Massimo Gaggi, Corriere della Sera 9/07/2015, 9 luglio 2015
IL CASO SULLE DONNE TRUMP PASSA IL SEGNO BOICOTTATO ANCHE DAI REPUBBLICANI
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Guerra di Donald Trump contro le donne o guerra dell’«establishment» repubblicano contro un candidato troppo ingombrante, straricco, che rischia di allontanare dai conservatori grosse fette dell’elettorato e che un domani potrebbe anche piantare in asso il partito, candidandosi come indipendente?
La tempesta non accenna a placarsi a destra, alimentata dallo stesso Trump che, furioso per il trattamento ricevuto dalla Fox, la rete più seguita dai conservatori Usa, continua ad attaccare Megyn Kelly, la giornalista che gli ha rivolto le domande più taglienti sui suoi insulti alle donne, mentre gli strateghi della sua campagna parlano di «attacco programmato e coordinato». Già durante il dibattito di Cleveland il miliardario aveva risposto alla conduttrice con tono minaccioso («io sono stato gentile con lei, ma forse non avrei dovuto, visto come mi sta trattando»). Subito dopo Trump ha cominciato, tra dichiarazioni televisive e tweet, un vero tiro al bersaglio: Megyn accusata di essere stata professionalmente scorretta, di averlo bombardato anziché fare giornalismo. Poi l’uso di espressioni scortesi e sessiste come «bella pupa».
Infine una frase che ha scatenato un altro putiferio: «La Kelly aveva il sangue agli occhi e dappertutto». Come dire che aveva le mestruazioni commentano i più. Erick Erickson, celebre «blogger» conservatore e animatore del forum «Red State» che ieri aveva organizzato ad Atlanta un raduno di leader repubblicani, strappa l’invito a Trump: «Mi piace il suo carattere, capisco che a volte esagera perché si sente maltrattato dal suo partito, ma c’è una linea rossa che un candidato alla Casa Bianca non dovrebbe mai superare: quella della decenza. E Trump l’ha varcata trattando quella giornalista come una in preda a una tempesta ormonale. Invitiamo Meqyn Kelly al suo posto».
Ieri alla «convention» di «Red State» tutti i candidati hanno espresso solidarietà a Megyn e alla Fox, pur evitando di tirare in ballo direttamente Trump. Che ha fatto un goffo tentativo di correggere il tiro: «Quando ha detto dappertutto pensava al naso — hanno sostenuto i suoi collaboratori —, ci vuole una mente perversa per pensare al ciclo mestruale». Intanto, mentre si aspetta di vedere come lo «show» di Cleveland ha inciso sul giudizio degli elettori (i primi sondaggi indicano un lieve calo di Trump che, però, resta saldo in testa) la proprietà della Fox scende in campo per difendere i suoi giornalisti: il capo della rete, Roger Ailes, definisce i suoi tre «anchor», Chris Wallace e Bret Baier, oltre alla Kelly, «il miglior team televisivo di sempre». Si fa sentire anche il padrone della rete Rupert Murdoch, un «tycoon» come Trump: «Il mio amico Donald deve imparare a rispettare la stampa» .
Oltre che i suoi giornalisti e la dignità delle donne, la Fox difende il suo successo: il dibattito di Cleveland, definito da molti il migliore di sempre per la durezza e l’immediatezza delle domande rivolte a tutti i candidati, non solo a Trump, è stato sicuramente il più seguito della storia delle tv «cable»: 24 milioni di spettatori, record assoluto per una trasmissione non sportiva su queste reti. Nella campagna di quattro anni fa i dibattiti tra i candidati repubblicani non superarono mai i 7 milioni di spettatori. Merito, più che dell’abilità dei conduttori, della curiosità per Trump che piace a molti mentre anche chi lo disprezza accorre a vedere lo spettacolo dell’elefante che fa sfracelli nella cristalleria.
Solo che l’elefante rischia di fare grossi danni al partito repubblicano e questa considerazione fa riemerge il sospetto di manovre politico-mediatiche per ostacolare la corsa di un candidato che non pochi sospettano addirittura di «intelligenza col nemico», cioè la famiglia Clinton. E’ stato lo stesso miliardario a mettersi in una condizione difficile quando, in apertura del dibattito, ha onestamente confessato che non esclude di candidarsi da indipendente, se non fosse lui il prescelto dei repubblicani per la Casa Bianca. Potenzialmente un altro Ross Perot, la cui candidatura, nel 1992, tolse voti a Bush padre e regalò la vittoria a Bill Clinton. Che sente spesso Trump, ha avuto grossi finanziamenti da lui e di recente gli ha telefonato consigliandogli di candidarsi.