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 2015  agosto 09 Domenica calendario

STATECI VICINI

La redazione del Fatto è in preda al terrore. Non per la visita della Dia, rispettosissima, in casa di Vincenzo Iurillo a caccia degl’improbabili segreti delle intercettazioni Renzi-Adinolfi, depositate cioè pubbliche cioè non segrete. E nemmeno per la diffida del Garante della Privacy a rimuovere dal web e dagli archivi gli articoli sul bungabunga all’incontrario nella villa di Arcore. Incidenti professionali. No, a turbare i nostri sonni sono ben altre minacce: una querela sporta da Stefano Folli e una minacciata da Gianni Riotta. La pietra dello scandalo, in entrambi i casi, è il sottoscritto per il suo maledetto vizio di sbeffeggiare politici e giornalisti al seguito, accomunati da un morbo endemico e incurabile: l’allergia all’umorismo. Riotta s’è parecchio adontato perché ho fatto notare lo straordinario tempismo con cui lui o chi per lui, alle 19.55 del 5 agosto, aveva comunicato via Ansa al mondo intero di aver insignito del Premio Spotorno da lui presieduto la neopresidentessa della Rai Monica Maggioni, indicata dal premier Renzi un paio d’ore prima. Un colpo di lingua preventivo che batteva tutti sul filo di lana e meritava un encomio solenne. Apriti cielo. Con la barba tutta spettinata, Johnny Raiotta ha twittato furioso: “Travaglio non conosce vergogna, si sa. Ma prendersela con gli amici del Premio Internazionale Spotorno Nuovo Giornalismo è così volgare da far ridere: come sempre la sua prosa”. Ora, che io non conosca vergogna e sia molto volgare, non c’è dubbio: altrimenti non avrei scritto “Riotta” in un mio articolo. Ma non credo di essermela mai presa “con gli amici del Premio Spotorno”, che fra l’altro non ho il piacere di conoscere (gli amici: Spotorno invece è la ridente località ligure dove andavo in vacanza da ragazzo, non ancora frequentata da Johnny). E soprattutto non credo di aver diffamato nessuno, scrivendo “questo sì che si chiama professionismo. Chapeau”.
Ma il tenutario del programma-samiszdat Parallelo Italia 47 35 (47 e 35 sono i telespettatori totali delle prime due puntate) minaccia: “Spiegate a Travaglio e al suo circo come stanno le cose se no mi tocca rivincere causa contro Fatto”. È il segnale convenuto agli amici del Premio, che infatti twittano come stanno le cose: “Il premio è stato assegnato l’8 luglio (non ieri)”. In effetti l’8 luglio avevamo colpevolmente bucato la notizia del premio alla Maggioni, peraltro in compagnia dell’intera stampa nazionale e internazionale, agenzie incluse.
E ce n’eravamo accorti solo alle 19.55 del 5 agosto quando l’Ansa la comunicò alla Nazione e al mondo intero, dopo averla snobbata per ben 28 giorni. Facile immaginare che il presidente o qualche amico del Premio si fosse precipitato a ufficializzarla, magari per evitare che nella notte altre giurie – nazionali, internazionali o intergalattici – premiassero la Maggioni rubando la scena e la primogenitura alla bella Spotorno. Ora apprendiamo invece che, dopo 28 giorni di clandestinità, la notizia è uscita la sera del 5 agosto per puro caso: forse l’ha dettata lo Spirito Santo, o forse si è dettata da sola. Del resto, sospettare di servilismo un giornalista investigativo dalla schiena dritta e di scuola anglosassone come Johnny sarebbe puro arbitrio: la piaggeria non è proprio da lui. Se però vuole querelarci, attendiamo a pie’ fermo di sapere perché (mai scritto che il Premio Spotorno è stato assegnato alla Maggioni il 5 agosto: solo che vi è stato annunciato). E anche di conoscere quale causa Riotta avrebbe vinto contro di noi (forse in sogno).
Ma già sappiamo che difficilmente, per quanto si sforzi, riuscirà a farci divertire quanto il notista politico di Repubblica Stefano Folli. Il quale chiede la mia condanna a pena esemplare per un articolo di ottobre (“Fronte del riporto”) “spregiudicatamente e premeditatamente diffamatorio” in “ogni riga”, da lui letto con “somma sorpresa” dopo una “brillante carriera”. Anche “il lessico lede la sua dignità morale ma in particolar modo quella professionale”, specie là dove definivo “croccanti, avvincenti, frizzanti” i titoli delle sue note. “Gravemente mendace” sarebbe poi la ricostruzione del suo prematuro allontanamento dalla direzione del Corriere, dopo appena un anno e mezzo (giugno 2003-dicembre 2004). A me risultava che il suo Corriere non andasse proprio a gonfie vele, anche per via dell’assunzione come vicedirettore ad personam dell’autorevole ed equilibrato Magdi Cristiano Allam e del fallimentare e costosissimo nuovo inserto Week End; ma lui giura che le vendite (da me mai citate) registrarono un boom mai più eguagliato, anche se poi non spiega perché mai quei matti della Rcs lo spararono fuori da via Solferino alla velocità della luce, privandosi di cotanto direttore. Ma il capitolo più avvincente riguarda il titolo, “totalmente ingiustificato e decontestualizzato”, a proposito di quello che definivo il suo “riportino elaborato che i birdwatchers paragonano al nido di cinciallegra”. E qui temo che il rinvio a giudizio non me lo levi nessuno: un gup minimamente spiritoso non vorrà privarsi del piacere di un’udienza preliminare che si annuncia spettacolare. Lì la difesa Folli disquisirà sulla conformazione del riportino incriminato, magari con l’ausilio di una perizia tecnico-pilifera, a cui sarò costretto a opporre l’expertise di un birdwatcher o di un etologo specializzato in nidi d’uccello. Col rischio, fra l’altro, di beccarmi una querela dal Sindacato Nazionale Cinciallegre.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 9/8/2015