Stefano Dascoli, Il Messaggero 9/07/2015, 9 luglio 2015
ANIMALI SELVATICI, UN’EMERGENZA CHE CI COSTA 100 MILIONI ALL’ANNO
L’AQUILA Cento milioni di euro l’anno. Secondo le stime delle associazioni di categoria a tanto ammontano i danni provocati dagli animali selvatici: cinghiali in primis, ma anche caprioli, daini, lepri, fagiani, lupi. E poi ci sono i danni indiretti. Quelli, ad esempio, causati dalle sortite dell’orso nei luoghi di villeggiatura estiva, tanto che a Trento si ragiona su un referendum per limitarne la presenza dopo le aggressioni a due podisti nei boschi.
L’EMERGENZA NELLE REGIONI
Una vera e propria emergenza nazionale che, a spulciare gli ultimi dossier, riguarda in particolare il Lazio (tre milioni di danni solo nel 2013), il Reatino, il Viterbese, la Valle d’Aosta, il Piemonte, le Marche, la Toscana, la provincia di Campobasso. Numeri che, ad oggi, costituiscono solo una stima, forse approssimata per difetto: non ci sono database nazionali né censimenti precisi (fanno eccezione Toscana, Piemonte, Emilia Romagna e Umbria), tutto si perde nella giungla degli indennizzi. Garantiti ed erogati, sebbene spesso al ribasso, solo per chi dimora nelle aree protette.
I FONDI
Per gli altri tante promesse o poco più: la stragrande maggioranza delle Regioni fatica a erogare i fondi, decine di aziende agricole di medie e piccole dimensioni sono costrette a chiudere. Anche in settori d’eccellenza come, ad esempio, il vitivinicolo. Risarcimenti quasi impossibili, è scritto nell’ultima risoluzione approvata a fine 2014 dalla commissione Agricoltura della Camera, per «lungaggini burocratiche, eterogeneità delle procedure, mancanza di assunzione di responsabilità da parte degli enti».
VENUTI DALL’EST
Il fenomeno, in molte aree del Paese, ha raggiunto dimensioni preoccupanti. Il cinghiale è, senza dubbio, l’animale in grado di provocare i danni maggiori. L’introduzione di esemplari provenienti dal centro ed Est Europa e la successiva “contaminazione” con le specie autoctone (come quelle maremmane o sarde, che invece erano in perfetto equilibrio con l’habitat), in abbinamento con l’abbandono sempre più frequente di aree agricole e montane, ha prodotto un mix esplosivo.
Ad oggi, secondo i dati delle associazioni di categoria, la percentuale di danneggiamento ha superato la soglia di tolleranza, fissata al 4-5 per cento di perdita complessiva del prodotto.
IL DIBATTITO
Il dibattito sui rimedi si arrovella da anni sulle stesse questioni: abbattimento selettivo, allargamento del periodo di caccia, cattura, meccanismi di protezione, controllo del ripopolamento, leggi più incisive. Si chiedono monitoraggi sugli esemplari, più «poteri» per gli agricoltori, una pianificazione delle aree nelle quali imporre la riduzione per prevenire danni alle persone. I numeri, però, non cambiano mai.
È il caso delle Marche, dove il Wwf ipotizza addirittura un business parallelo e clandestino: «Abbiamo censito 30 mila cinghiali. Legalmente se ne abbattono 10 mila l’anno, ma la popolazione resta stabile nonostante i tassi riproduttivi dell’animale che vanno dal 100% al 200%. Pur attribuendo al lupo, che è il suo unico predatore, l’uccisione 2-3 mila cinghiali ce ne sono almeno altri 10 mila abbattuti illegalmente».