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 2015  luglio 30 Giovedì calendario

UN FREMITO NEI MARMI

Chi da oggi si recherà a visitare Palazzo Massimo, sede del Museo nazionale romano (largo di Villa Peretti 1), scoprirà che tre delle sue più importanti sale sono state completamente trasformate. Si tratta della seconda, terza e quarta, dove sono conservati ritratti e rilievi dell’epoca centrale dell’Impero, quella di Traiano, Adriano, degli imperatori Antonini fino a Commodo. Il nuovo allestimento mette in risalto i marmi delle opere, da cui emergono le tracce dei colori che in origine ricoprivano le statue, secondo l’uso greco, e prima che lo storico tedesco Johann Joachim Winckelmann, fondatore del neoclassicismo, fraintendesse il candore della pietra dovuto al dilavamento delle piogge come una delle massime suggestioni estetiche della scultura antica. Oggi questi marmi rivelano le venature e i dettagli delle lavorazioni eseguite duemila anni fa da artigiani scelti per la loro raffinata perizia dalla committenza imperiale. L’effetto, quasi vibrante di vitalità, è ottenuto grazie ai lavori realizzati in questi ultimi mesi, come spiega Rita Paris, direttore di Palazzo Massimo: «Abbiamo rinnovato il colore delle pareti e delle basi che sorreggono i ritratti, ridisegnato il gioco di luci grazie ad apparecchi led di ultima generazione, disposto in maniera più adeguata statue e bassorilievi. Abbiamo anche riscritto i pannelli delle sale e le didascalie delle singole opere, nello spirito di una chiara divulgazione scientifica. Con questa sistemazione il Palazzo prosegue la sua vocazione di museo vivo, capace di rinnovarsi e di comunicare cose sempre diverse ai suoi visitatori». Scorrendo con lo sguardo i nuovi pannelli, si conoscono più a fondo i protagonisti della storia romana nei primi secoli dopo Cristo, le donne della famiglia imperiale e i personaggi secondari, i caratteri dei volti come riflesso della politica. Si incontra il busto di Antonino, detto Pio, perché celebrò l’età aurea del padre adottivo Adriano divinizzandolo e dedicandogli templi e monumenti. Quello dell’imperatore filosofo Marco Aurelio, ritratto come un pensatore dalla barba fluente e dallo sguardo ispirato: immagine che troverà consensi anche tra intellettuali e uomini di alto rango, i quali negli anni a seguire si faranno immortalare con gli stessi caratteri somatici. Si incontra Antinoo, il giovane bitinio amato dall’imperatore Adriano e affogato nel Nilo in circostanze oscure, qui raffigurato come Silvano, il dio dei boschi. E nell’altare dinanzi al bellissimo ragazzo divinizzato è stata rintracciata la firma dell’artista: Antonianos di Afrodisia. C’è Faustina Minore, figlia di Antonino Pio e moglie di Marco Aurelio, avvolta in un sottile chitone e in un velo che le copre anche il capo. C’è la testa di Commodo, frammento di una statua colossale dell’imperatore che ereditò il potere dal padre Marco Aurelio e dopo anni di dissolutezze e stravaganze morì vittima di una congiura. Qui è ritratto in veste del dio Sol: lo si indovina dal solco tra i capelli, destinato all’inserimento di una corona radiata in metallo dorato.C’è, infine, una piccola scultura presentata per la prima volta: il frontone in marmo bianco che coronava l’edicola di un monumento funerario situato nei pressi di Villa Adriana a Tivoli. Fu eretto da Quadratilla per il padre Apthonetus, presumibilmente un liberto di origine greca, come si evince dall’iscrizione latina. L’immagine del defunto, racchiusa in un clipeus, la cornice tonda in forma di scudo, riflette lo stile dei ritratti dell’imperatore Adriano. L’iscrizione, seppure frammentaria, fornisce informazioni, oltre che sul defunto e la dedicante, anche sul luogo dove sorgeva il monumento e sul carattere esclusivamente familiare del sepolcro. L’opera è stata recuperata nel 2002 sul mercato antiquario statunitense dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale.
Lauretta Colonnelli