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 2015  agosto 17 Lunedì calendario

QUANDO LA MATITA BLU DEL PROF CARDUCCI DICEVA «MOLTO BENE» ALL’ALLIEVO PASCOLI – 

Correva l’anno 1880. «All’ill.mo Sig. Prof. Giosuè Carducci», scrive un rispettosissimo Giovanni Pascoli, allora soltanto uno studente universitario, con un’infanzia difficile da riscattare grazie alla passione per lo studio, per le lettere. La frase è l’inizio di un suo compito, la traduzione di una versione dal greco, come spiega subito dopo: «Terzo lavoro per la scuola di magistero, anno scolastico 1880-81». C’è anche una parola mezza cancellata e la firma, Giovanni Pascoli. Sotto, come si usava all’epoca, il giudizio scritto con la matita blu da Giosuè Carducci: «Molto bene».
Nel 1880 Carducci insegnava già da venti anni all’università di Bologna. Era un poeta affermato, aveva scritto «Pianto antico» e «Davanti san Guido» oltre a molte opere civili. Ed era un professore severo, gli studenti lo sapevano: con lui si rigava dritto. Molti biografi raccontano che era stato capace persino di cacciare uno studente che gli aveva chiesto di firmare il libretto di frequenza e aveva commesso l’errore di presentarsi prima con il cognome e poi con il nome.
In realtà Carducci era anche capace di scherzare e giocare a carte con i suoi studenti. E di stimarli, se meritavano. Uno di quelli che meritavano era Giovanni Pascoli. L’ennesima conferma del rapporto che legava i due poeti arriva da questo compito ritrovato per caso da Alessandro Anniballi, professore di musica e maestro di coro di Capranica, in provincia di Viterbo che ha raccontato la scoperta sul suo profilo Facebook per fare «dono fotografico di questo bell’inedito». Un giorno, racconta, «un’amica mi chiamò per informarmi che un famoso docente universitario si era spento lasciando la sua ricchissima biblioteca alla mercé di qualche rigattiere. La figlia del professor R. mi fece accomodare in casa dicendomi di non avere alcun interesse a tenere questo patrimonio. “Prendi tutto quello che vuoi”». La casa era una biblioteca, libri ovunque, molti con dedica da parte dell’autore, persone che il docente universitario conosceva di persona. C’erano testi di letteratura italiana d’inizio Novecento, e di letteratura anglo-americana. Tutti catalogati con precisione. Anniballi ne prese diversi. Dopo qualche settimana provò a tornare nella casa-biblioteca, ma i libri non c’erano più, erano stati ceduti in blocco.
«Non capii subito l’importanza del libro su Pascoli, me ne resi conto qualche tempo dopo sfogliandolo». Il volume si intitola «Traduzioni, e riduzioni di Giovanni Pascoli raccolte e riordinate da Maria Pascoli», la sorella del poeta. È stato pubblicato nel 1923 «Stavo leggendo le sue traduzioni che amo per la loro straordinaria capacità di rendere la musicalità del testo poetico. Verso la metà del libro mi rendo conto che ci sono alcuni fogli di carta più spessa. Erano cuciti alle altre pagine. Toccandoli si sentiva la vergatura della penna stilografica».
Anniballi mostrò i fogli ad alcuni intenditori e nessuno ebbe dubbi: era entrato in possesso di uno dei preziosi compiti scritti da Pascoli per Carducci, alcuni dei quali nel 2007 furono anche oggetto di una mostra a Bologna. Il testo cucito nel libro di Anniballi è la traduzione dal greco della «Batracomiomachia». Prima della traduzione vera e propria, Pascoli spiega in un’introduzione i criteri che ha seguito. Il problema, in ogni traduzione, è la fedeltà al testo originale. Spiega di non essersi preso molte licenze poetiche se non alcune necessarie e si rammarica di aver scritto «dei versi non classici e ahimè nemmeno nostrani». Una modestia che Carducci evidentemente non condivise. Fece bene. Due anni dopo Pascoli si laurea a pieni voti e venticinque anni dopo prende il posto del suo maestro all’Università di Bologna.