Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera - La Lettura 15/8/2015, 15 agosto 2015
IL PRIMO VIAGGIO DI GIOTTO
Quando gli organizzatori della mostra su Giotto a Palazzo Reale di Milano annunciarono, nella conferenza stampa del 15 gennaio, che tra i capolavori assoluti sarebbe arrivato anche il polittico Stefaneschi proveniente dai Musei Vaticani, in realtà nessun accordo era ancora stato firmato. E l’operazione rischiò di saltare. I Musei, irritati dall’annuncio non concordato, comunicarono infatti a Palazzo Reale l’intenzione di ritirarsi definitivamente dall’impresa. Erano due anni che le trattative andavano avanti. Pietro Petraroia e Serena Romano, curatori della mostra, a intervalli regolari facevano visita ad Antonio Paolucci, direttore dei Musei, per aggiornarlo sul progetto dell’ambiziosa esposizione che voleva riunire i capolavori autografi dell’artista fiorentino.
Per la riuscita del progetto era indispensabile il prestito vaticano. Ma la trattativa era complessa. Il polittico Stefaneschi, di proprietà della Fabbrica di San Pietro e dal 1931 esposto nella Pinacoteca Vaticana a titolo di deposito, è considerato una delle opere identitarie dei Musei e perciò inamovibile. In realtà non è mai uscito dal Vaticano dai tempi in cui Giotto lo realizzò, intorno al 1310-20, per l’altare maggiore dell’antica basilica di San Pietro su commissione del cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi. Tuttavia Paolucci non aveva detto no. «L’occasione era irripetibile», racconta. «Mai si era vista una rassegna con un nucleo così importante di opere certe di Giotto. Ma avevamo posto una condizione: che il polittico venisse messo in sicurezza climatologica. Inoltre chiedevamo un finanziamento per un fitto programma di studio dell’opera, che pur importantissima era poco conosciuta dal punto di vista tecnico e scientifico».
Il costo complessivo dell’impresa fu valutato in centosettantamila euro. Ma, oltre alle volenterose dichiarazioni d’intenti, gli organizzatori della mostra non si decidevano a firmare il contratto che i Musei avevano spedito. Finalmente il 13 febbraio si materializzò lo sponsor, Mondadori-Electa, e le condizioni di prestito furono formalizzate. Tre giorni dopo, la commissione scientifica istituita da Paolucci era già al lavoro. Vi facevano parte, oltre ai curatori della mostra, i tecnici dei Musei Vaticani, il direttore dell’Opificio delle pietre dure di Firenze Marco Ciatti e quello dell’Istituto centrale del restauro Gisella Capponi, il curatore della Fabbrica di San Pietro, Pietro Zander. Il compito di coordinarli fu affidato a Vittoria Cimino, che dirige l’Ufficio del Conservatore dei Musei. «All’inizio ognuno di loro aveva una sua idea e la difendeva strenuamente», ricorda Cimino. «C’era chi proponeva di eliminare la struttura di legno, fatta costruire nel 1932 da Biagio Biagetti per collegare le sette tavole superstiti dell’originale polittico, e di esporre di nuovo le tavole separatamente, all’interno di box trasparenti sospesi nell’aria. Chi suggeriva una ricostruzione filologica dell’originale cornice dorata. Chi auspicava strutture ad alta tecnologia con uso di metallo a vista. Visto che non si riusciva a trovare un accordo, Paolucci concluse che non erano emerse sufficienti indicazioni per modificare la struttura Biagetti. La commissione fu ringraziata e sciolta».
Il lavoro continuò all’interno dei laboratori vaticani. Racconta ancora Cimino: «Si provò allora a progettare una grande teca climatizzata dove inserire l’intero polittico così come si trovava. Purtroppo anche questa ipotesi risultò irrealizzabile. Date le grandi dimensioni dell’opera, quasi tre metri e mezzo di altezza, le misure della teca sarebbero arrivate a quattro metri e il peso avrebbe raggiunto i cinquecento chili a metro quadro, mettendo a repentaglio la solidità dei solai della Pinacoteca». Seguì quello che Cimino chiama «un periodo di riflessione».
A metà giugno cominciarono a lavorare a una nuova idea: «Questa volta con un gruppo molto ristretto: restauratori e laboratorio scientifico dei Musei, lo Studio Bellini di Milano che ha l’incarico di progettare la mostra a Palazzo Reale, la ditta Articolarte che ha quello di curarne l’allestimento». E si arriva finalmente al sistema di protezione che i visitatori vedranno per la prima volta nell’esposizione milanese. La struttura Biagetti resta invariata, ma attorno alle tavole dipinte da Giotto sono state applicate delle piccole teche di vetro, leggere e invisibili.
Nel frattempo il polittico era stato trasferito dalla Pinacoteca ai laboratori. Sotto la guida di Ulderico Santamaria le tavole dipinte furono sottoposte alle più moderne tecniche di imaging , quelle che riescono a leggere gli strati sotto la pellicola pittorica e a rivelare importanti informazioni sull’esecuzione o sulla presenza di un disegno preparatorio, riuscendo a distinguere persino la mano del Maestro da quella degli aiuti e a ricostruire così l’organizzazione della bottega anche per un’opera poco indagata come questa.
I restauratori Laura Baldelli e Massimo Alisi si dedicarono allo studio della tecnica di esecuzione. I risultati di tutte queste analisi sono ancora in corso di elaborazione e verranno resi noti nel corso del prossimo anno. Ci si aspetta scoperte importanti. Fino ad oggi infatti le notizie sul polittico di Giotto erano pochissime, tramandate da fonti archivistiche e letterarie distribuite in un arco di tempo di oltre sette secoli. «Notizie peraltro estremamente sintetiche e talvolta sfuggenti», come riferisce Pietro Zander, che in occasione della mostra ha condotto una ricognizione sulle tavole intrecciando l’esigua documentazione esistente con altre informazioni di carattere architettonico, topografico, liturgico. È riuscito in questo modo a ripercorrere in sequenza cronologica gli spostamenti e le tormentate vicende di quest’opera, nata come pala per l’altare maggiore della basilica costantiniana e arrivata nel 1931 in Pinacoteca.
I dipinti sono dieci: tre realizzati in double face nelle tre grandi tavole cuspidate, quattro nella predella. In origine anche questi ultimi erano sei, ma due sono andati perduti in circostanze rimaste ignote. In origine la facciata con san Pietro in cattedra era rivolta verso i fedeli della navata, quella con Cristo in trono si levava davanti all’abside, destinata al clero e al coro.
Il polittico partirà per Milano il 24 agosto, su un tir speciale alto più di quattro metri, accompagnato da un’imponente scorta della polizia. Un accelerometro nascosto all’interno delle casse registrerà eccessi di velocità, urti, frenate brusche.