Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 14 Venerdì calendario

TUTTI I PERCHÉ DELLA SVOLTA DELLA BANCA CENTRALE CINESE

Il deprezzamento dello yuan innescato dalle decisioni della People’s Bank of China ha sollevato una serie di interrogativi e reazioni: una nuova puntata della “guerra delle valute” per ridar e fiato all’export e sostenere un’economia che non riesce più a tenere i ritmi di crescita di un tempo oppure un aggiustamento verso i livelli reali del mercato e, in chiave futura, un avvicinamento alla liberalizzazione del cambio? Forse entrambe le cose. Quel che è certo è che la mossa è destinata a pesare sui mercati e sugli scambi commerciali. Di seguito le risposte ad alcune domande sulla strategia di Pechino, sulle motivazioni e, in prospettiva, sulle possibili ripercussioni: non solo per i Paesi asiatici, geograficamente più vicini (e dunque più esposti verso la Cina), ma anche per le imprese europee e americane, penalizzate dalla concorrenza di quelle cinesi. Con un occhio anche alle ambizioni di Pechino che il renminbi sia incluso nelle monete paniere del Fondo monetario internazionale.
1) Che cosa ha fatto la Banca centrale cinese?
La Banca centrale cinese ha uno stretto controllo del tasso di cambio. Ogni giorno a fine seduta fissa la parità del renminbi, il cosiddetto «midpoint». Negli ultimi anni ha gradualmente allargato la banda di oscillazione quotidiana della moneta: l’ultima mossa risale al marzo 2014, quando ha raddoppiato la banda dall’1 al 2 per cento. Gli investitori dunque possono scambiarsi lo yuan quotidianamente all’interno di questa banda. Quando il cambio si avvicina al limite del 2%, la Banca centrale interviene per evitare che lo sfondi. Negli ultimi tre giorni però ha fatto di più: martedì ha fissato la parità al ribasso di quasi il 2%,mercoledì di un altro 1,6% e giovedì di un ulteriore 1,1 per cento. Un simile scossone sul cambio del renminbi non si vedeva dal 1994. Lo ha fatto, ha spiegato la Banca centrale, per tenere conto delle forti pressioni ribassiste sul cambio.
2) Quali sono le ragioni dietro a queste mosse sul cambio?
La tripla decisione viene interpretata da alcuni analisti come una mossa in direzione di una liberalizzazione del cambio. «Questo nuovo meccanismo - commentano gli analisti di Barclays - segna una mossa rivoluzionaria che migliora la formazione del tasso di cambio cinese». Altri economisti la pensano diversamente: con il deprezzamento di questi giorni, sostengono, la Cina entra in punta di piedi nella guerra delle valute, quella competizione tra banche centrale per rendere più competitive le proprie economie usando la leva del cambio. I dati diffusi lo scorso weekend fanno pensare che dietro la mossa in effetti ci siano i timori per lo stato di salute dell’economia: nei primi due trimestri del 2015 l’economia è cresciuta del 7% annuo (l’incremento più basso degli ultimi sei anni), a luglio l’export cinese è sceso su base annua dell’8,3 per cento. La svalutazione dello yuan dà una mano alle imprese esportatrici in questa fase delicata dell’economia. Fonti vicine al governo cinese citate dall’agenzia Reuters spiegano che dai vertici politici di Pechino sono giunte pressioni sulla Banca centrale perché svaluti la moneta.
3) Come ha giustificato la triplice mossa la Banca centrale cinese?
Ha cercato di rassicurare i mercati, affermando che «non c’è alcun motivo per un deprezzamento prolungato». La People’s Bank of China (Pboc) ha difeso a spada tratta la sua politica valutaria, presentando le decisioni degli ultimi giorni come un aggiustamento verso i livelli reali del mercato, mentre ha respinto l’idea di una maxi-svalutazione intenzionale ai fini di risollevare l’export. I dirigenti della Pboc hanno spiegato che la svalutazione del renminbi deriva dal nuovo meccanismo di calcolo del tasso che prende maggiormente in considerazione le fluttuazioni dei mercati e che quindi i movimenti dello yuan che si sono visti negli ultimi giorni colmano il divario tra il livello ufficiale e il valore reale di mercato. «Questo divario era dell’ordine del 3%» e considerando la flessione del renminbi da martedì, «l’aggiustamento è ormai praticamente terminato» ha detto l’assistente governatore Zhang Xiaohui.
4) Che cosa significa la decisione cinese per l’economia mondiale?
Il messaggio è chiaro: l’economia cinese è in difficoltà, al di là delle statistiche ufficiali, che continuano a mostrare un solido tasso di crescita. E Pechino è pronta a fare di tutto per rimetterla in carreggiata. Prima le autorità sono corse ai ripari per arginare la brusca caduta della Borsa di Shanghai, ora invece intervengono sull’economia reale. Anche se un deprezzamento di poco più del 3% in tre giorni può apparire non decisivo, in realtà inverte la tendenza alla rivalutazione del cambio e mette potenzialmente le imprese europee e americane in una condizione di svantaggio rispetto alle concorrenti cinesi, soprattutto se la mossa dovesse ripetersi in futuro.
5) Che cosa significa per i mercati?
La decisione può avere un impatto ribassista sulle materie prime perché segnala la preoccupazione delle autorità cinesi per lo stato di salute dell’economia. Sul mercato valutario tutte le monete asiatiche e in generale quelle dei Paesi che più esportano in Cina potrebbero subire un contraccolpo. Altre banche centrali potrebbero essere tentate di imitare Pechino in una nuova puntata della «guerra delle valute», termine coniato dall’ex ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega per indicare le strategie delle banche centrali mirate a influenzare il tasso di cambio. Persino la Federal Reserve, che deve decidere quando alzare i tassi per la prima volta da nove anni, potrebbe rinviare la stretta da settembre a dicembre o anche oltre.
6) Che cosa può succedere nelle prossime settimane?
Sul piano politico la mossa ovviamente non piacerà agli Stati Uniti, che da anni chiedono al contrario una rivalutazione dello yuan, anche se non si sono mai spinti fino al punto di dichiarare ufficialmente che la Cina manipola il suo tasso di cambio. Il presidente cinese Xi Jinping sarà in visita ufficiale negli Stati Uniti a fine settembre e il tema sarà sicuramente sollevato da Obama. In prospettiva, c’è da chiedersi se la decisione di oggi avvicina Pechino alla tanto attesa liberalizzazione del cambio, come sostengono le autorità locali e alcuni analisti, o al contrario è una mossa dirigista che ha l’unico obiettivo di aiutare le aziende esportatrici cinesi.
7) Perché il Fondo monetario ha promosso la decisione?
Perché a suo avviso segna un graduale passaggio della gestione del cambio da parte di Pechino verso meccanismi di mercato. Il Fmi auspica che Pechino punti a far fluttuare liberamente il renminbi sul mercato entro 2-3 anni. Tale richiesta va anche letta nella prospettiva di una inclusione del renminbi tra le monete paniere del Fmi, i diritti speciali di prelievo (Dsp), che l’istituzione utilizza per i prestiti agli stati sovrani. Tale ingresso avrebbe l’effetto di stabilizzare lo yuan, che entrerebbe nei portafogli di molti investitori istituzionali aumentando il suo status di valuta di riserva internazionale.
a cura diGabriele Meoni
Il Sole 24 Ore 14/8/2015