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 2015  agosto 14 Venerdì calendario

A CHE COSA SERVONO LE BORSE

Sempre più in alto? Circola una strana idea, popolare persino in ambienti assai scettici sulle virtù dell’economia di mercato. E’ l’idea che gli indici di Borsa possano andare soltanto in una direzione: all’insù. In tempi così incerti, aspettiamo il dato di chiusura di Milano o del New York Stock Exchange come fosse la voce rassicurante del dottore: «Tranquilli, il paziente è vivo e il mondo va avanti».
Per andare avanti, il mondo lo fa sempre. Siamo sopravvissuti allo scoppio della bolla immobiliare nel 2007, alla bolla delle dot-com a inizio anni 2000, a quella delle Borse asiatiche negli Anni Novanta, e se è per quello al boom immobiliare americano degli Anni Venti e alla «mania ferroviaria» dell’età vittoriana. Si dirà: il capitalismo è instabile per definizione. Può essere vero ma il «non-capitalismo» lo è altrettanto. Secondo le stime di uno statistico irlandese, fra il 1330 e il 1850 il suo Paese, con un’economia agricola e assai poco capitalistica, era colpito da una carestia in media ogni tredici anni. Guerre e catastrofi naturali, terremoti e inondazioni, ci accompagnano da sempre. E’ la vita umana che è instabile.
Un tempo si cercava conforto nella religione. Oggi confidiamo nel Partito comunista cinese.
Forse è il caso di chiederci a che servono i mercati finanziari. Chi compra un’azione acquista una quota del capitale di un’impresa, ma anche una promessa di una remunerazione futura. Le aziende si rivolgono ai mercati finanziari - vanno «in Borsa» - per ottenere capitale. Il valore delle azioni emesse dipenderà dai profitti attesi, con la loro distribuzione di probabilità. E dipenderà pure dal «prezzo» che ciascuno riconosce al tempo: alle condizioni, cioè, alle quali è disposto a rinunciare a quattrini oggi nella speranza di averne indietro qualcuno di più domani.
Né una cosa né l’altra sono scolpite nella pietra. Al contrario. La probabilità che un’impresa realizzi un certo profitto può cambiare drasticamente: perché i suoi prodotti non piacciono più, perché la materia prima con cui vengono realizzati aumenta di prezzo, perché cambiano le regolamentazioni o è arrivato un concorrente più efficiente.
Il punto è che i valori di Borsa non dipendono dalla Borsa. I mercati ci aiutano a registrare i cambiamenti e a venire alle prese con i rischi legati a qualsiasi attività nella quale, come nell’attività d’impresa, si baratta un uovo oggi con la speranza di una gallina domani.
Siccome «è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro» (Yogi Berra), anche gli esseri umani che scambiano (altrimenti detti: i mercati) possono sbagliare. Una politica monetaria espansiva, sussidi ed incentivi distribuiti dai governi (per esempio, a favore della proprietà immobiliare), pesanti iniezioni di denaro da parte di intermediari pubblici «drogano» le percezioni degli operatori. Costoro sono donne e uomini come tutti gli altri: e capita che si facciano prendere dall’entusiasmo per le novità, quando sembra che Internet debba cambiare il mondo in un amen (l’«esuberanza irrazionale» di fine Anni Novanta) o quando le ferrovie accorciano radicalmente i tempi di trasporto (come a metà Ottocento).
Nel momento in cui gli operatori si accorgono di avere preso una cantonata (perché molte imprese di Internet sono scatole vuote o perché buona parte dei mutuatari non è in grado di pagare le rate), è normale che ci sia una correzione. Più incongrua è la situazione di partenza e necessariamente più robusto deve essere l’aggiustamento.
Questo non vuol dire che dobbiamo augurarci il peggio. Ma dobbiamo sapere che un mercato che «funziona» non è un barometro che segna sempre bel tempo. Funziona se è consentito a tutti di imparare dai successi e dagli errori di ciascuno. Come si fa a imparare, se l’errore non viene alla luce? Da un giornale vogliamo informazioni veritiere, per decidere che fare della nostra vita in modo più consapevole: non solo buone notizie. Lo stesso vale per un mercato.