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 2015  agosto 15 Sabato calendario

IL TRIONFALE CANTO D’ADDIO DEI 10 DOLLARI

Da qualche settimana tra i rari turisti che si fermano davanti alla tomba di Alexander Hamilton e della moglie Elizabeth nella Trinity Church di Manhattan, all’incrocio tra Broadway e Wall Street, spuntano anche persone con aria commossa che depositano fiori sulla lapide di questo padre fondatore degli Stati Uniti. Al Museum of American Finance, non uno dei più frequentati di New York, i visitatori sono in aumento e molti chiedono di vedere i documenti del primo ministro del Tesoro degli Usa: le sue battaglie per dare al Paese un vero sistema finanziario, una banca centrale, una zecca.
È l’ Hamilton effect , alimentato dalla disputa sul cambiamento della banconota da 10 dollari — la decisione del governo Obama di sostituire l’immagine di Hamilton con quella di una donna, forse Eleanor Roosevelt, ha alimentato molte proteste — e, soprattutto, dall’incredibile successo del musical di Lin-Manuel Miranda dedicato al più giovane dei «padri della Patria». Dopo mesi di repliche sempre esaurite in un piccolo teatro off-Broadway, dal 6 agosto Hamilton viene rappresentato nel Richard Rodgers Theatre, uno dei più importanti della città. Critici entusiasti e assedio al botteghino: sono già stati venduti 200 mila biglietti per un incasso di 30 milioni di dollari. Teatro esaurito per quasi un anno.

A Broadway di successi simili se ne ricordano pochi. Sicuramente nessuno per uno spettacolo a sfondo storico e in un campo ben arato come quello della nascita dell’America moderna. Ma lo spettacolo costruito da Miranda sorprende, abbatte tutti gli steccati. È un’opera «hip hop», zeppa di brani rap che, secondo la critica, rivitalizza e reinventa il genere del musical. E trasforma i maestosi e saggi fondatori immortalati in statue marmoree — George Washington, Thomas Jefferson, James Madison e lo stesso Hamilton — in esseri umani umorali e vulnerabili, protagonisti e vittime di dispute e agguati politici non molto diversi da quelli che riempiono le cronache dell’era Obama. Il quale ha visto il musical con Michelle e le figlie a un’anteprima a Broadway, durante un viaggio a New York a metà luglio.
Gli Obama sono in buona compagnia, perché lo spettacolo ha già avuto tra i suoi spettatori Bill e Hillary Clinton, ma anche il vicepresidente di George Bush, Dick Cheney, e l’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power. Insieme a tanti altri: da Tim Geithner, ex ministro del Tesoro, a Rupert Murdoch, da Bernard-Henri Lévy a Madonna e a Bon Jovi. Tutti entusiasti, anche gli esponenti del mondo conservatore, benché Miranda, con la sua scelta di affidare i ruoli principali ad attori ispanici e neri, e rappresentando i fondatori come outsider (compreso Hamilton, un orfano nato nell’isola caraibica di Nevis), finisca per agitare un tema per nulla gradito alla destra: quello dell’immigrazione, vero Dna degli Stati Uniti.
Da questo punto di vista Hamilton è la figura ideale per dare carne e sangue alla storia della nascita dell’America federale. Un «bastardo orfano» (la descrizione è di Miranda), figlio di una prostituta che muore prematuramente e di uno scozzese che lo abbandona. Arrivato a Providence dai Caraibi, va a vivere nella povertà e nello squallore, ma è ricco di coraggio, di ambizioni e anche di pulsioni romantiche: riesce a diventare un eroe dell’indipendenza, uno degli architetti della Costituzione, braccio destro del primo presidente, George Washington, e primo ministro del Tesoro degli Usa. È lui l’uomo che ha plasmato il sistema finanziario e bancario americano. Ma anche un personaggio controverso che, tra dispute accese con i suoi avversari politici e un adulterio per il quale verrà ricattato, non riuscirà mai a diventare presidente. Morirà nel 1804, non ancora cinquantenne, in un duello col vicepresidente Aaron Burr che lo aveva sfidato reagendo ai suoi veementi attacchi politici.
Hamilton risponde alla sfida, va sul luogo del duello in New Jersey, sulle rive dell’Hudson, proprio di fronte a New York, ma rifiuta di battersi in uno scontro a fuoco col vicepresidente. Che lo odia non solo per gli insulti politici che gli rivolge di continuo, ma anche perché, un tempo suo amico, è stato poi lui a sbarrargli la strada della presidenza appoggiando, invece, Thomas Jefferson (a quei tempi lo sconfitto diventava automaticamente vicepresidente). Accecato dall’ira, Burr spara ugualmente e colpisce a morte Hamilton.
Il fascino dello spettacolo ideato da Miranda (35 anni), attore, musicista e commediografo portoricano, figlio di un consulente politico dei democratici di New York, sta nell’abilità di trasferire la storia americana in canzoni molto belle e in rime taglienti. Coraggiosa ma anche azzeccata la scelta di descrivere l’America di ieri con le facce, il linguaggio e i ritmi dell’America di oggi: gli eroi sono uomini che non accettano un destino da esclusi, decisi a conquistarsi il loro futuro; fondatori che, scesi dal piedistallo, mostrano tutte le loro debolezze umane. Spettacolo convincente, che affascina gli spettatori con gli intrecci, ma rispetta la verità storica: un’operazione riuscita come quella realizzata tre anni fa al cinema da Steven Spielberg con Lincoln .
Nel costruire Hamilton , Miranda si è basato sulla biografia pubblicata undici anni fa da Ron Chernow, con la sua descrizione accurata della degenerazione della dialettica politica americana già a cavallo tra Settecento e Ottocento: «Qui la gente — spiega Chernow — pensa che quella dei “padri fondatori” sia stata l’età dell’oro del nostro Paese. In realtà le cose degenerarono rapidamente nelle dispute politiche di parte, nel muro contro muro tra fronti contrapposti. È quello che vediamo ancora oggi, quotidianamente».
È probabilmente questo l’aspetto che ha affascinato di più Obama, che aveva seguito la nascita di questo musical dal 2009, quando Miranda era stato alla Casa Bianca. Ci sono molti punti in comune tra la storia di Obama e quella di Hamilton: tutt’e due nati in un’isola remota (Barack alle Hawaii), abbandonati dal padre, cresciuti lontano dagli Usa. Tutt’e due vittime di aspre contrapposizioni politiche. Hanno perfino studiato nello stesso ateneo: la Columbia University di New York, che ai tempi di Hamilton si chiamava King’s College. E poi il grande affresco dell’America come Paese di immigrati, mosaico di minoranze. Tutte cose che sono piaciute moltissimo a Obama, ma non gli hanno fatto cambiare idea sulla banconota: tra qualche anno Miranda (che in teatro interpreta Hamilton) non potrà più cantare come fa ora: « The ten-dollar Founding Father without a father/ Got a lot farther/ By working a lot harder/ By being a lot smarter/ By being a self-starter ». Cioè: il padre fondatore senza padre che è sulla banconota da 10 dollari è andato molto lontano, lavorando duro, con furbizia e facendo tutto da solo.

Non potrà più perché il governo federale ha deciso che su quella banconota dovrà essere impresso il volto di una donna: non si sa ancora chi, anche se i sondaggi dicono che le preferenze degli americani vanno a Eleanor Roosevelt, attivista e moglie del presidente Franklin Delano. Seguono a grande distanza tutte le altre, da Rosa Park all’aviatrice Amalia Earhart. Quando, a giugno, il ministro del Tesoro Jack Lew rese nota la scelta, fu subissato dalle critiche. Tra le più veementi quella dell’ex capo della Federal Reserve, Ben Bernanke: «Hamilton è la figura centrale della nostra storia economica. Meglio, allora, eliminare Andrew Jackson dal biglietto da 20 dollari. Non dovrebbe offendersi per la scomparsa della sua immagine da un biglietto della Federal Reserve, visto che da presidente cercò perfino di osteggiare la nascita della Banca centrale».
La Casa Bianca non ha cambiato idea, Jackson resterà sulla banconote da 20 dollari, ma Lew ha promesso che Hamilton in qualche modo sopravviverà: forse sul retro del nuovo pezzo da 10 o in una serie limitata che affiancherà quella che, dal 2020, celebrerà anche le donne d’America. Mentre il Tesoro cerca di giustificare la sua scelta tipografica, a teatro Miranda si gode il successo bipartisan. Favorito anche dalla sua accortezza nel dipingere Hamilton come un centrista scomodo: uno che irrita la sinistra per la sua fiducia sconfinata nel capitalismo e nella finanza, mentre risulta indigesto alla destra quando si batte per una forte autorità centrale, con un governo che controlla e crea incentivi con un uso generoso dei fondi pubblici.
Un solo cruccio: in camerino Miranda ha avuto la visita di due presidenti, ma non quella di Cheney. Delusione metabolizzata con una delle sue uscite taglienti: «Dick (che in una battuta di caccia colpì per sbaglio un compagno, ndr ) deve essere attratto dalle storie di vicepresidenti che sparano agli amici».