Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 15 Sabato calendario

IL POTERE DEL PIEDE (NUDO O CON IL TACCO)

«Venute le femmene tutte, e nobele e ’gnobele e ricche e pezziente e vecchie e figliole e belle e brutte», il sovrano di un meraviglioso Paese prova a ciascuna invitata la scarpetta perduta sul far della mezzanotte dalla più seducente sconosciuta comparsa al gran ballo reale. Ogni tentativo è vano, finché non tocca a Zezzolla, fanciulla che la volontà della matrigna ha ridotto «dai lussi della seta agli stracci» e che viene chiamata sprezzantemente Gatta Cenerentola. Ovviamente, la scarpetta si adatterà al piedino di lei con la stessa rapidità con cui «comme lo fierro corre a la calamita». Così Giambattista Basile nel primo libro (postumo, 1634) del suo Lo cunto de li cunti . La vicenda doveva migrare dall’atmosfera dei «bassi» napoletani a quella rarefatta delle corti francesi; e la Gatta diventare Cendrillon, che al ballo del Principe smarrisce «una delle sue scarpine di vetro», grazie alla quale verrà riconosciuta, riscattando la precedente squallida esistenza con nozze in grande stile.
Se elegante e leggero resta il tono del racconto (1697) di Charles Perrault, l’Ottocento dei fratelli Grimm ci darà, invece, una versione più borghese ma efferata. Le sorellastre di Cenerentola, per cercare di infilare la loro estremità inferiore nella scarpetta troppo «strettina», sono costrette a crudeli mutilazioni suggerite dalla loro genitrice («quando si è regina non c’è bisogno di andare a piedi»). Salvo essere smascherate e costrette ad assistere al trionfo della virtuosa e fortunata rivale, prima di venire debitamente accecate dalla magica colomba che ha assistito a tutta la storia, guardacaso l’uccello che è tipicamente emblema di pace e di amore.

Meno truculenta la Cinderella cinematografica della Disney (1950), in cui alle malcapitate sorellastre tocca solo il rovello dell’invidia, e l’unica vittima che precipita dalla sommità di una torre è il malefico gatto Lucifero; un esito, questo, censurato in successivi rimaneggiamenti «politicamente corretti» del cartoon. È rimasta nel cinema la scarpetta di vetro dall’acuminato tacco a spillo: supponiamo non molto adatta alle complicate figure di danza in cui la nostra eroina si era esibita stregando il partner. Ma forse è tutto un equivoco, poiché — come mostrò nel 1836 Honoré de Balzac — probabilmente Perrault aveva compreso da una fonte orale verre , cioè vetro, invece che vair , pelliccia. Comunque, come canta la protagonista, «i sogni son desideri»; li ha realizzati, per esempio, un grande visionario della calzatura come Alexander McQueen, che nella primavera del 2010 ha realizzato la scarpa femminile Armadillo , incollando cuoio e cristalli su legno, nell’ambito di una collezione significativamente dedicata all’«Atlantide di Platone».
Ovviamente, se tutto questo vi pare troppo stravagante o utopistico, potete sempre accontentarvi degli esperimenti del designer giapponese Noritaka Tatehana: tacco tozzo verde, lacci rossi e il profilo di un corvo nero, per un tipo di sandalo un tempo pensato per sorreggere il piede delle lavoratrici nelle risaie e ora invece dedicato ai disinibiti scorrazzamenti di Lady Gaga. Aveva colpito nel segno la matrigna di Cenerentola nella versione dei Grimm: la calzatura, facendoci staccare il piede da terra, è simbolo di potere e di passione. Lo sapevano ai tempi della Guerra Civile già i cavalieri che combattevano a fianco di Carlo I Stuart, noto per la raffinatezza dei suoi stivali, e che per troppo amore di sé avrebbe infine perso la testa (1649). Il suo grande nemico, il repubblicano Oliver Cromwell, non disdegnava anche lui calzature del genere ma meno sontuose. Prerogativa del maschio combattente, le donne si sarebbero appropriate dello stivale solo dopo la ventata egualitaria della Rivoluzione Francese.
In piena Inghilterra vittoriana veniva fondata (1881) la Rational Dress Society , che in nome della salute e dell’igiene condannava corsetti e tacchi come innaturali «strumenti di tortura», mescolando protofemminismo e razionalità medica, e sempre sospettando che la moda potesse spingere le donne, attraverso un’emancipata condotta sessuale, a godere di un piacere «fine a se stesso», lontano dai vincoli della procreazione e della cura familiare. E anche sul Continente, nella Danimarca dell’epoca, ogni concessione al lusso diventava peccato, come capita nella novella Le scarpe rosse di Hans Christian Andersen. La giovane Karen, incapace di resistere al fascino di una calzatura di quel colore, sarà costretta a ballare fino allo sfinimento, salvo poi consegnare la propria anima al Paradiso, dove nessuno le chiederà più delle sue scarpe rosse. Nella modernizzazione cinematografica The Red Shoes (1948) moda e morte infine si legano insieme in quella che è stata definita una miscela di «ribaltamento delle convenzioni e vertiginosa invenzione della realtà». Vale anche per il maschio vittima della fascinazione feticista, come già dichiarava il sovrano del racconto di Basile, quando stringeva al petto le scarpette della bella Gatta sconosciuta: «Se non posso avere i capitelli, bacio le basi! Siete già stati i cippi di un bianco piede e ora siete le tagliole di un cuore nero». Di questa nerezza un regista come Luis Buñuel è stato un cantore impagabile, come mostrano le eroine proletarie, borghesi o aristocratiche del Diario di una cameriera (1964) e di Bella di giorno (1967).
Nel maggio scorso l’intimazione di bandire le scarpe basse dal tappeto scarlatto di Cannes ha suscitato un vespaio di proteste; ma al centro della polemica non era tanto il tacco «a stiletto» in sé quanto l’imposizione autoritaria. «Non so chi ha inventato i tacchi alti, ma tutte le donne gli devono molto», amava dire Marilyn Monroe. Purché non si tratti di cedere a un comando, cioè a una sottile variante di servitù volontaria! Dopotutto, Ava Gardner sapeva scandalizzare i benpensanti ballando scalza in un memorabile film degli anni Cinquanta. Avrebbe potuto farlo ballando su dei tacchi a spillo, se avesse dovuto affrontare qualche proibizione moralistica di stampo vittoriano. Dopotutto, la moda è un modo di costruire la propria immagine, pagando anche il prezzo del lusso e della lussuria. Vale ancora il detto del Re Lear di Shakespeare: «Non toglieteci il superfluo». Spesso è sovversivo.