VARIE 9/8/2015, 9 agosto 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PROBLEMA DEI CINGHIALI
DAI GIORNALI DI OGGI
DAL CORRIERE DI STAMATTINA
R. BRU.
È uscito da casa al mattino, con i suoi cani, sulle colline sopra Cefalù, da un lato l’azzurro del mare dall’altro le cime delle Madonie, terra bella e selvaggia. Salvatore Rinaudo, 77 anni, si è trovato di fronte un branco di cinghiali, i cani hanno iniziato ad abbaiare. La moglie Rosa si è accorta di tutto: «Ho visto che mio marito si è bloccato, poi si è messo in mezzo per salvare le sue bestie. A questo punto i cinghiali gli sono saltati addosso». Rinaudo è stato sopraffatto, non ha avuto scampo, è morto dilaniato dai morsi degli animali. La signora Rosa, 73 anni, si è precipitata fuori: «Ho cercato di recuperare Salvatore, di tirarlo dentro. Mentre provavo a prenderlo e portarlo via sono stata aggredita anche io. Non ci sono parole per descrivere quello che ho visto. Sono distrutta». L’hanno portata al pronto soccorso con ferite alle gambe e all’addome, ma per fortuna non gravi e già nel pomeriggio ha potuto lasciare l’ospedale.
Un’altra vittima (dopo quella di maggio nel Bresciano) che ha riaperto le polemiche sulla proliferazione incontrollata dei cinghiali, nonostante un etologo come Enrico Alleva puntualizzi che l’animale «si è sentito attaccato ed ha avuto un naturale comportamento di difesa probabilmente anche per la presenza dei suoi cuccioli». Il sindaco di Cefalù, Rosario Lapunzina, è infuriato: «Siamo colpiti e profondamente addolorati per quanto accaduto. Ma anche molto arrabbiati, perché questa è una tragedia annunciata». Il primo cittadino ricorda che «più volte è stato segnalato il pericolo e per questo è stata chiesta anche una campagna di abbattimento controllato. Ma non è stata mai adottata alcuna misura». Un’emergenza che coinvolge tutti i Comuni del Parco delle Madonie e che spinge il sindaco di Pollina, Magda Culotta, che è anche deputato del Pd, ad attaccare il presidente Crocetta: «L’empasse del governo regionale ha creato uno stallo decisionale che ha messo in serio pericolo la sicurezza del territorio e l’incolumità dei cittadini e dei turisti».
Il governatore promette che questa volta si farà presto e che già nella giunta di domani sarà discusso «un piano di messa in sicurezza». Aggiunge Crocetta: «Il problema dell’eccessivo popolamento di cinghiali è previsto nel disegno di legge sui parchi. Chiederemo al presidente della Commissione ambiente di estrapolare l’articolo in modo tale da inserirlo nel primo ddl utile che verrà discusso in aula».
Anche per Angelo Pizzuto, presidente del Parco delle Madonie, le cause di quanto accaduto vanno ricercate soprattutto nell’inerzia politica: «Il legislatore non ha ancora preso gli idonei provvedimenti, lasciando al caso ed alla fortuna la risoluzione di un problema atavico». E spiega che «l’unico sistema ritenuto idoneo a frenare il proliferare di questi animali ibridi inselvatichiti è l’abbattimento selettivo supervisionato dalle forze dell’ordine, sul quale abbiamo anche riscosso il favore delle autorità ma finora nulla è stato fatto» .
Lo scorso 22 maggio un altro pensionato, Severo Zatti, 72 anni di Iseo, era stato colpito da un cinghiale. Stanco di vedere il proprio campo devastato, quella notte era uscito imbracciando un fucile da caccia. L’hanno trovato alcune ore dopo morto dissanguato, accanto alla carcassa dell’animale.
MELANIA DI GIACOMO INTERVISTA GIULIA MARIA CRESPI
ROMA Giulia Maria Crespi è stata fondatrice del Fai, ambientalista per credo e per professione. Ha portato in Italia l’agricoltura biodinamica basata sulla qualità e la salute della terra e ancora oggi, superati i 90 anni, lavora nelle sue aziende. Una donna dalla grande passione per la natura, che da anni ha ingaggiato una battaglia con i cinghiali.
Solo parlarne la innervosisce: «Io sono per l’ecologia e per la biodiversità e non ucciderei un ragno. Ma loro sono una catastrofe».
In Sicilia due persone sono state attaccate, una è morta. I cinghiali sono un problema?
«Ora è successa questa tragedia ma non sono pericolosi per l’uomo, non attaccano. Io giro sempre per i boschi. Il problema è che i cinghiali sono dei distruttori del paesaggio e una tragedia per gli agricoltori. In Sardegna tante aziende hanno dovuto chiudere. Al Nord si deve fare la guardia perché dopo la semina invadono i campi e distruggono tutto. E i politici non fanno niente perché hanno paura di perdere voti».
Cosa dovrebbero fare?
«Una legge in barba agli animalisti. È inutile dire “facciamo la selezione”, bisognerebbe permettere la caccia al cinghiale per sette o otto mesi all’anno, ma questo fa insorgere gli ambientalisti e anche i cacciatori sportivi».
Così se ne controllerebbe il numero...
«E non lo si fa. Poi servirebbe anche un’altra cosa».
Cosa?
«Si devono impedire gli allevamenti. Si prevedano delle multe. Li allevano per darli ai cacciatori ma così facilitano la riproduzione. Qui in Toscana ce ne sono moltissimi e non sono più i cinghiali maremmani, sono dei porcastri importati dall’Est».
Lei è presidente onoraria del Fai, non le mancheranno gli incontri con membri del governo, lo ha mai proposto?
«Anni fa a Zaia, quando era ministro dell’Agricoltura, ma non condivise, mi trattò anche male. I governi fanno orecchie da mercante per non perdere voti».
Melania Di Giacomo
DANILO MAINARDI
C’ è qualcosa d’assurdo nella storia del cinghiale nel nostro Paese. Sempre più numerosi razzolano non solo nelle campagne, monti e colline, ma anche alle porte delle città. Accade in Italia e non solo. Ne sono stati abbattuti a Berlino, altri fotografati a New York e, per tornare da noi, ricordo le immagini, viste sulle pagine di un quotidiano, di un cinghiale che si aggirava sui tetti di una casa a Sillano in provincia di Lucca. L’aggressione di queste ore in Sicilia conferma la gravità della situazione. L’assurdità sta nel fatto che questi animali invasivi, numerosi e dunque pericolosi, sono stati immessi nel nostro Paese a partire dagli Anni 50, a scopo principalmente venatorio. I capi immessi dapprima erano importati dall’ Est Europa, ma poi sono stati rilasciati in natura cinghiali allevati — in allevamenti nazionali — nati perciò in cattività e ibridati col maiale. Il ripopolamento è proseguito così, per anni, con scarso rispetto dei criteri di pianificazione faunistica, con immissioni non programmate, fino all’abusivismo e all’anarchia. Questo nonostante le linee guida rese note da tempo dal ministero dell’Ambiente e da Ispra. E ora tutti a esprimere stupore e lamentazioni per il fatto che i cinghiali sono ovunque, tantissimi, di grande stazza (perché così li abbiamo selezionati). Come noto, poi, sono prolificissimi, fino a oltre una decina di cuccioli per parto, con conseguente costante incremento delle popolazioni. Anche perché i predatori naturali, lupi soprattutto, in Italia, nel frattempo, erano stati fatti fuori e, quando si è iniziato il recupero, a lungo se ne è contrastato e tuttora si contrasta il ritorno. Come se i predatori non servissero a niente, come se i principi basi dell’ecologia e della biologia fossero solo chiacchiere di ricercatori. Insomma, in questo quadro l’esplosione demografica del cinghiale non poteva che essere attesa e scontata. Emergenza fauna, è stato scritto sulla stampa a proposito dei numeri insostenibili di cervi, caprioli, cinghiali nel nostro Paese. Nel contempo lupi e orsi, sono classificati «specie problematiche» con esplicite proposte, avanzate periodicamente dalle diverse amministrazioni, di imbracciare le doppiette per risolvere i problemi. La convivenza fra l’uomo e le altre specie sembra davvero difficile e forse non resta che ammettere il fallimento di Homo sapiens e il successo di Sus scrofa, il cinghiale.
RICCARDO BRUNO
«Li hanno trovati anche in alta montagna, a grufolare a duemila metri. Esemplari che a volte raggiungono i due quintali. Una popolazione vastissima, nessuno sa esattamente quanti siano in Italia». Per Luciano Sammarone, comandante provinciale a Isernia del Corpo forestale, il primo problema sui cinghiali è esattamente questo: «Si dice che sono tantissimi, ma la questione non viene mai affrontata in modo coordinato. L’approccio giusto sarebbe: vediamo in un territorio qual è la fauna selvatica presente, quali sono le colture da tutelare, i centri abitati, e poi stabiliamo le priorità. A quel punto si deve procedere con piani di abbattimento mirati. Non come si fa adesso, i cinghiali sono lasciati liberi di fare i danni e poi la comunità deve pagare anche il costo degli indennizzi. È un sistema schizofrenico».
Che bisogna fermare l’avanzata di questi ungulati, quasi scomparsi nei primi decenni del Novecento e via via reintrodotti per la gioia dei cacciatori, sono praticamente tutti d’accordo. Da anni. E da anni si fa poco o niente. Nel lontano 2009 tre Comuni all’interno del Parco delle Madonie, Collesano, Petralia Sottana e Castelbuono, poco distanti da dove ieri Salvatore Rinaudo ha perso la vita, decisero di fare da soli e emisero ordinanze per abbattere i cinghiali in eccesso. Un’associazione animalista fece ricorso e il Tar gli diede ragione: come si fa ad autorizzare l’abbattimento di animali protetti se non si sa nemmeno quanti sono?, motivarono i giudici.
Il cinghiale appartiene alla fauna selvatica tutelata dalle leggi nazionali. La caccia è consentita per tre mesi all’anno, in genere dal primo ottobre al 31 dicembre; Regioni e Province, se è necessario, possono autorizzare «eliminazioni» extra, ma in questo caso può intervenire solo personale autorizzato. La caccia è vietata all’interno dei parchi e delle aree protette. Per questo, e per le grandi capacità di adattamento, il numero dei cinghiali è cresciuto in modo esponenziale. «E spesso non siamo di fronte al cinghiale autoctono, più piccolo e di peso minore — aggiunge il comandante della Forestale Sammarone —, ma animali venuti dall’estero, molto più grandi. A volte si incrociano con i maiali, e la capacità riproduttiva diventa maggiore. Alcune femmine riescono a partorire anche due volte all’anno».
Ogni figliata dieci cuccioli, con risultati ormai sotto gli occhi di tutti. L’Ispra (l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) ha stimato che possano aver superato il milione di esemplari, diffusi in tutte le venti regioni e nel 95% delle province. Il periodo più critico è proprio questo, da agosto a ottobre: i torrenti sono a secco, nei boschi c’è poco cibo, per questo si spingono in pianura, vicino ai campi e ai centri abitati. Proprio un paio di giorni fa i vertici dell’Ambito territoriale di caccia Firenze-Prato hanno ricordato agli agricoltori di verificare bene l’efficienza delle recinzioni elettrificate. L’uva è piatto prediletto per gli animali, e prodotto d’eccellenza da difendere a ogni costo. Ma non si possono sempre alzare barriere e recinti per proteggere i raccolti, o le strade dove i cinghiali sono sempre più spesso causa di incidenti.
«È un’emergenza nazionale, una situazione insostenibile — protesta Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti —. Non è più solo una questione di risarcimento dei danni, è diventato un fatto di sicurezza delle persone e della vita nelle campagne. Negli ultimi dieci anni gli animali selvatici sono quasi decuplicati e l’aumento dei cinghiali e di altri ungulati ha messo in allarme non solo le imprese agricole, ma anche la società e l’ambiente».
Franco Ferroni, responsabile Aree protette e politiche agricole del Wwf, aggiunge un altro elemento di riflessione e polemica : «Attorno al cinghiale c’è un mercato nero che vale centinaia di migliaia di euro: per un esemplare abbattuto legalmente, ce ne sono almeno due uccisi illegalmente». Per questo suggerisce un decreto che autorizzi anche gli agricoltori a catturarli e utilizzarli e preveda mattatoi mobili per garantire una macellazione controllata. Un tema che sottolinea anche il presidente nazionale di Arcicaccia, Osvaldo Veneziano, chiedendo una normativa straordinaria «che consenta di utilizzare la carne di cinghiale non più al nero, legalizzandone il commercio e con i conseguenti controlli sanitari».
Paradossi di un animale tutelato eppure lasciato che si diffondesse a beneficio di chi gli spara, che fa paura quando si ha la sfortuna di trovarselo davanti ma non quando siamo a tavola. E così, come accade per altre specie, siamo incapaci di trovare il giusto confine tra la protezione della natura e quella dei nostri interessi.
«Abbiamo perso il giusto approccio con l’ambiente — osserva il comandante Sammarone —. A volte si va a vivere in una casa isolata nel bosco e poi ci si lamenta che davanti passano i lupi, o anche gli orsi. È vero, il cinghiale è estremamente aggressivo, ma riflettiamo anche sui nostri comportamenti».
LA STAMPA
ANTONELLA MARIOTTI
Quel milione di esemplari
che sta conquistando l’Italia
Il Wwf: serve una banca dati. Gli agricoltori: bisogna abbatterli
Antonella Mariotti
Non si riesce a contarli, potrebbero essere seicentomila o un milione. Sono i cinghiali (Sus scrofa) che popolano i boschi e da qualche anno anche le zone rurali, avvicinandosi sempre di più alle città e alle case. «Un censimento è difficile. Qui nelle Marche sono circa trentamila, se facciamo una media per tutte le regioni d’Italia il conto è fatto. Pericolosi? Se sono femmine con i cuccioli sì, altrimenti, come tutti gli animali selvatici, alla vista dell’uomo fuggono». Franco Ferroni è responsabile Wwf del settore agricoltura e biodiveristà. «Non esiste - dice - una banca dati dei danni procurati dai cinghiali e manca un coordinamento generale: ogni regione fa da sè».
I nuovi arrivi
I cinghiali fino agli Anni Sessanta non erano un problema, poi sono stati introdotti (per la caccia) esemplari dai Carpazi, più resistenti e prolifici dei nostrani, ma, spiega Ferroni - non ci sono specie diverse, sono tutti «sus scrofa» solo che quelli «stranieri» ingrassano di più. «L’introduzione di capi dall’estero ha provocato un aumento esponenziale della popolazione - aggiunge Piero Genovesi, esperto dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero dell’Ambiente -. Gli attacchi sono rari e dopo il ferimento degli animali durante la caccia: mai come quello in Sicilia. Certo il numero dei cinghiali si può ridurre con l’attività venatoria, ma spesso i cacciatori non ne uccidono il numero stabilito, per averne poi l’anno successivo. Le linee guida per contenere il numero ci sono, dovrebbero essere applicate: dove si interviene il problema è sotto controllo».
Non la pensano così gli agricoltori, che da anni chiedono interventi per limitare i danni alle colture: i cinghiali sono onnivori e mangiano mais, patate e tutto quello che trovano. Qualche numero: in Piemonte dal 2002 al 2013 sono stati spesi quasi sei milioni di euro per rifondere dei danni provocati dai cinghiali. «La soluzione non può essere solo la caccia, i cinghiali sono troppi. In natura - dice ancora Ferroni - l’unico loro predatore è il lupo, e ne abbiamo solo un migliaio in Italia: pochi per una preda che in un anno può raddoppiare di numero e forse triplicare. Bisogna autorizzare gli agricoltori a installare recinti di cattura e a commercializzare la carne di cinghiale».
«Il problema è di sicurezza, i cinghiali hanno anche causato incidenti stradali mortali», sottolinea Michele Mellano, direttore della Coldiretti piemontese. Spiega: «Il controllo o venatorio non basta più: serve un intervento immediato. Ora si parla del problema perché c’è stata una vittima, non vorremmo che tutto venisse presto dimenticato».
La caccia
Chi si vuole affidarsi solo alle doppiette è Roberto Barbero della Confederazione italiana agricoltori: «Solo così si contiene la specie, come per i lupi che attaccano in montagna i margari e le pecore. Chiediamo che si riapra la caccia al lupo, ai cinghiali e agli ungulati: creano danni insostenibili». In difesa dei cinghiali l’Enpa: «Solidarietà ai familiari della vittima, ma vent’anni di abbattimenti non sono serviti. Si devono fermare i ripopolamenti venatori».
NICLA PANCIERA
«Sono pericolosi
quando difendono
i cuccioli o temono
una minaccia»
Nicla Panciera
Cinghiali, lupi, orsi colonizzano la penisola. E quando si incontrano con l’uomo, a volte capitano incidenti, anche mortali.
Professor Enrico Alleva, etologo dell’Accademia dei Lincei, perché tutte queste difficoltà?
«Oggi gitanti e cacciatori si frappongono tra madri e cuccioli o mettono alle strette qualche maschio potente; ricordiamo che tutti gli animali selvatici temono la presenza dell’uomo. Le popolazioni umane attuali, sempre più urbanizzate, hanno perso il contatto e soprattutto la cultura del rapporto con gli animali. Ad esempio, i pastori abruzzesi prevedevano con esattezza, all’imbrunire, l’attacco del lupo. Le generazioni dei pastori in Sardegna, isola senza lupi, furono culturalmente inermi. Ora sono arrivati i pastori immigrati albanesi: professionalità a prova di bomba».
Perché abbiamo perso la capacità di relazionarci con la Natura?
«I nostri bambini oggi incontrano esseri animali con un nome proprio, una biografia e caratteristiche temperamentali. Vissuti in città, da adulti considereranno purtroppo un animale come essere inanimato. Se prenderanno un cane, sarà per imitare il famoso calciatore o perché il colore del pelo si abbina con la moquette. Nella società con nuclei familiari composti sempre da meno persone, il bimbo, crescendo con tale privazione zooantropologica, considererà l’animale come un essere umano. In questo rapporto patologico, la zoomania, riverserà eccessivi affetti “a misura d’uomo” su cani e gatti, sottoponendoli invece a raffinate torture psicologiche».
Spesso si vede una soluzione nell’abbattimento dei soggetti «pericolosi» o «in esubero». Non servirebbero interventi di altra natura?
«Legambiente ha tentato di ricreare il triangolo cane pastore da lupo di razza italica, pastore tecnicamente formato e lupo singolo o in branco. Massacrare i lupi, atto illegale, può significare l’eliminazione di un elemento del gruppo che conosce la tecnica per cacciare giovani cinghiali e caprioli. Paradossalmente, se un soggetto che guida il gruppo è ucciso, il branco si dirige verso più facili prede, come pecore o giovani puledri».
Molti animali proliferano perché introdotti per il popolamento o incautamente liberati a scopo venatorio. Cosa si può fare per migliorare la nostra convivenza con gli animali?
«Alcuni anni orsono è nata la Federazione Italiana di Scienze della Natura e dell’Ambiente (www.fisna.it) che mette a disposizione delle amministrazioni locali esperti per la gestione di lupi, orsi, punteruoli rossi... Ora tocca agli amministratori».
LA REPUBBLICA
INTERVISTA A ENRICO ALLEVA
CRISTIANA SALVAGNI
ROMA. «Il cinghiale non ha alcuna intenzione di attaccare l’uomo. Se lo fa è per difendersi, perché crede di avere davanti un predatore ». Secondo l’etologo Enrico Alleva, questi episodi, che possono sfociare in tragedia, sono incidenti « molto rari. Non devono allontanare gli italiani dai parchi naturaliu, anche se il numero di animali selvatici è aumentato moltissimo: sempre più spesso si trovano ai margini delle città».
Come possiamo convivere con queste popolazioni in crescita?
«Dipende dalle zone. Bisogna evitare di frequentare le aree dove potrebbero esserci dei piccoli in giro. Gli amministratori locali dovrebbero avviare dei monitoraggi e dare più informazioni ai cittadini. E poi non lasciare la spazzatura ovunque in strada e evitare nei giardini e negli orti di coltivare quelle piante, come i tuberi, di cui si nutrono».
Che cosa bisogna fare se ci si trova di fronte a un animale selvatico?
«Lasciargli sempre una via di fuga. Il cinghiale attacca per difesa, perché si sente in trappola. Se si irrigidisce, sta fermo, e quando ci spostiamo ci segue con l’asse del corpo, vuol dire che si sente minacciato. Allora diventa pericoloso».
In che modo si difende?
«Infila il muso sotto al corpo e lo scaglia verso l’alto: così con quelle zanne che sono quasi scimitarre, può sventrare chi ha davanti, animale o uomo che sia».