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 2015  agosto 13 Giovedì calendario

«A TEATRO SONO L’APE REGINA CHE SCOPRE I TALENTI. PROPRIO COME MIA MAMMA» – 

Ha segnato una svolta per Lucrezia Lante della Rovere questo Io sono Misia, sottotitolo «L’ape regina dei geni»: lo spettacolo è stato accolto con buona critica a Spoleto, ha avuto solo posti in piedi alla Filarmonica romana, tornerà d’inverno all’India per lo Stabile di Roma e adesso, d’estate, farà un piccolo giro ovunque venga richiesto, a cominciare dalla Sardegna. «È stata una mia idea. Io ho letto l’autobiografia di Misia Sert, io ho chiesto aiuto a Vittorio Cielo perché ne facesse un adattamento teatrale, io ho coinvolto nel progetto il regista Francesco Zecca che con le luci e i costumi ha dato la vita necessaria a questo monologo. Vorrei ritentare l’esperimento». Attrice di poco cinema, molto teatro e molta televisione, Lucrezia ammette senza imbarazzo di aver imparato e recitare vent’anni fa, quasi per caso, con Luca Barbareschi, allora suo compagno: «Ero una ragazzina, non sapevo fare niente. Luca mi ha fatto scoprire gli autori americani di oggi, mi ha aperto le porte dei teatri migliori: se sono quello che sono in gran parte lo devo a lui».
Ha detto che questo «Io sono Misia» lo deve invece a sua madre, Marina Ripa di Meana: in che senso?
«Intanto perché il libro su Misia Sert me lo ha regalato lei. Come la maggior parte degli italiani ne ignoravo l’esistenza. Non era un’artista, Misia, ma aveva la capacità di scoprire gli artisti. Il libro si fonda, infatti, su ricordi, lettere, confidenze di uno sterminato numero di artisti che da lei ebbero sostegno e aiuto ben prima di diventare famosi. Da Proust a Stravinski, da Diaghilev a Nijinski, e poi Debussy, Picasso, Ravel, Cocteau, Tolouse Lautrec. Misia era di ottima famiglia e aveva avuto mariti ricchi: nel suo salotto combinava incontri che potevano determinare una carriera. Uno dei suoi motti era: io non partorisco, io faccio partorire. Un po’ somigliava a mia madre».
Sua madre, però, è più nota alle cronache che a quelle artistiche.
«Vero, ma mia madre come Misia ha un istinto animalesco che fiuta le intelligenze. Non è stata soltanto una donna frivola capace di indossare con sovrana indifferenza abiti stravaganti, è una persona acuta, intuitiva, dotata di un talento speciale per capire gli esseri umani. È migliore di come appare».
Dopo questa esperienza le è venuta la voglia di tentare la regia?
«No. Non ne sarei capace. Come non sarei capace di fare un video o mettermi a cantare. Mi piacerebbe piuttosto trovare un altro testo adatto a me e con un gruppo di colleghi cominciare a lavorarci sopra. Per il teatro sono tempi durissimi. Ci ho messo due anni per andare in scena con Misia e se non avessi trovato l’aiuto finanziario di Marina Lia e della sua fondazione “Devlata” che me l’ha prodotto, potevo scordarmi il festival di Spoleto».
S’è cercata anche la produzione?
«Sì, per fortuna ho incontrato questa donna straordinaria che ha un bambino down a cui piace andare a teatro».
Ha trovato qualche libro da cui trarre ispirazione?
«Leggo, ma non ho ancora trovato niente. Vivo. E la vita vuole spazi e tempo. Sono in vacanza. Non ho nipotini, anche se le mie gemelle che stanno una a Parigi e una a Milano hanno ormai ventisei anni e potrebbero essere madri. Io le ho avute prestissimo, ma mi pare che adesso le ragazze vogliano godersi a lungo la loro libertà».
Per caso ha deciso di lavorare solo su suoi progetti?
«No, anche se ho capito che una cosa che sta a cuore a me, che nasce da me, viene meglio di una che mi viene offerta. Certo, se la tv mi proponesse una serie bella come Donna detective che ho fatto anni fa accetterei subito. E correrei in palcoscenico per un testo come Oleanna, il lavoro di cui vado più fiera, dove recitavo con Barbareschi. Fu un successo enorme, aiutato anche dal caso: nello stesso periodo era scoppiato lo scandalo del professor Marramao e di una ragazza. Il tema ero lo stesso del nostro spettacolo. Quella volta la curiosità ci aiutò».