Bernardo Valli, la Repubblica 15/8/2015, 15 agosto 2015
NAZIONALE - 15
agosto 2015
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CULTURA
Trecento anni fa moriva Luigi XIV.Per un settantennio resse le sorti della Francia e fondò lo Stato centralista
Re Sole
La mediocre perfezione del sovrano che sognava l’Europa alla sua corte
Salito al trono ancora bambino fu il simbolo dell’assolutismo,ma pare non abbia mai detto “L’Etat c’est moi” Protesse le arti e ridusse il Paese alla sola Versailles.Ancora oggi vive la lezione del suo pupillo Colbert
BERNARDO VALLI
Il barone di Montesquieu e il duca di Saint- Simon hanno adottato lo spietato giuoco dell’antitesi nel fare il ritratto del Grand Roi. Ce l’hanno presentato come un personaggio rinchiuso in un carattere in cui convivevano forze contrarie. Un groviglio, un cocktail, di virtù e di difetti, di grandezza e di mediocrità. Trecento anni dopo la morte di Lui-gi XIV, il Re Sole, avvenuta il 1° settembre 1715, nei giudizi di un filosofo e giurista come Montesquieu, e di un memorialista come Saint-Simon, mirabile e passionale pittore della storia, si ritrova il personaggio ricco di contraddizioni, di luci e di ombre, che ha suscitato e suscita ancora un fiume di pareri contrastanti. Luigi XIV morì a settantasette anni nel settantatresimo anno di
regno. Uno dei più lunghi della storia. Una vita piena di svolte. I due, il giurista e il memorialista, si incontrarono il 13 agosto 1743 nel castello di La Ferté- Vidame, vicino a Chartres, dove risiedeva Saint-Simon. Montesquieu era avido di notizie, di cose viste, e il padrone di casa aveva un’inesauribile riserva di fatti e di pettegolezzi, avendo vissuto a lungo alla Corte di Versailles. Nei suoi Mémoires aveva scaricato perfidie su Luigi XIV, morto da quasi tre decenni. Ma aveva raccontato o stava raccontando anche episodi, atteggiamenti se non proprio esemplari, quasi edificanti, comunque dissonanti dal rosario di cattiverie. Dopo averlo ascoltato e interrogato Montesquieu concluse con questa sentenza: «Luigi XIV aveva nella loro perfezione tutte le virtù mediocri e il germe di tutte le grandi…; troppo poco spirito per un grand’uomo; grande con i cortigiani e gli stranieri, piccolo con i suoi ministri…». E la sua gente.
Voltaire nell’affresco glorificante del Grande secolo include l’ammirazione per il sovrano che l’ha in larga parte dominato. Diventato re all’ età di cinque anni, Luigi XIV ha regnato sul serio dopo la morte di Mazzarino (1661) fino a quando fu sepolto a Saint-Denis. Mazzarino, di origine abruzzese, nato a Pescina, cardinale ma non sacerdote, introdotto nel potere parigino dal cardinale Richelieu, era stato un primo ministro abile e impopolare (troppo “italien”), aveva contribuito a salvare il regno dalla Fronda dei nobili ed era stato l’educatore politico del giovane sovrano, oltre che l’amante o forse lo sposo segreto della madre, Anna d’Austria, vedova di Luigi XIII.
Quando comincia a governare, a ventitré anni, il re compie un forte, clamoroso atto di autorità. Non tarda a far arrestare dal moschettiere D’Artagnan, per corruzione e lesa maestà, il sovrintendente alle finanze Nicolas Fouquet, di cui non sopporta la magnificenza, che gli fa ombra. Quel celebre arresto avvenuto a Nantes e la successiva discussa condanna all’esilio che il sovrano geloso trasforma in ergastolo e che si conclude con la morte del prigioniero diciannove anni dopo nella fortezza di Pinerolo, saranno ricordati per secoli dai detrattori di Luigi XIV come avvenimenti che hanno «offuscato il Re Sole». Fu probabilmente un sopruso, al quale contribuì il desiderio di vendetta di Jean-Baptiste Colbert, il successore alle Finanze, ma fu soprattutto una importante, decisiva svolta politica ed economica. L’artefice dello Stato accentratore, non solo sul piano economico, Colbert, avrà un ruolo di primo piano per due decenni, fino alla morte.
Voltaire esalta il secolo di Racine, di Corneille, di Molière, di Poussin, di La Fontaine, di Colbert. Avrebbe potuto aggiungere tanti altri nomi che onorarono il Seicento francese, quello ad esempio di Madame de La Fayette, autrice di La Princesse de Clèves, considerato un primo modello di romanzo d’analisi. Più tardi Voltaire, inoltrandosi nel successivo secolo filosofico, non ha nascosto che la monarchia di Luigi XIV era rimasto il simbolo dell’assolutismo, del governo personale, e del sacrificio per il popolo. Più distante da quell’epoca, perché quando nacque il regno di Luigi XIV stava per finire, Denis Diderot, filosofo dei Lumi e dell’Enciclopedia, considererà quel sovrano un despota.
Che non gli impedirà tuttavia di essere anche un mecenate. Ecco un’altra ambivalenza del personaggio. Lo considera ignorante non solo Saint-Simon, ma anche la cognata, la principessa Palatina. E lui stesso, il re, confessa le proprie lacune storiche e letterarie, e la sua predilezione per le guerre. Egli passa facilmente dalle gentilezze del cerimoniale di Corte ai bruschi atteggiamenti di un brutale colonnello di cavalleria. In effetti di guerre ne ha promosse o affrontate durante trentatré anni del suo regno. Ma non ha ricevuto unicamente un’educazione militare: ha studiato o gli sono stati insegnati il latino, lo spagnolo, l’italiano, il diritto pubblico, la matematica… E ha ascoltato lunghe letture di storia. In quanto al suo assolutismo non era una tirannia dotata di un apparato burocratico dedito a una puntigliosa censura. La corte era frequentata anche da scrittori e da artisti, ai quali il re riservava una particolare attenzione. Voleva i talenti attorno a sé e per questo incaricò Colbert di riunirli puntualmente e di non negare premi e prebende. L’Académie française creata da Richelieu poteva servire a questo scopo. Il ruolo di mecenate gli piaceva. Sostenne Molière, autore di Tartuffe , contro i bigotti. Negli anni Sessanta e Settanta del suo secolo furono prodotti gran parte dei capolavori della letteratura classica.
Quando la gloria l’accompagna senza riserve, in quanto re “per diritto divino” sceglie i vescovi, e, consacrato a Reims, si considera l’ erede dei re di Israele e ritiene di dover rendere conto soltanto a Dio. Non pensava di essere un tiranno, ma l’interprete della volontà divina.
Uno storico d’oggi, Jean- Christian Petitfils, parla di “monarchia amministrativa”. Il potere personale crea uno Stato centralizzato. Ma lui, il re, non avrebbe mai pronunciato la frase “l’Etat c’est moi”, anche se figura in tanti testi di storia. Pur non avendo le qualità fuori dal comune degli uomini che hanno dato un’impronta incancellabile al loro tempo, pur essendo una persona per cosi dire ordinaria, insomma non un grande uomo di Stato, Luigi XIV ha svolto un ruolo di primo piano nella storia di Francia e d’Europa. E ha incarnato in modo impareggiabile la figura del sovrano, del Gran Re, come poteva apparire nell’ ancien régime . Il quale finirà presto, con la Rivoluzione, verso la fine del Settecento, all’inizio del quale Luigi XIV è morto. E muore quando, dopo la gloria, si profila già la decadenza.
La fastosa cornice di Versailles, dove la Corte si insedia soltanto nel 1682, quando lui ha quarantaquattro anni e trova il Louvre sempre più stretto, ha contribuito alla grandeur del suo regno. La nobiltà, un tempo ribelle, riluttante a riconoscere i pieni poteri che i sovrani vogliono assumere, un tempo partigiana della Fronda, con lui affolla Versailles, cerca di ottenere onorificenze, spesso di scarso valore ma che consentono di avvicinare il re. La descrizione è di Saint-Simon: «Il re guardava a destra e a sinistra, al suo risveglio, quando si coricava, durante i pasti, attraversando gli appartamenti, nei giardini di Versailles, dove soltanto i cortigiani avevano la libertà di seguirlo. Vedeva e notava tutti. Nessuno gli sfuggiva. Era un demerito non apparire sovente a Corte… e una disgrazia per chi non ci veniva mai o come mai».
Durante il periodo fastoso di Versailles non mancarono le carestie: quella del 1693-94 fece un milione trecentomila vittime su ventidue milioni di abitanti. L’inverno glaciale del 1709 uccise seicentotrentamila francesi. Su molti atti di decesso c’era scritto “morto di fame”. Né mancarono le repressioni religiose contro ugonotti e giansenisti. I primi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo o subirono violenze (le “dragonate”), e dopo l’abolizione dell’Editto di Nantes, che riconosceva i loro diritti, in molti partirono in esilio. I secondi, i giansenisti, dovettero accettare le imposizioni del re, amico dei loro avversari gesuiti, e dovettero abbandonare l’abbazia di Port Royal. A quarantasei anni, prigioniero del cerimoniale e della burocrazia, ma soprattutto in seguito a un’operazione che ha diminuito la sua forza fisica, il re diventa un cattolico devoto anche nella vita personale. Non insegue più amanti nei castelli di Francia, e, vedovo della regina Maria Teresa, e stanco dell’amante, Madame de Montespan, si sposa in segreto con la governante dei figli, Madame Scaron, diventata Madame de Maintenon. L’assiste nel secondo matrimonio padre Lachaise, il confessore gesuita (che darà il nome al più grande cimitero di Parigi).
La nuova moglie è più devota di lui. Con lei l’austerità entra a Versailles. Ma non vi cresce l’intelligenza. Sarà una pessima consigliera, detestata dalla Corte, ma darà al sovrano otto dei sedici o diciassette figli aggiudicatigli. Il corteo funebre che portava la salma di Luigi XIV da Versailles a Saint- Denis (dove la sua tomba fu devastata, come quelle di altri suoi pari, durante la Rivoluzione) fu accompagnato oltre che da manifestazioni di rispetto e di cordoglio anche da incontrollate esplosioni di gioia popolare.
Il colbertismo, dal nome del grand argentier succeduto allo sfortunato Fouquet, è una delle grandi impronte lasciate dal secolo di Luigi XIV. È una variante francese dell’economia di cui si trovano evidenti tracce ancora oggi. Anzitutto è una marcata forma di centralismo, si affida allo Stato molto più del mercantilismo inglese. Colbert crea anzitutto un bilancio. E in questo sarà quasi un pioniere poiché controlla e tende a equilibrare entrate e uscite. Non riesce a imporre un vero ordine fiscale, ma mette un po’ d’ ordine nel disordine lasciato da Mazzarino, suo superiore più che maestro. Un esercizio difficile con un sovrano onnipotente che è quasi sempre in guerra. Colbert introduce una forma di protezionismo sull’industria. Sovvenziona le esportazioni.
Versailles è anche una vetrina dove gli stranieri scoprono i prodotti di lusso francesi: stoffe, sete e velluti, ricami, biancheria, mobili, abiti, profumi.. . Colbert finanza soprattutto le nuove fabbriche. Le sue iniziative non sono guidate da una teoria. Non ne ha. Egli mobilita le forze dello Stato per animare l’economia. A questo fine centralizza l’amministrazione e quindi lo Stato, che l’assolutismo di Luigi XIV ha rafforzato, o del quale ha gettato le basi riducendo l’ autonomia o l’insubordinazione degli Stati e province che formavano la Francia. Il controllo del territorio nazionale, che nel frattempo si è allargato, è più efficace. Ma Colbert muore nel 1683, e nei decenni successivi, in particolare negli ultimi anni del Grande Re la Francia è spossata e l’Europa contro la quale ha fatto tante guerre, l’Inghilterra in testa, espande la sua potenza soprattutto sul mare. Le guerre di Luigi XIV non hanno dato i risultati sperati. Il sovrano muore bene, da soldato, con coraggio, nel suo letto di Versailles, dove Madame de Maintenon ha imposto la devozione e l’ austerità.
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IL RITRATTO
Luigi XIV (1638-1715) nel più celebre dei suoi ritratti, quello realizzato da Hyacinthe Rigaud nel 1701