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 2015  luglio 08 Mercoledì calendario

VIAGGI, DUELLI CON SALVINI E INCONTRI CON «I PADRI NOBILI», ROSSI STUDIA DA LEADER DEM

Enrico «il Rosso» fa sul serio. Il governatore della Toscana, da quando è stato rieletto per il secondo mandato, si muove su due binari paralleli che, seduto nel suo ufficio, definisce così: «Mi sono organizzato per fare al meglio il presidente regionale, ma anche per dire la mia — in modo più puntuale e competente— sulla politica nazionale».
Enrico Rossi ha 56 anni, è uno di quegli amministratori del Pd, l’altro forse è Nicola Zingaretti nel Lazio, cui una parte dei militanti guarda come possibile leader di domani. Il 2017, quando si deciderà il segretario, è lontano ma Rossi intanto si «organizza», e poi «accada quel che accada». Ha ampliato lo staff («ma tagliato i costi») con alcuni collaboratori che seguono la politica nazionale, ha intensificato i viaggi all’estero, incontrato in privato padri nobili della sinistra (da Alfredo Reichlin a Emanuele Macaluso) che gli avrebbero detto «Enrico vai avanti», ha iniziato a lavorare a un libro in cui parlerà del «modello Toscana» ma anche di Sud e lavoro, ha preso a sfidare Salvini sull’immigrazione. Vasto programma per uno che nei prossimi anni voglia fare solo il governatore. E infatti non è così.
Rossi ora vuole intervenire «puntualmente»: «Sul caso Azzollini — esordisce — il Pd rischia un contraccolpo con l’opinione pubblica». La critica a Renzi sui singoli punti è netta — «se Verdini diventa determinante è un errore drammatico» — ma il governatore non è anti-renziano. Non lo è, quantomeno, nel modo ormai codificato (e un po’ prevedibile) della sinistra pd. Innanzitutto il pensiero di abbandonare il partito non lo sfiora nemmeno: «Extra Ecclesiam — ride — nulla salus» (al di fuori della Chiesa nessuna salvezza, ndr ). E alla minoranza riserva giudizi sferzanti: «Il gioco di interposizione a Renzi non farà rinascere una cultura politica della sinistra». Insomma, una delle caratteristiche a cui sembra tenere di più è questa: né con Renzi né con i suoi oppositori.
Il rapporto con il premier è antico: prima conflittuale, poi più fluido. Pur appartenendo a un’altra generazione e cultura politica (ai collaboratori chiede di leggere e rileggere Gramsci, a volte li interroga) riconosce che Renzi «doveva fare ciò che ha fatto». E cioè chiudere il ciclo di D’Alema e Bersani: «Li ascolto sempre volentieri, ma ormai possono solo fare i formatori». Liquidati i vecchi leader, nell’attuale Pd, per Rossi, c’è comunque tanto che non va: «Il generico, il marketing, la democrazia emozionale». Pensa che l’idea del partito della nazione «alla lunga non terrà» e che anche il 40% delle Europee possa rivelarsi effimero, «un giorno c’è e un altro non c’è più, come si è già visto».
E quindi Rossi si candida, intanto «a contribuire a una ricostruzione» dei contenuti del Pd che, si capisce, ritiene ora parecchio evanescenti: «Avere un elettorato di riferimento, per esempio, è decisivo». Per lui la parola chiave resta socialismo: «La sfida è proporre qualcosa di antico, e di vivo, della sinistra in un modo adatto ai tempi». Se gli si fa notare che i socialisti europei sono rimasti senza voce nel braccio di ferro tra Merkel e Tsipras annuisce: «Schiacciati tra i custodi dell’austerità e i populisti di sinistra, c’è poco da stare allegri».
Rossi, che va a Bruxelles una volta alla settimana e cita Berlinguer più volte al giorno, tenta di costruirsi orizzonti più ampi: è stato da poco in Tunisia e Algeria (e Renzi gli ha scritto per complimentarsi), in autunno andrà in Egitto e Israele, ha chiesto di far parte della dele-gazione del Pse che renderà omaggio ai giovani socialisti curdi uccisi a Suruç, al confine tra Turchia e Siria. «Per anni mi sono dedicato all’amministrazione, ma senza una dimensione ideale la sinistra non esiste: con il solo pragmatismo finiamo per somigliare alla destra».
L’estate del governatore si è quindi fatta iperattiva, l’intenzione è di buttarsi nella mischia: «Interverrò di più alle direzioni del Pd, dirò la mia, a questo punto se non lo facessi mi sentirei un vile». E poi, «accada quel che accada».