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 2015  agosto 14 Venerdì calendario

SE IL MERCATO SCOPRE I VANTAGGI DEL MINI-YUAN

Può sembrare strano che le Borse internazionali abbiano accolto le prime due svalutazioni dello yuan cinese con pesanti crolli, per reagire ieri alla stessa identica notizia con un comportamento diametralmente opposto. Eppure i mercati finanziari non sono matti:?queste opposte reazioni allo stesso identico evento hanno motivazioni perfettamente razionali. Dopo due giorni di ribassi pesanti, infatti, gli investitori hanno capito quanto già mercoledì non pochi economisti andavano dicendo: la svalutazione dello yuan non è, soppesando con cura i pro e i contro, una notizia così negativa per le Borse di Europa e Stati Uniti. Anzi.
Non è negativo, per esempio, il crollo del prezzo delle materie prime causato dal rallentamento dell’economia cinese e dalla svalutazione dello yuan. Se in un primo momento in Borsa hanno prevalso le preoccupazioni per le società minerarie ed energetiche, ora gli investitori hanno iniziato a fare due conti: soprattutto per l’Europa, che è un importatore di petrolio, il ribasso del prezzo del barile ben sotto quota 50 dollari è un’ottima cosa. È vero che questo importa deflazione (perché tiene bassi i prezzi dei carburanti), ma è anche vero che si tratta di deflazione “buona”, perché aumenta i redditi reali delle persone e dunque le loro possibilità di consumare. In questo la Cina ci sta aiutando.
Il ribasso del prezzo del petrolio è una notizia meno buona per gli Stati Uniti, che sono grandi produttori di oro nero.
Calcola Patrick Artus di Natixis che, considerando l’indotto, il settore petrolifero costituisce il 20% circa dell’intera industria statunitense: il prezzo così basso, dunque, pesa sulle aziende e sul Pil Usa. Ma siccome importa anche negli Stati Uniti deflazione, può consentire alla Federal Reserve di rinviare per un po’ il tanto atteso rialzo dei tassi d’interesse. Questo rappresenta un potenziale sostegno per le Borse e - nonostante gli effetti collaterali nel lungo periodo - per l’economia americana che già marcia a ritmo spedito.
Ovvio che sulle due economie peserà il rallentamento dell’economia cinese, perché le esportazioni soffriranno. Ma a ben guardare, non si tratta di una tragedia a livello aggregato. In Cina finisce solo il 2,6% dell’export italiano, l’1,7% di quello spagnolo e il 3,7% di quello dell’area euro. Non si tratta di cifre così grandi. Solo la Germania esporta tanto in Cina (il 6,6% del totale), ma comunque pesano pur sempre di più le sue esportazioni nel resto dell’area euro (37% del totale) e negli Usa (9%). E dato che a livello mondiale la crescita economica sta tornando verso i Paesi industrializzati a discapito di quelli emergenti, alla fine il saldo del commercio estero potrebbe essere per l’Europa meno penalizzante di quanto non si pensi. A preoccupare davvero della Cina sono gli effetti a lungo termine, perché il suo rallentamento avrà effetti pesanti sui Paesi emergenti, sulle materie prime e su una grossa fetta del commercio internazionale. Ma nel medio-breve termine, le Borse non hanno grandi motivi per disperarsi.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 14/8/2015