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 2015  agosto 09 Domenica calendario

LA PUNTUALITA’ È COLPA DI CALVINO

Sembrava ormai niente più che un vecchio ricordo scolastico, reso obsoleto dalla globalizzazione, il tema dell’etica protestante come matrice e necessaria premessa psicologica dello spirito capitalista. Con tutte le difficoltà che ne derivano nelle relazioni tra culture inconciliabili: l’efficienza del calvinismo nordico da un lato, e l’eterna vaghezza e inaffidabilità dei popoli meridionali dall’altro.
Ci sono dei luoghi comuni talmente usurati che in teoria ci si dovrebbe vergognare a ripeterli. Ma essere originali è solo un nostro problema; mentre la realtà, a quanto pare, si adatta sempre volentieri ai vecchi schemi, almeno fino a prova contraria. E così, nelle scorse settimane, durante le fasi più drammatiche del caos politico e finanziario greco, è rispuntato fuori il canovaccio dell’eterna commedia antropologica: col crucco cattivo da una parte, circondato dalle sue carte bollate e dalle sue ragioni inoppugnabili, e lo spensierato greco dall’altra, sempre pronto a ribattere, non importa a che prezzo, che tutto sommato la ragione è sempre dei fessi.
Le commedie migliori sono quelle che prevedono una specie di sintesi, nel senso che ognuno dei contendenti, rimanendo se stesso, finisce per arricchire il suo carattere accettando qualcosa dall’avversario. Questa però è una pura petizione di principio, un’utopia poco verosimile. La verità è che loro non ci conoscono e noi non conosciamo loro. E per come si sono messe le cose, conviene molto più a noi imparare qualcosa su di loro che il contrario.
Giunge davvero tempestiva, a questo proposito, la traduzione di un libro intitolato L’ordine del tempo e dedicato, come promette il sottotitolo, all’ Invenzione della puntualità nel XVI secolo . Max Engammare non è né un economista né un polemista, e l’edizione originale del suo libro risale al 2004. È uno storico della Riforma protestante, un teologo, e insegna in quella stessa Ginevra che è l’epicentro della sua ricerca storica. Ma la lettura del suo libro è illuminante più di quella di mille pamphlet usa-e-getta pro o contro l’euro. Perché, senza che ciò fosse nei suoi propositi, questo coltissimo scrittore ci illumina sulla vera natura del debito e sulle sue rilevanti conseguenze psicologiche. Ecco un’opera che il professor Varoufakis avrebbe dovuto tenere nel suo celebre zainetto e sfogliare durante le pause delle trattative.
Il debito infatti, e il debito pubblico in particolare, è un prodigioso organismo fatto di molte componenti. Implica ovviamente un ingrediente fondamentale, che è una certa quantità di ricchezza da restituire. Ma questa ricchezza, di per sé, non basterebbe a mobilitare tante energie psicologiche e a sprigionare tanto disagio, se non si accompagnasse a una ben precisa nozione del tempo.
Sia sul piano individuale che su quello collettivo, infatti, un tempo disseminato di scadenze è un tempo che genera fatalmente ritardi, e dunque colpevolezza. Ed ecco che due diverse concezioni del tempo, maturate in culture tanto diverse, si sono fronteggiate in una specie di duello all’ultimo sangue, che ha spazzato via ogni sfumatura. Da un lato è stato detto che l’ossessione della puntualità, se oscura ogni altra considerazione, rende impossibile la vita. I più forti hanno ribattuto che la vita, senza puntualità, sarebbe semplicemente inconcepibile. Fare il tifo per una di queste due filosofie senza capire nulla dell’altra è una posizione assolutamente stupida e superficiale. Ecco perché il libro di Engammare, che parla di eventi e uomini tanto lontani nel tempo, risulta così illuminante.
Riflettiamo sul suo sottotitolo: la puntualità è un’«invenzione», una delle conseguenze capitali della riforma protestante, e le sue particolari esigenze spirituali si diramano da quello straordinario epicentro che fu la Ginevra di Giovanni Calvino. Ogni volta che scopriamo che ciò che credevamo un fatto di natura è un’invenzione, facciamo un grande passo avanti, come si sa, sulla strada che libera dal razzismo. La puntualità non è assimilabile al carattere ansioso, o alla prestanza fisica, o al colore dei capelli. In altre parole, i tedeschi non nascono puntuali: esattamente come i greci o noi che abitiamo a Roma non nasciamo ritardatari. Anche se del tutto o in parte secolarizzate, le società con radici calviniste (o più generalmente protestanti) derivano la loro puntualità da un edificio teologico e morale supremamente complesso e sfaccettato, fondato su una radicale sfiducia nella natura umana in quanto tale. Quei terribili signori delle banche tedesche potranno anche apparire dei sadici, ma sono gli eredi di una rivoluzione religiosa e antropologica che va annoverata tra le pietre miliari della nostra storia.
I guai cominciano quando si comincia a indagare dall’altro lato della barricata: quello occupato dagli insolventi, dai ritardatari cronici, da coloro che sono abituati a considerare una data del calendario al massimo come un suggerimento, e mai come un obbligo morale e metafisico. Nessuno storico potrebbe mai descriverci queste inclinazioni e queste abitudini come il frutto di un’«invenzione». Semmai, si tratta proprio del contrario, cioè dell’assenza di una filosofia di vita che corregga il vizio originario. Parlare dell’invenzione del ritardo sarebbe assurdo come parlare dell’invenzione dello sbadiglio o delle punture di zanzara.
E a nulla vale ricordare che anche tra noi c’è un sacco di gente puntuale. Lo stesso Engammare cita Benedetto Croce, che a partire dalle sette di mattina, ogni giorno della vita, pianificava il suo tempo come il carceriere di se stesso. Ma proprio l’esempio di Croce suggerisce un’inquietante conclusione. Ciò che per un’intera civiltà è una virtù collettiva praticata fin dall’infanzia, tanto che nessuno si sognerebbe di metterla in discussione, dalle nostre parti si trasforma in qualcosa di squisitamente individuale e, in ultima analisi, in un sintomo nevrotico. La puntualità, infatti, ha senso solo in un mondo di puntuali. E chi sembra più matto del filosofo di Napoli che si ostina a praticarla come un vizio solitario?