Bonifacio Borruso, ItaliaOggi 11/8/2015, 11 agosto 2015
TOMASO MONTANARI È UN CLONE DI SALVATORE SETTIS
Oscurata dal can can sui nuovi vertici Rai, la riforma della Pubblica amministrazione firmata da Marianna Madia non è passata inosservata da uno dei leader del paesaggismo militante, l’allievo prediletto di Salvatore Settis, Tomaso Montanari, storico dell’arte alla Federico II di Napoli, saggista di successo, e polemista d’assalto.
Sul suo blog «Articolo 9» su Repubblica.it, ché quello sul Fattoquotidiano.it non è aggiornato da ottobre dell’anno scorso, sul suo blog, dicevamo, il professore ha denunciato nei giorni scorsi «il miciadiale articolo 8 della legge Madia», per il quale, «le soprintendenze confluiranno nelle prefetture», e se non riusciranno a evadere una pratica entro 90 giorni, si intenderà che abbiano detto sì: qualunque cosa contenga quella pratica».
La sintesi del professore che si tratta della «fine della tutela».
Commentando la presentazione della legge, «le slide della propoganda renziana pagata con i soldi pubblici», Montanari annuncia la cementificazione incipiente, contestando le parole del Governo che assicurano il contrario. «Ma come si può avere la faccia tosta di prendere in giro gli italiani con enormità di cui si sarebbe vergognato perfino Silvio Berlusconi? Nelle soprintendenze non c’è più nessuno, per il blocco del turn over. Non hanno più mezzi: basta auto di servizio, non più cellulari, non c’è manco la carta. Se l’obiettivo fosse stata la maggior tutela, prima si sarebbero dovuti dare i mezzi per esercitarla, e poi si sarebbe potuto (anzi, dovuto) chiedere di esercitarla in tempi certi: ma così è solo un massacro».
En passant, Montanari attacca il suo bersaglio polemico preferito, Matteo Renzi, col quale litigò forsennatamente quando era ancora sindaco, per la sua decisione di autorizzare, col ministero dei Beni culturali, i microsondaggi dell’Università di S.Diego nell’affresco del Vasari che orna il Salone dei Cinquecento, alla ricerca di una sottostante opera di Leonardo.
Fino all’anno prima, però, Montanari guadava con simpatia il Rottamatore, tanto da partecipare, nell’ottobre del 2011, a una storica edizione della Leopolda, con un appassionato discorso dal palco. Ma questa è un’altra storia.
Le promesse governative sui rischi di cementificazione sarebbero poi risibili perché «quando un Renzi presidente della Provincia di Firenze si trovò ad avere bisogno di un elicottero in pochi minuti, lo chiese in prestito al re del cemento fiorentino».
Dunque, prosegue Montanari, «ci si può ora stupire se – dallo Sblocca Italia alla Legge Madia – egli pone le basi per un nuova stagione di mani sulle città e sul paesaggio?».
L’elicottero in questione apparteneva al costruttore pratese Riccardo Fusi e la notizia emerse, nel 2010, dai brogliacci di alcune intercettazioni che lo riguardavano. Renzi la smentì, e forse, per questo, la notizia non fece problema a Montanari quando dovette andare alla Leopolda l’anno dopo. Ma questa è, di nuovo, un’altra storia.
Contro la legge Madia, Montanari si era speso molto peraltro, sottoscrivendo con i soliti noti, da Settis a Stefano Rodotà, da Dario Fo ad Alberto Asor Rosa, una petizione per fermarla, scrivendo, qualche giorno più tardi, che il ministro Dario Franceschini, «rischia di passare alla storia come il becchino (o il vespillone, per dirla con Totò e Vittorio Emiliani dei Beni culturali».
Franceschini che, più o meno un anno fa, Montanari aveva elogiato per la sua proposta di riforma dei Beni culturali, «non renziana» aveva esultato il professore sul blog del Fattoquotidiano.it, aggiungendo che il ministro appariva «sempre meno allineato alle vuote parole d’ordine dal premier-principe».
Allora il professore aveva infatti mandato segnali di interesse all’azione del titolare dei Beni culturali, un po’ come era successo col predecessore, Massimo Bray, inizialmente criticato per via della sua aurea di «dalemiano» e poi esaltato e difeso per molte sue decisioni. Con Franceschini, invece la curva del consenso sembra ormai aver virato, irrimediabilmente, verso il basso. Ma questa è, una volta ancora, un’altra storia.
La discesa in campo di Montanari prelude però a una lunga estate calda della difesa della sovrintendenze dalle museruole prefettizie o dagli istinti cementificatori dei politici locali, il suo è un «aux armes citoyens», alle armi cittadini, come canta La Marsigliese, che, c’è da giurarlo, mobiliterà tutti, dal Fai a ItaliaNostra.
Magari facendo sbollire la polemica dell’Hotel S.Chiara a Venezia, il cui ampliamento, sul Canal Grande accanto al ponte di Calatrava, è finito in questi giorni al centro di commenti indignati, perché con le sue architettura moderne non si sposerebbe con l’intorno. Nel mirino c’è proprio al Sovrintendenza di Venezia, che ha autorizzato il progetto, per filo e per segno, come peraltro lo stesso Montanari aveva riportato in un suo libello di due anni fa, Le pietre e il popolo (Minimumfax), in una delle poche pagine che non riguardavano Firenze e attaccavano Renzi. Episodio sul quale Montanari non è ancora tornato.
Anche prima che Renzi e la Madia li conducessero in catene dinnanzi ai prefetti, i sovrintendenti potevano sbagliare.
Bonifacio Borruso, ItaliaOggi 11/8/2015