole, soprattutto perché Google ha costruito un intero sistema di cavi di fibre ottiche senza aiuti né del governo né dei privati.
Ma il vero test di una scommessa del genere non sono gli specialisti che adorano il progresso tecnologico anche quando è fine a se stesso. La cartina di tornasole è gente come Marcelo Vergara, il fondatore di Propaganda 3, una piccola società che crea contenuti digitali per agenzie pubblicitarie.
Il nuovo ufficio di Propaganda 3 - scelto dopo aver chiesto al proprietario di collegarsi a Google Fiber - è il classico tempio di un’azienda del web, un loft spazioso con le mura in cortina, i soffitti in legno, senza uffici, un po’ di ragazzi che fissano i loro computer. Silenzio totale perché tutto «accade» su Internet: conversazioni, collaborazioni, parole ormai passano tutte sulla rete virtuale. Persino i «contatti» umani si fanno in video-conferenza.
L’unico tocco un po’ eccentrico sono i colori: l’intero spazio è decorato in rosso e nero. Da tifoso dell’Inter, comincio a preoccuparmi: sono finito in una tana di milanisti a Kansas City? Cello, come si fa chiamare da colleghi e amici, mi rassicura: «Sono nato in Brasile e mia madre è grandissima appassionata del Flamengo».
Lui, che a Kansas City ci vive dal 1973, invece è appassionato di Google Fiber. «Avere un sistema del genere, ci ha cambiato la vita. Ci ha liberato da tantissimi vincoli», mi dice mentre il suo cagnolino si aggira indisturbato per l’ufficio semi-deserto. «Prima, Internet non riusciva a tenere il passo con la nostra creatività e i nostri computer. Dicevamo sempre: sarebbe fico fare questa cosa ma non possiamo perché il sistema non ce lo permette».
Siamo già arrivati ai limiti della mia competenza tecnologica quindi gli chiedo di fare degli esempi. Cello, che ha qualche antenato a Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, capisce e scende al mio livello. «Prima, se dovevo mandare un file grande, con musica o foto, a un collega o a un cliente, gli avrei detto: “Ne parliamo domani”. Oggi ne possiamo parlare nello spazio di 5 minuti e in video-conferenza da qualsiasi parte del mondo», dice. «L’aumento della produttività e la spontaneità di questo tipo di collaborazione hanno un valore immenso, soprattutto per una piccola azienda come la nostra».
Google ha compresso il tempo e ridotto gli spazi - una sfida non solo alle vecchie società di telecomunicazione ma anche alla teoria della relatività.
Tagliare tempi e costi
L’altro vantaggio per imprenditori come Cello sono i costi. Prima dell’ avvento della fibra ottica, Propaganda 3 pagava circa 1500 dollari al mese per Internet. Oggi poco più di 100. Sono cifre che possono fare la differenza nel budget di una piccola impresa. La trasformazione ha permesso all’azienda di risparmiare spazio, buttando via tutti i server giganteschi che aveva prima. Oggi, tutta «l’infrastruttura tecnologica» è in un angoletto della cucina, vicino al bidone per il riciclaggio. Il resto è altrove, nell’etere reso possibile da Google.
Ma c’è un’altra ragione, più profonda, che rende Cello e imprenditori come lui così entusiasti. Come padre-padrone di una piccola azienda, Cello ha mille cose a cui pensare - nuovi clienti, personale, fondi ecc. ecc. L’infrastruttura tecnologica è l’ultima cosa di cui si vuole occupare. Il progetto di Google trasforma Internet nell’equivalente di un servizio pubblico come l’acqua, il gas e l’elettricità: sappiamo che funzionano, diamo per scontato che ci siano e non ci pensiamo mai tanto.
«Quando vado al bagno, voglio che l’acqua venga giù e se ne vada» conclude . «Così ora è con Internet».
Cello dice di non essere stato un fautore sin dall’inizio, anche se Propaganda 3 era uno dei business che partecipò alla fase-pilota dell’esperimento. «Credo che mi abbiamo inserito in quel programma perché sono un noto bastian contrario», mi dice con il sorriso di chi sa che è vero.
Racconta di aver detto a Google che concentrare l’offerta della fibra sui consumatori - il piano originale - era un errore clamoroso, che nessuno avrebbe apprezzato che Internet fosse più veloce a casa. «Continuavo a dirgli: non conta niente se non lo date a me, a imprenditori come me».
È possibile che ragionamenti come quelli di Cello abbiano persuaso Google ad aprire l’offerta a edifici commerciali, non solo appartamenti e case. Più di 100 piccole società si sono trasferite a Kansas City dal lancio della fibra ottica alla fine del 2012, secondo Google. E nel primo quartiere che venne collegato al network c’è persino uno «Start-up Village», un villaggio di piccoli imprenditori in 15 casette di legno con circa 25 società e 70 impiegati.
Il problema è che a tutt’oggi, nemmeno Cello ha il servizio di Google a casa. È per questo, forse, che il gigante di Mountain View finora non ha mai pubblicato i numeri degli utenti del servizio e, per ora, sembra abbastanza cauto nelle sue previsioni.
Il quartier generale
Quando visito il quartier generale della Google Fiber a Kansas City, questo senso di umiltà, una qualità che di solito non è propria di Google, è apparente. Mi aspettavo un grattacielo di vetro con tante luci lampeggianti all’interno e invece mi trovo in due negozietti sul ciglio di una strada statale. «Questo edificio era la mia palestra prima che lo prendessimo noi», mi dice Rachel Merlo, la manager di Google a Kansas City, mentre mi fa vedere i vari schermi e computer collegati alla fibra.
Rachel ammette che non è facile spiegare a un utente quanto meglio sia l’Internet super-veloce. «Non c’è ancora quell’applicazione o servizio che non sarebbe stato possibile senza la fibra. Ma è un inizio e ne vedremo i frutti nel corso degli anni», mi dice.
Ne vedrete anche degli utili nel corso degli anni? Perché, anche se i numeri sono segreti, Google avrà speso miliardi per costruire il network in una decina di città degli Stati Uniti e non è chiaro quando ci farà dei soldi. Rachel mi dà una risposta che è tipica di Google, una società che fa talmente tanta grana nel settore della ricerca web che si può permettere di investire in progetti ambiziosi e rischiosi, come le macchine che si guidano da sole. «Google e i nostri investitori vogliono che questo progetto sia un successo nel lungo periodo». La decisione di Google, questa settimana, di riorganizzare la società per distinguere i due filoni - i business di oggi e quelli del futuro - è una mossa che conferma questa filosofia atipica nel capitalismo americano.
L’altro aspetto, inedito, per Google è che per la prima volta si deve confrontare con utenti di persona. Non sulle chat room ma a casa, con i cavi e poi al telefono per spiegare come funziona la sua tecnologia. È la prima volta che Google lo fa e ammette di aver già imparato molto. Che trattare con i nerd è una cosa, trattare con le «soccer moms», le mamme della classe media che portano i figli a giocare a calcio, è un’altra cosa
Missione compiuta
Un risultato, però, c’è già. L’arrivo di Google ha scosso i pigri colossi delle telecomunicazioni. Protetti da un sistema americano che conferisce diritti quasi monopolistici a un solo fornitore di Internet e telefono in ogni zona, le varie At&T, Time Warner Cable e Comcast sono diventati i peggiori esempi di società americane: connessioni antiquate, servizio clienti inesistente e una spocchia che fa imbestialire gli utenti. Il tifone di Mountain View ha cambiato tutto e, improvvisamente, i cittadini di Kansas City hanno ricevuto offerte per servizi migliori a destra e a manca.
In questo senso, la missione di Google è compiuta: come ha fatto con il resto di Internet, distruggere i vecchi potentati e migliorare la vita dei consumatori vale già la pena.
Qual è il prezzo da pagare? Non parlo dei 130 dollari al mese che sono pochi e, si spera, aiuteranno anche i meno fortunati a non rimanere esclusi dall’informazione di Internet. Parlo della privacy. È normale che un ecosistema così ampio - dalla ricerca Internet, all’email di Gmail, alle mappe, al social network di Google +, ai messaggi di Google Hangouts e così via - provochi sospetti e paure. Il gioco di parole inglese è tra «pervasive», diffuso, e «invasive», invadente. Google dice di essere pervasive ma non invasive. Altri non sono così d’accordo.
C’è chi pensa che Google «legga» le nostre email, sappia dove andiamo, «conosca» i nostri amici, piatti preferiti e preferenze sessuali e usi il tutto per creare un mondo da Grande Fratello.
La realtà è un po’ diversa. Alcune delle libertà che Google si prende sono legali e accettate da chi scarica i suoi servizi (anche se le clausole sono molte e scritte in caratteri piccoli). Per esempio, Rachel dice che una delle applicazioni della tv di Google potrebbe essere di dare agli inserzionisti delle indicazioni precise sulle preferenze di un utente. «Per una società che vuole reclamizzare un prodotto potrebbe essere utile sapere che io guardo parecchi programmi di reality tv», mi dice.
Cello e altri che di queste cose se ne intendono pensano che il vero valore sia non nello scoprire i dati del singolo individuo ma nell’aggregare la miriade di informazioni che volano su Internet alla velocità della luce. Nel sapere che Kansas City guarda la televisione da una certa ora della mattina e poi di nuovo la sera, che ordina barbecue da asporto più di lunedì che di venerdì, che ama telefonare ai genitori nel weekend.
Forse un Mago di Oz dietro a questo progetto c’è, ma non sono i geniacci a Mountain View che vogliono controllare le nostre vite. Quello che Google sta cercando nella sua lotta pionieristica contro il tempo e lo spazio, Cello lo spiega in una parola: «Knowledge». Il Sapere.