Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 11 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CINA SVALUTA


REPUBBLICA.IT
MILANO - Doveva essere un clima festivo con scambi ridotti al lumicino in vista di Ferragosto, ma la mossa della Banca centrale cinese sullo yuan (tagliato il valore del 2% sul dollaro) ha interrotto la calma. Nonostante l’accordo raggiunto nella notte tra la Grecia e creditori sugli obiettivi di bilancio al 2018, le Borse europee chiudono in perdita trascinate al ribasso dai titoli più votati all’export cinese. Le Piazze maggiormente colpite sono Francoforte (-2,68%) e Parigi (-1,86%), mentre Milano (-1,12%) e Londra (-1,06%) contengono le perdite. In controtendenza Atene che vede vicina una possibile soluzione finanziaria della crisi (+2,14%).
Ha sofferto, in particolare, il comparto della moda a causa dell’indebolimento della valuta cinese stima una possibile riduzione delle vendite verso est. La stessa preoccupazione che sta condizionando i settori più sensibili all’export, a cominciare dal petrolio in caduta a 43 dollari al barile. Sui mercati europei pesa anche il calo a sorpresa, ad agosto, dell’indice Zew, che misura il morale degli investitori tedeschi: l’indicatore si attesta a 25 punti dai 29,7 del mese scorso, contro i 32 stimati dagli analisti. Male anche Wall Street che nonostante l’aumento della produttività dei lavoratori (+1,3% nel trimestre) paga la svalutazione decisa da Pechino: alla chiusura dei mercati europei, il Dow Jones cede l’1,2%, mentre il Nasdaq e l’S&P 500 cedono poco più dell’1%.

Passa in secondo piano l’intesa raggiunta nella notte ad Atene che grazie a vincoli di bilancio meno stringenti di quelli previsti prima del referendum del 5 luglio rendono meno probabile l’uscita della Grecia dalla zona euro. Continua, intanto, a tenere banco il dibattito americano sul rialzo dei tassi: il vicepresidente della Fed Stanley Fischer ha dichiarato che non ci sarà un rialzo del costo del denaro fino a quando l’inflazione non punterà verso il 2% fissato come target dell’istituto centrale. Ma le sue parole contrastano con quelle di Dennis Lockhart, presidente della Fed di Atlanta, secondo cui l’economia Usa è vicina alla normalità e quindi una stretta il mese prossimo è possibile. Euro tratta a a 1,10 contro il dollaro, mentre lo spread è stabile in area 115 punti con i Btp che rendono l’1,77%.
In mattinata, la Borsa di Tokyo ha chiuso al ribasso a causa delle prese di beneficio dopo una serie positiva di quattro giorni. Il Nikkei ha ceduto lo 0,42%. Sul mercato nipponico hanno pesato le preoccupazioni per la tenuta dell’economia in Cina. Le quotazioni dell’oro sono di 1110 dollari l’oncia, in leggera ripresa.

REPUBBLICA.IT

9


LinkedIn

0


Pinterest

PECHINO - La Cina scende in campo contro il rallentamento economico del Paese con l’obiettivo di far ripartire la crescita ed evitare nuovi crolli in Borsa come quello che ha fatto perdere al listino di Shanghai il 30% della sua capitalizzazione rispetto ai picchi raggiunti a metà giugno. A sopresa Pechino ha quindi svalutato lo yuan dando vita alla più importante operazione di politica monetaria degli ultimi vent’anni e portando la quotazione ufficiale della moneta nei confronti del dollaro a 6,2298 (-1,9%): "Si tratta di una misura una tantum" ha specificato la Banca centrale cinese.

Insomma mentre la Federal Reserve americana si prepara a rialzare i tassi d’interesse a settembre - e comunque al più tardi entro fine anno - la Banca centrale di Pechino è tornata all’azione con una manovra di alleggerimento monetario (quantitative easing) in salsa cinese allineandosi alle altre banche centrali del mondo.

In particolare Pechino ha tagliato il suo tasso (che permette al mercato una oscillazione giornaliera di circa il 2%) dopo che l’ancoraggio al dollaro ha colpito duramente negli ultimi mesi le esportazioni del paese asiatico. La mossa odierna, calcola la Bloomberg, è la maggiore da quando il paese ha unificato, nel 1994, i tassi ufficiali e di mercato dei cambi. Inoltre secondo quanto afferma la stessa banca centrale, va nell’ottica di lasciare al mercato maggiore disponibilità a determinare il cambio considerando alcuni parametri come la domanda e l’offerta e il tasso di chiusura del giorno precedente.

Se da un lato la svalutazione potrà frenare la fuga dei capitali e rianimare l’export, dall’altro la mossa è destinata a colpire il potere di acquisto dei consumatori cinesi su alcuni prodotti, soprattutto importati. La decisione delle autorità di Pechino arriva peraltro quando nella regione anche le monete dell’Australia, Corea del Sud e Singapore si sono deprezzate aumentando i rischi di una ’guerra delle valute’ che punti sulla svalutazione per rendere competitiva l’economia. Senza dimenticare l’enorme liquidità ancora in circolazione tra gli Stati Uniti e l’Eurozona.

EFFETTI SULLA MODA
Nuova doccia fredda della Cina sulle principali maison della moda europee. Dall’Italia alla Francia, passando per la Gran Bretagna, i marchi più famosi - da Lvmh a Kering, da Ferragamo a Tod’s, passando per Burberry - si interrogano sull’effetto che la svalutazione dello yuan avrà sui propri conti. E la risposta nervosa che hanno dato a botta calda i mercati la dice lunga sull’apprensione che circola tra gli addetti ai lavori.

Exane dal canto suo ha stimato un "probabile lieve impatto diluitivo" sugli utili, generato dalla tendenza che avranno d’ora in poi i consumatori cinesi a fare shopping in patria, piuttosto che durante i viaggi all’estero (soprattutto in Europa), perché la svalutazione dello yuan ridurrà il gap di prezzi tra Cina e Vecchio continente (finora a vantaggio di quest’utimo) per le merci delle maison della moda.

Le ragioni del nervosismo sono comunque evidenti: d’ora in poi le importazioni saranno più costose per la Cina e le società del lusso rischiano di vedere un calo delle vendite, dopo un ultimo periodo già non facilissimo. Tra la lotta alla corruzione - che ha ridotto in particolare gli acquisti di orologi molto costosi e di liquori - il rallentamento dell’economia cinese (e quindi della domanda) e da ultimo le manifestazioni per la democrazia a Hong Kong, che hanno a lungo bloccato il centro della città Stato, Pechino non è più la gallina dalle uova d’oro per il mondo della moda internazionale.

La
Cina comunque resta un mercato enorme - in particolare per il lusso - e tutto quello che avviene in quelle aree rischia di avere un forte impatto sui conti delle società. Secondo le ricostruzioni di Bloomberg, la Cina continentale pesa per il 2% sul fatturato Luxottica, ma arriva fino al 15% sulle vendite totali di Tod’s. E c’è chi ha un’esposizione ancora maggiore: Swatch fattura nella cosiddetta "Grande Cina" il 37% circa, Lvmh circa il 29% nell’area asiatica mentre per Ferragamo l’Asia-Pacifico (senza il Giappone) conta per il 36,6% delle vendite complessive. Un ulteriore rallentamento della domanda rischia di farsi sentire.

ILSOLE24ORE
TOKYO - Le autorità cinesi hanno pilotato oggi a sorpresa la maggiore svalutazione giornaliera dello yuan da quasi due decenni - portandone il cambio ufficiale ai minimi da circa tre anni nei confronti del dollaro - con una mossa finalizzata con tutta evidenza a sostenere l’economia reale ed in particolare le esportazioni dopo una serie di dati deludenti. Il “midpoint” (punto medio nei confronti del quale è consentita una oscillazione giornaliera massima del 2%) è stato portato a 6.2298 da 6.1162 di lunedì mentr in chiusra lo yuan è stato scambiato a 6,32 contro il dollaro.

La banca centrale ha avvertito che si tratta di un deprezzamento “una tantum” (nell’ordine di quasi il 2%) nel quadro di un nuovo sistema di gestione dei cambi che darà più peso alle forze di mercato, con un fixing ufficiale che rifletterà la precedente chiusura del trading. Ma certo non sarà questa l’interpretazione accettata da tutti nel mondo: al Congresso Usa, in particolare, sembrano destinate a riaccendersi le polemiche contro le iniziative dirigiste verso le cosiddette “svalutazioni competitive” in quella che viene definita «guerra delle valute».
grafici

La svalutazione dello yuan

Sui mercati valutari asiatici si sono create tensioni, con ribassi per il won sudcoreano, il dollaro di Singapore e quello australiano, tutti Paesi che possono subire gli effetti di un rallentamento dell’economia cinese. La Borsa di Tokyo, dopo un avvio positivo sull’onda dei precedenti guadagni di Wall Street, ha invertito la rotta e ha chiuso in negativo: l’indice Nikkei ha lasciato sul terreno lo 0,42% a 20.720 punti; l’indice esteso Topix ha ceduto lo 0,22% a 1.687 punti. Piuttosto sostenuti i volumi, con circa 2,42 miliardi di azioni passate di mano.

Si rilanciano dunque i timori sulla stabilità della crescita cinese, visto che la nuova iniziativa delle autorità di Pechino potrebbe finire per favorire fughe di capitali. Come successo dopo il recente crollo della Borsa di Shanghai (oggi in tendenza a un lieve calo), l’interventismo governativo viene giudicato da alcuni analisti come dettato dal panico. In quest’ultimo caso, si tratta di un provvedimento in relativa contraddizione con la politica che intende fare dello yuan una valuta internazionale con un crescente peso nelle transazioni cross-border e un profilo di “valuta di riserva” presso organismi internazionali. Secondo un’altra interpretazione, prendendo per buone le giustificazioni ufficiali, sarebbe una mossa non tanto dettata dalla necessità di sostenere l’export, quanto preliminare a una maggiore liberalizzazione del sistema del cambio in vista del futuro ingresso nel “basket” dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale. L’Fmi ha rinviato almeno a settembre 2016 l’inclusione dello yuan e dato una valutazione di tenore misto sugli sforzi finora attuati da Pechino per dare più voce al mercato nella fissazione del livello dei cambi (d’altra parte, aveva riconosciuto a maggio che non era più sottovalutato). In sintesi, Pechino ha quindi varato una mossa astuta che combina una svalutazione pilotata a una maggiore apertura al mercato.
Secondo gli ultimi dati rilasciati sabato, l’export cinese è sceso dell’8,3% a luglio rispetto a un anno prima, con un calo dello 0,8% nei primi sette mesi di quest’anno in termini di dollari.

Male i titoli del lusso
La svalutazione dello yuan, con il conseguente calo del potere d’acquisto dei cinesi, ha penalizzato la moda in tutta Europa: a Milano le peggiori sono state Ferragamo, Tod’s e Moncler. Sul Cac 40 d Parigi, pesante Lvmh. A Londra venduto Burberry. Per tornare a Milano, Finmeccanica ha scontato sconta la bocciatura di Goldman Sachs, mentre in cima al listino hanno spiccato Saipem e ancora volta Mps. Sul resto della Borsa brillano Zucchi con acquirenti in vista per la controllata Mascioni e ancora Saras.