Giuseppina Manin, Corriere della Sera 15/8/2015, 15 agosto 2015
IL DOCUMENTARIO LE GUARDIE SVIZZERE: «BELLE STATUINE?»
Michele ce l’ha fatta per un solo centimetro. Un metro e 75 contro il metro e 74 necessario per passare l’esame. Nato a Berna, occhi e capelli scuri, è figlio di lucani immigrati in Svizzera. René è studente di teologia dell’Argovia, Leo fa il guardaboschi. Tre giovani uomini diversi per origine e cultura, uniti dal fatto di essere svizzeri, cattolici, celibi, diplomati, e dall’aver svolto il servizio militare in patria. Requisiti indispensabili per accedere all’esercito più esclusivo e pittoresco del mondo: le Guardie svizzere del Papa, 110 soldati in tutto, ufficiali e sottufficiali compresi, incaricati di proteggere il Pontefice.
Michele, René e Leo sono le tre reclute scelte dal documentarista Gianfranco Pannone per raccontare «L’esercito più piccolo del mondo», film prodotto dal Centro Televisivo Vaticano con la Fondazione svizzera Solares, il 9 settembre fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
«Sulle Guardie svizzere non sapevo molto, come tutti ero colpito dal loro aspetto, dalle loro meravigliose uniformi», ricorda il regista. «Un corpo antichissimo, nato nel 1506, molto coreografico, forse un po’ anacronistico. A lanciarmi la sfida di raccontarlo oggi, ai tempi di papa Francesco, è stato monsignor Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano. La richiesta è stata di non farne un ritratto né oleografico né celebrativo, ma di cercare piuttosto dietro le quinte, senza timore di registrare dubbi e perplessità. Per il resto, carta bianca».
Con in tasca il salvacondotto della libertà di manovra, Pannone si muove per un anno tra lo Stato della Chiesa e la Confederazione Elvetica. Con l’aiuto di Cesare Cupponi, operatore personale del Papa, riprende momenti e luoghi poco convenzionali seguendo lo sguardo, i pensieri, le emozioni di tre ragazzi appena arrivati in guarnigione. «Arruolati per due anni al servizio del papa, con il paradosso di dover difendere il palazzo apostolico dove il Papa non c’è, perché Francesco ha scelto di abitare nella casa di Santa Marta».
E così i suoi Svizzeri si ritrovano a montar la guardia sia in Vaticano, sia davanti alla sua stanza nell’albergo dei cardinali. «Proteggere questo Papa non è facile. È indipendente, ama camminare da solo, uscire senza avvisare…Ma quando si trova davanti quei ragazzoni abbigliati da Rinascimento regala sempre loro un sorriso».
Ragazzoni che parlano di fidanzate e si confidano dubbi. Sia sulla fede, sia sul loro ruolo, così speciale e strano. Fuori dal tempo, o più che mai dentro. Il far parte di un «esercito pacifico» è già contraddizione in termini. E poi quella divisa… Forse disegnata da Michelangelo, forse da Raffaello, a strisce blu, rosse e gialle, la gorgiera inamidata, l’elmo d’argento con piume di struzzo, la corazza e l’alabarda: che senso ha? Chi siamo, si chiede René, il più problematico dei tre. «Solo belle statuine? Un’attrazione per turisti?» Quei fasti non sono forse un retaggio forzato del passato? Che significa mantenerli mentre c’è un Papa che sta buttando tutto all’aria? Perplessità legittime. Il capitano Frowin Bachman ascolta, capisce e invita a proseguire il dibattito: nessun problema.
Nemmeno a evocare quel caso di cronaca nera che fece scandalo quasi vent’anni fa (quando, nel 1998, il neocomandante delle Guardie Alois Estermann fu ucciso nel suo salotto). «Una ferita aperta», ammette Pannone. Ma il nuovo corso di Francesco ha creato ovunque «un clima diverso, senza tabù. Mi premeva mostrare il lato sorprendente di questa istituzione antica con uno sguardo laico, capace di arrivare a credenti e non». Svelando dietro i fastosi costumi un’inattesa umanità.