Andrea Di Biase, MilanoFinanza 15/8/2015, 15 agosto 2015
PAPERON DEL VECCHIO
Grazie al rally messo a segno in un anno dal titolo Luxottica , che rispetto all’agosto dello scorso anno ha guadagnato circa il 60%, Leonardo Del Vecchio si conferma per il terzo anno consecutivo il numero uno tra i paperoni di Piazza Affari (che in un’epoca di mercati sempre più globali comprende ormai anche gli imprenditori italiani le cui aziende sono quotate su listini esteri).
Rispetto a 12 mesi fa, quando il destino di Luxottica sembrava incerto, viste le tensioni tra proprietà e management, sfociate nelle dimissioni dal ruolo di ad di Andrea Guerra, il gruppo fondato da Del Vecchio e oggi guidato da Adil Khan e Massimo Vian ha macinato risultati, facendo spiccare il volo al titolo in borsa. Tanto che, confrontando la classifica dei paperoni di Piazza Affari di quest’anno con quella del 2014, non si può non notare come il portafoglio quotato di Del Vecchio, che comprende anche partecipazioni rilevanti in Generali , Unicredit , Foncieres des Regions e Space 2, valga circa 9 miliardi di euro in più e sia l’unico superiore alla soglia dei 20 miliardi di euro. Tra i primi dieci l’unico in grado di avvicinare il fondatore di Luxottica è Stefano Pessina, che grazie alla fusione tra l’americana Walgreens e la sua Alliance Boots è ora il principale azionista del colosso globale della distribuzione farmaceutica quotata al Nasdaq con una quota del 18%, il cui valore di mercato ad inizio agosto era di oltre 18 miliardi.
Al terzo posto nella classifica 2015 dei paperoni di Piazza Affari, tradizionalmente stilata da MF-Milano Finanza, figura invece la famiglia Benetton, in salita di una posizione rispetto allo scorso anno, ma solo perché la coppia formata da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, che dodici mesi fa li precedevano in classifica, hanno arretrato di una posizione per via della flessione accusata alla borsa di Hong Kong dal titolo Prada.
Il portafoglio quotato della famiglia di Ponzano Veneto, azionista di riferimento di Atlantia , Autogrill e con quote di minoranza in Mediobanca e Caltagirone Editore , è rimasto pressoché stabile rispetto al 2014, attestandosi al 5 agosto 2015 (giorno in cui MF-Milano Finanza ha scattato la sua fotografia) a 8,89 milioni. Ad oggi tale valore sarebbe più basso, considerato che nel frattempo Consob ha recepito il passaggio del 50,1% di World Duty Free agli svizzeri di Dufry per 1,3 miliardi.
A pesare sul valore del portafoglio quotato della coppia Prada-Bertelli ha contribuito invece le recenti tensioni sulla borsa e sull’economia cinese, che hanno pesato sulla performance dei titoli delle società del lusso, specie quelle, come la stessa Prada, quotate ad Hong Kong.
La quota di controllo nel gruppo della moda valeva a inizio agosto 8,5 miliardi, in flessione rispetto ai 10,5 miliardi di un anno fa.
Chi tra i primi dieci paperoni ha invece visto scendere in modo importante il valore del proprio portafoglio è stata la famiglia Rocca. Anche per via dei risultati non particolarmente brillanti del gruppo Tenaris in questo primo scorcio dell’anno, i fratelli Paolo e Gianfelice Rocca sono precipitati dal secondo al quinto posto nella speciale graduatoria stilata da MF-Milano Finanza. Il gruppo Tenaris ha infatti chiuso il secondo trimestre del 2015 con un utile di 72 milioni di dollari, contro i 420 milioni registrati nello stesso periodo dell’anno scorso, mentre i ricavi sono scivolati del 30%, a 1,87 miliardi di dollari, e anche le previsioni per il trimestre in corso non sembrano essere particolarmente incoraggianti, visto che la stessa società controllata dalla famiglia Rocca si attende nel terzo il trimestre un’ulteriore calo dei ricavi, a causa di «un basso livello di ordini per i prodotti premium».
Chi invece, guardando la graduatoria 2015 dei paperoni di Piazza Affari, può sorridere sono le famiglie Agnelli-Elkann-Nasi e Silvio Berlusconi e i suoi cinque figli (Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi), non tanto per la posizione in classifica, sostanzialmente stabile, quanto per l’aumento del valore del portafoglio quotato. Grazie alla corsa del titolo Exor nel corso degli ultimi 12 mesi, cresciuto del 67,67% nel periodo compreso tra il 5 agosto 2014 e il 5 agosto 2015, la quota del 51,4% detenuta dalla Giovanni Agnelli & C Sapaz ha raggiunto un valore di 5,8 miliardi, contro i 3,45 miliardi di un anno fa. Una performance che ha beneficiato del riassetto in corso al piano inferiore della catena di controllo, dove Fca si appresta a collocare in borsa il 10% di Ferrari, girando successivamente pro-quota il 90% dei titoli del cavallino rampante agli attuali soci del gruppo Fiat Chrysler Automobiles, tra cui la stessa Exor . La holding quotata degli Agnelli diverrà pertanto il primo azionista della Ferrari con il 24% del capitale. Cui si aggiungeranno il 100% del gruppo riassicurativo americano Partner Re, il 43,4% dell’Economist (l’incremento della quota originariamente del 4,7% è costato 405 milioni di euro) e le attuali partecipazioni in Fca (29,19%, ma con il 44,31% dei diritti di voto), Cnh Industrial (26.97% con il 39,99% dei diritti di voto) in Almacantar (38,29%), Banca Leonardo (17,37%) e nella Juventus (63,77%).
In crescita, come detto, anche il portafoglio quotato della Fininvest dei Berlusconi, cui potrebbe aggiungersi nei mesi a venire anche il Milan, destinato a essere quotato sulla borsa di Hong Kong nel caso l’accordo siglato a inizio agosto con il broker thailandese Bee Taechaubol dovesse concretizzarsi entro fine settembre (si veda altro servizio alle pagine 14-15). Per ora nel portafoglio della holding guidata da Marina Berlusconi, che si avvia a chiudere un 2015 in forte utile grazie alla plusvalenza realizzata grazie al collocamento sul mercato del 7,9% di Mediaset per 370 milioni di euro, figurano ancora il 33% del gruppo televisivo di Cologno Monzese, il 50% della Mondadori , il 2,05% di Mediobanca, il 25% di Molmed , oltre al 30% di Mediolanum. Quota che potrebbe ridursi nei mesi a venire, considerato che la Banca d’Italia ha imposto a Fininvest di cedere la partecipazione al 9,9% a seguito della condanna in via definitiva dell’ex premier nel processo sui diritti Mediaset. Per ora questo giardinetto di partecipazioni ha aumentato il suo valore nell’ultimo anno del 48,73%, raggiungendo un valore di 4,5 miliardi di euro rispetto ai 3,05 miliardi dell’agosto 2014.
In forte crescita anche il portafoglio di titoli quotati italiani detenuto dalla banca centrale cinese. La People’s Bank of China, che nell’ultimo anno ha rastrellato quote rilevanti in istituzioni finanziarie e grandi aziende a controllo pubblico, ha visto il proprio giardinetto di partecipazioni italiane crescere dai 3,11 miliardi dell’agosto 2014 ai 5,65 miliardi attuali, che valgono alla banca centrale di Pechino il settimo posto nella classifica dei paperoni di Piazza Affari. Si tratta evidentemente di un dato significativo, visto che in questo modo lo Stato cinese si colloca stabilmente tra i primi dieci investitori sulla borsa italiana, e (se lo vorrà) potrà avere voce in capitolo quando nei mesi a venire si apriranno le partite sulla governance di importanti banche italiane quali Intesa Sanpaolo, Monte Paschi e Unicredit .
Interessante anche osservare quali sono i paperoni che hanno maggiormente guadagnato nel corso degli ultimi 12 mesi e quelli che invece hanno perso più posizioni. Tra i primi spicca Giovanni Recordati , cui fa capo l’omonimo gruppo farmaceutico, la cui partecipazione si è rivalutata in un anno del 01,61% e ora vale 2,4 miliardi e il dodicesimo posto nella graduatoria generale dei Paperoni 2015 (era diciottesimo nel 2014). Segue Mario Rizzante, principale azionista di Reply , che ha visto la propria partecipazione rivalutarsi del 90,35% a 534,6 milioni piazzandosi al trentottesimo posto in classifica generale, e la famiglia Vacchi, azionista di Ima , il cui patrimonio quotato si è incrementato dell’85,29% a 818,2 milioni, consentendole di salire in trentunesima posizione nella graduatoria 2015 dei paperoni di Piazza Affari.
La flessione maggiore in termini di valore del portafoglio quotato l’ha invece fatta registrare la Carlo Tassara di Romain Zaleski, che nel 2007 primeggiava invece nella classifica dei paperoni di MF-Milano Finanza. La holding del finanziere franco polacco, commissariata di fatto dalle banche creditrici, ha da tempo avviato una dismissione delle partecipazioni in banche, assicurazioni e utility finalizzata a rimborsare l’esposizione residua nei confronti degli istituti di credito. Nel corso del 2014 la Tassara ha incassato tra cessioni di partecipazioni e dividendi circa 853 milioni, cui si sono aggiunti nel primo semestre di quest’anno altri 159 milioni, fra i quali è compreso il ricavato derivante dalla vendita delle azioni Intesa Sanpaolo per circa 70 milioni e di azioni A2A (a pegno e non) per 84 milioni. Il 30 maggio, infine, le controllate di Carlo Tassara, Alior Lux e Alior Polka hanno sottoscritto un accordo preliminare per la vendita a Pzu dell’intera partecipazione in Alior Bank, rappresentativa del 25,3% del capitale sociale della banca polacca. La vendita, subordinata tra l’altro alle autorizzazioni da parte dell’autorità di vigilanza polacca e delle Autorità garante della concorrenza in Polonia e Ucraina, avverrà in più tranche entro il primo semestre 2016. Al 5 agosto scorso la holding aveva ancora in portafoglio una partecipazione rilevante in A2A , Ubi Banca ed Eramet per un controvalore complessivo di 335,4 milioni. Dietro a Zaleski la flessione maggiore è stata registrata dall’uomo d’affari brasiliano André Esteves di Btg Pactual, che ha visto crollare il valore della propria partecipazione in Mps dai 276,8 milioni dell’agosto 2014 ai 178,1 milioni attuali. In calo anche il portafoglio quotato di Urbano Cairo, esposto sulla sua Cairo Communications e su Rcs Mediagroup (-17,33% a 273,9 milioni) e Carlo De Bedenetti (Bonifiche Ferraresi , Cofide , GreenItaly1 ed M&C), il cui portafoglio quotato si è svalutato anno su anno del 6,6% a 216,3 milioni. Dietro di lui il patron di Lactalis, Emanuel Besnier, sceso in classifica generale dal quinto al nono posto, alla luce della flessione del titolo Parmalat del 5,65%.