Fabio Bianchi, La Gazzetta dello Sport 15/8/2015, 15 agosto 2015
IL GOLDEN BOY. NON SOLO CLASSE, RIVERA FU IL PRIMO CALCIATORE POLITICO
C’è una storiella che rende bene l’idea. Un ragazzino legge la Gazzetta dello Sport sotto il banco durante una lezione. Il maestro, arrabbiato ma evidentemente appassionato di calcio, gli strappa il giornale dalle mani e chiede a bruciapelo: «Dov’è nato Gianni Rivera?». Il bambino paonazzo e imbarazzato ci pensa su e poi sussurra: «A Betlemme». E’ di Giulio Nascimbeni, giornalista e scrittore. Chiamarlo Gesù sarebbe stato troppo: Rivera s’è accontentato di Golden boy. Il più conosciuto, ed efficace, dei tanti soprannomi che gli hanno dato. Il secondo era «Abatino», coniato dalla geniale penna di Gianni Brera. Abatino: omarino fragile ed elegante, così dotato di stile da apparire manierato e, talvolta, finto. Di stile Rivera ne aveva in abbondanza, Brera gli contestava il poco coraggio e la debolezza fisico-atletica. Ma Rivera non ne aveva bisogno: era nato per il calcio, per il bel calcio. Piedi super raffinati, visione di gioco da illuminato: sapeva dove avrebbe messo il pallone molto prima che gli finisse tra i piedi. Un rifinitore perfetto con il gol nel Dna. Il coraggio, quello lo ha messo nella sue parole e nella sua vita. Gianni Rivera è stato il primo calciatore politico. Ha inanellato trionfi e polemiche, colpi di genio e baruffe. I contatti fisici cercava di evitarli, di dire quello che pensava mai. Aveva, ha tuttora, un carisma fuori dal comune. In campo e fuori. Subito dopo il ritiro, è stato vicepresidente del Milan per anni. Poi si è dato alla politica. Nel 1987 fu eletto con la Dc nella circoscrizione Milano-Pavia con 37.013 voti. Tra le altre cariche, è stato sottosegretario alla Difesa.
QUANTI TRIONFI
Curioso: una volta disse: «Se sono riuscito a convincere la gente, vuol dire che non sarò mai un politico». Era il giorno della Stella del Milan. I tifosi invasero spalti di San Siro pericolanti. Lui prese il microfono e li convinse a lasciarli. Già, il Milan. la sua vita. Disse: «Da ragazzino mi piaceva la Juve, un osservatore venne a vedermi ma non devo averlo impressionato granché». Ahi, che errore. Allora Rivera giocava nell’Alessandria, con cui esordì in A a 15 anni in Alessandria-Inter 1-1. La settimana prima aveva fatto un provino col Milan. E fu un giocatore di quelli scarsi a promuoverlo a pieni voti: nientemeno che Schiaffino. Rivera fa la storia del Milan: tre scudetti (tra il primo e quello della Stella passano ben 17 anni), due coppe dei Campioni, un’Intercontinentale, due coppe delle Coppe. Il Golden boy, «soprannomen omen» è anche il primo italiano a vincere il pallone d’Oro, nel 1969.
QUEI SEI MINUTI
In Nazionale non va così bene. Soltanto un Europeo nel 1968. C’è anche lui a Middlesbrough nel disastro con la Corea al Mondiale ‘66. Quattro anni dopo, in Messico, sarà protagonista dell’episodio più assurdo. Rivera divide l’opinione publica. Valcareggi s’inventa la staffetta con Sandro Mazzola: un tempo uno e un tempo l’altro. La cosa regge fino alla semifinale. Rivera segna il famoso gol del 4-3 nell’indimenticabile sfida con la Germania. Ma per la finale col Brasile Valcareggi pensa bene di far giocare a Rivera soltanto gli ultimi 6 minuti. Il golden boy dirà: «Lui non aveva colpe, cercava solo di stare a galla».
LE POLEMICHE
Rivera ce l’aveva con la «cupola» del calcio. Non s’è mai risparmiato in polemiche con presidenti (Buticchi), dirigenti Figc e arbitri. Prese fior di squalifiche per discussioni in campo, famose le baruffe con Lo Bello («impossibile ogni tentativo di dialogo, era come discutere con un vigile»). Non ha smesso di polemizzare anche dopo: Berlusconi («con lui differenze di mentalità, cultura, storia») e Carraro i suoi grandi nemici . Padre Eligio invece era il suo grande amico («l’uomo più colto e intelligente mai conosciuto. Mi ha insegnato a vivere»). Rocco invece per lui «è stato come un padre». Il Paròn diceva: «Gianni, tu sei i mie occhi». Occhi che vedevano il calcio come nessun altro.