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 2015  agosto 17 Lunedì calendario

STEFANO IMPALLOMENI: «È DURATA POCO MA È STATO COMUNQUE FANTASTICO»

Ogni mattina dalle sette alle dieci, è il volto dello sport per SkyTg24. Spiega, racconta, intervista. Quando parla di calcio conosce la materia come pochi. Perché Stefano Impallomeni il pallone lo conosce anche da dietro la telecamera, gli scarpini stretti, allacciati fino a strozzare il collo del piede, li ha indossati per anni, fino a quando un’entrata killer di Billy Costacurta, durante un’amichevole del 3 Agosto 1988 tra Parma e Milan, gli ha distrutto la carriera: frattura di tibia e perone. Barella, urla, lacrime, fischi del pubblico, frasi di rito per tranquillizzarlo. Stefano doveva ancora compiere ventun’anni. Da lì tutto è cambiato.

Partiamo dai rimpianti?

Difficile dirlo. Più dei rimpianti, ci sono dei punti interrogativi: per colpa dell’incidente non so se e quanto ero forte, dove potevo arrivare.

E non per colpa tua.

Esatto, questo è il punto: inizialmente, in questa storia, sono stato passivo nonostante fossi il protagonista. Divento “primo attore” dall’incidente in poi, quando ho dovuto ricominciare.

Non hai smesso subito, hai tentato di andare avanti.

Per qualche anno, ma a 26 anni ho detto “basta”, non ero più io, non sentivo il piede, e poi era appena morto mio padre.

Una nuova avventura: il giornalismo.

Una storia nata quasi per caso, prima con qualche ospitata in trasmissioni, poi in radio con Rds, una passione per la scrittura, fino ad arrivare nel 2002 all’esame da giornalista.

Uno scoop è come una finale di Coppa?

Eh, sì. Le due professioni sono simili, adrenaliniche: mangi, bruci e riparti.

Spiega un po’…

Nel mondo dell’informazione puoi scovare le notizie più importanti, poi inciampi in un errore e conta solo quello; così con il pallone: puoi giocare alla grande tutto il match, ma sbagli un rigore e sono fischi. Mi piace da matti.

Differenza maggiore tra i calciatori di oggi e quelli della tua generazione.

Totale: oggi sono delle aziende che camminano, gli ingaggi non sono paragonabili.

Quali sono i tuoi “pensieri felici” di quel tempo?

La vittoria in Coppa Italia con la Roma: ero il talento in ascesa. (Poi resta in silenzio, ci pensa, ci pensa ancora. Infine…) Aspetta: a 16 anni sono stato cooptato con la squadra maggiore, non una squadra, ma “La”, con l’articolo maiuscolo, la più forte della storia giallorossa.

Conti, Pruzzo, Falcao, Di Bartolomei…

Proprio loro. Quando sono arrivato a Trigoria davo del lei a tutti: “buonasera signor Conti”, “buonasera signor Diba”. E loro a ridere. Sai cosa ti dico? È durato poco, ma è stato fantastico.

Molti calciatori intervistati raccontano di problemi con i procuratori.

La mia vicenda è differente, riguarda un infortunio. Ricordo solo il telefono che squillava in continuazione, ero considerato un giocatore in grado di smuovere il mercato. Quante promesse…

Per superare uno choc del genere avrai dovuto lavorare molto su te stesso…

Non mi sono mai pianto addosso, non è morto nessuno, ho chiuso con un lavoro e ne ho trovato un altro, e non sai quanto mi piace quello di giornalista.

Vista la tua conoscenza di pallone e giocatori, potevi diventare allenatore.

(Scoppia a ridere). Impossibile!

Perché?

Per quel ruolo ci vuole molta pazienza, e la mia pazienza è servita per ricostruirmi.