Annalisa Dall’Oca e Giulia Zaccariello, il Fatto Quotidiano 17/8/2015, 17 agosto 2015
MATTEO MAFFUCCI: «SOPRAVVIVERE ALLA MORTE DEI DISCHI. ORA È IL PUBBLICO A FABBRICARE STAR»
Quando una tua canzone arriva persino in uno Space Shuttle, scelta dalla Nasa per dare la sveglia agli astronauti in missione, vuol dire che sei la persona giusta per discutere di tormentoni estivi. Di quei dominatori assoluti di radio e classifiche, popolari, orecchiabili, irresistibili, di ciò che erano e di ciò che sono oggi. Lui è Matteo Maffucci, faccia da ragazzino nonostante i 37 anni già compiuti, e fondatore, insieme all’amico di liceo Thomas De Gasperi, degli Zero assoluto, gruppo che in 15 anni ha macinato rime e parecchie hit da ombrellone. Basti pensare che “Svegliarsi la mattina”, oltre a dare il buongiorno nello spazio all’equipaggio dell’STS-134, nel 2006 è stato uno dei singoli più venduti in Italia. Da luglio gli Zero assoluto abitano le playlist con il nuovo L’amore comune, pezzo dedicato “alla passione che si fa relazione, e che è di tutti, etero e omosessuali senza alcuna distinzione”. Mentre, a partire dal 22 settembre, archiviata l’estate, Maffucci sarà anche su Sky Arte con Muro, una serie di otto documentari dedicati alla Urban art e prodotti assieme a David Vecchiato, esponente della street art romana e fatto in collaborazione con il Fatto Quotidiano che ha pubblicato tutte le tappe del percorso.
C’è chi dice che i tormentoni estivi non esistono più. È vero?
Più che scomparsi, sono cambiati dal punto di vista della qualità. Un tempo era la canzone che ti tormentava, c’erano le canzoni filastrocca, di bassa qualità. Oggi invece è il brano che funziona, il più scaricato e passato in radio. Del resto se tra gli anni 70 e 90 il numero di canzoni che arrivavano in Italia era limitato, ora escono migliaia di brani.
Questo ha modificato anche la genesi di una hit?
Ora sono le radio a far vendere dischi, o meglio, le canzoni, anche perché la cultura musicale che c’era un tempo non c’è più. Le case discografiche non sono più determinanti nel portare al successo un brano. Presentano il loro catalogo, ma a fare la differenza, a meno che tu non sia Robbie Williams, Vasco o Jovanotti, è la decisione delle radio di passarti o meno.
Quindi oggi è la radio ad avere più potere?
Decidono soprattutto gli uffici programmazione dei vari canali, in base alla loro linea editoriale. È il potere forte, in questo settore, assieme al web e ai social, la novità degli ultimi anni.
La rete.
Esatto. Un tempo i cantanti davano i brani nuovi in esclusiva ai canali televisivi musicali, come Mtv. Oggi non funziona più così. La promozione si è spostata su YouTube. Del resto se vuoi vedere un video cosa fai? Vai su internet.
Conviene ancora produrre album?
Dal punto di vista strategico non è una mossa molto intelligente. Prima si creava l’album, poi uscivano i singoli e infine il disco completo. Oggi il focus è tutto sulle canzoni, la vera forza di un artista, l’album è quasi secondario. Un esempio: noi abbiamo fatto uscire L’amore comune, abbiamo in testa un’altra canzone per ottobre, e poi abbiamo brani pronti da proporre per Sanremo. Ma sono solo singoli. Se mi chiede quando esce l’album, non lo so e non mi interessa nemmeno saperlo. Non è tanto una questione economica, ma di scelta editoriale: è più interessante soffermarsi ogni volta su un brano, raccontarlo, approfondirlo, spiegarlo con tutti i supporti possibili, dedicargli più tempo.
Una rivoluzione?
Sì. Il concetto di disco è in via di estinzione. La gente non li compra più. Va online, sceglie le dieci canzoni che preferisce e l’album se lo fa da solo, davanti al computer. La musica, così, si è spostata, è diventata un fenomeno di massa. Forse più confuso ma sicuramente anche più democratico. Con piattaforme come iTunes, Spotify o YouTube, si è creata una nuova economia che pian piano sta sostituendo quella precedente.
Per un artista questo cosa comporta?
Un bel cambiamento. Prima la vendita del disco era una fonte di guadagno importante, ed era anche la misura del tuo status. Oggi il mercato è diverso: i progetti musicali si finanziamento soprattutto tramite i live, con le sponsorizzazioni e con un lavoro di management parallelo. Ma è positivo da un certo punto di vista: ti sprona a fare più concerti, che sono quelli che tengono viva la tua musica.
Questo incide anche sulla qualità della musica?
Non penso. La qualità dipende dal talento di chi fa musica. Ci saranno sempre canzoni oscene e brani straordinari. L’offerta è più ampia.
Nel vostro pubblico ci sono moltissimi adolescenti, vi sentite etichettati? Come si fa a fare i conti con gli anni che passano?
La grande sfida è proprio conciliare questo ruolo con il passare del tempo. Il pericolo più grande, in questo caso, è rimanere fissato su quello che facevi prima, e questo è un atteggiamento perdente. Come l’artista che compone brani, continuando a cantarsi addosso. Quando scrivi invece devi avere la freddezza e la lucidità di dire qualcosa che non hai detto prima, o comunque da una prospettiva differente, perché è passato del tempo. Se tu evolvi anche la tua identità si evolve: bisogna cambiare, senza nostalgia.
Però voi restate comunque una band seguita da giovanissimi.
Ormai non solo ragazzi. Abbiamo un pubblico abbastanza trasversale, ci sono anche persone di 35 o 40 anni. Sono magari le stesse ragazze che dieci anni fa incontravamo in prima fila impazzite, ai concerti. Solo che ora vengono con il marito o con i figli. La classica frase è “sono cresciuto con voi”. Ed è la frase più bella che un cantante possa sentirsi dire.
Siete romani e alla vostra città avete dedicato anche una canzone (Roma, che non sorridi quasi mai), cosa ne pensi del modo in cui il New York Times ha descritto la capitale, tra degrado e immondizia?
La verità è che non è messa per niente bene. Il servizio pubblico è agghiacciante, il welfare per i cittadini o non esiste, o è decisamente scadente, e questo è un peccato mortale. È una città invivibile e lo dico con il cuore che piange. Perché io non solo ci abito, ma sono anche innamorato follemente di Roma.
Alessandro Gassmann ha lanciato un appello ai cittadini per ripulire la città.
Di sicuro il contributo del cittadino è fondamentale, ma deve anche essere supportato dalle istituzioni. Se no è una presa in giro e basta. Posso anche essere felice di pagare tutte le tasse del mondo, ma vorrei avere qualcosa in cambio.
Altra polemica estiva: i figli d’arte. Ad Aurora Ramazzotti è stata affidata una striscia quotidiana a X Factor, su Sky Uno. Si è scatenato un putiferio. Tu hai un padre (Mario) ex-autore Rai e per anni direttore del Festival di Sanremo. Un cognome importante si porta dietro più vantaggi o più pregiudizi?
Io devo ringraziare moltissimo mio padre, perché sono cresciuto in un ambiente in cui parlare di certi argomenti era abbastanza facile. Detto questo, quando fai questo mestiere è il pubblico a decidere: o ti accetta o non ti accetta. È molto semplice. Anche lei si giocherà la sua chance.